Il teorema sostenibile del Castelmagno

Castelmagno fetta

Il “modello Castelmagno” è la prova che si può coniugare, in un circolo virtuoso, rispetto della tradizione, eccellenza gastronomica senza compromessi, viabilità economica, tecniche millenarie, tecnologia moderna e gestione economica manageriale, nel pieno rispetto della biodiversità e dell’identità del territorio.

Il formaggio Castelmagno rappresenta forse l’apice di quell’edonismo un po’ dandy dei foodie più estremisti, come oggi si chiamano i gourmet di una volta. Ricercatissimo dagli appassionati, dalla fama sospinta dal vento della fortuna mediatica, il Castelmagno ne ha ben donde, con la sua storia più che millenaria e le sue caratteristiche proprie che lo rendono unico e impareggiabile. Questo formaggio prodotto nel territorio ristretto dei tre comuni di Castelmagno, Pradleves e Monterosso Grana, in provincia di Cuneo, si realizza con il latte di due mungiture successive – sera e mattina – di vacche di razza bianca piemontese e “finta” pezzata rossa (in realtà un incrocio di bianca piemontese e pezzata rossa – vedi foto qui sotto). Questa tecnica, simile a quella originaria del Gorgonzola, permette una erborinatura naturale per il fatto che i due latti non si mescolano perfettamente, lasciando che l’aria penetri l’impasto. Mentre per il Gorgonzola la tecnica si è poi evoluta con l’innesto meccanico del penicillo, questa non è mai variata per il Castelmagno.

Rossa pezzataLe vacche pascolano liberamente, tra gli 800m e i 1200 m degli alpeggi, facendo così acquisire al loro latte quel profumo unico e inconfondibile dato dalla incredibile varietà di erbe, piante e fiori presenti in questo luogo. Un mix preciso che identifica questo territorio, e solo questo. Le forme, dai 4 ai 6 kg, sono pensate per poter essere stagionate, o meglio, conservate, per oltre due anni, anche tre o quattro, in modo fa poter far fronte ai rigidi inverni e alle carestie, che dall’anno mille a questa parte hanno regolarmente flagellato queste montagne impervie e isolate.

Alpeggio Castelmagno

Il segreto del Castelmagno sta proprio qui, nel territorio, nella razza, nella tecnica e nel rigoroso, inflessibile attaccamento alla propria tradizione e alla propria identità. Se tutto ciò è fondamentale nella salvaguardia della biodiversità, per la gioia dei connaisseur, come si concilia con le moderne esigenze di mercato, senza parlare della necessaria garanzia di adeguato sostentamento economico per i produttori? La risposta appare chiara parlando con Massimo Monetti, il giovane presidente della cooperativa La Poiana di Pradleves, che riunisce 16 produttori dei tre comuni e rappresenta la maggiore realtà produttiva della valle.Massimo MonettiQui la tecnologia più moderna è stata messa al servizio della tecnica millenaria, permettendo ad esempio una stagionatura in celle ad ambiente controllato, ma dove l’aria della valle viene fatta circolare proprio come avveniva, e avviene tuttora, nei crottiinfernot sparsi per il territorio. Condizioni di massima igiene e sicurezza, ma totale rispetto della tecnica di lavorazione e del prodotto, partendo dalla materia prima, oltre alla possibilità di gestire da uno stesso luogo ben 26 mila forme con le più avanzate tecniche di management e di marketing.

Castelmagno intero

“Al produttore che conferisce le sue forme alla cooperativa,” spiega Monetti, egli stesso produttore, “viene pagato subito un prezzo di pochissimo inferiore a quello di mercato. La differenza, grazie ai grandi numeri, è sufficiente a coprire le spese e a garantire anche un piccolo guadagno, a sua volta investito in ulteriore tecnologia e attrezzature.” In questo modo vincono tutti, i piccoli allevatori e produttori che si vedono così garantire una giusta retribuzione per il proprio lavoro, la cooperativa che ogni anno realizza utili, e i consumatori che hanno la certezza di un prodotto autentico e di grande qualità ad un prezzo ancora accessibile. Castelmagno fetta 2Così si alimenta il circolo vitruoso che mantiene viva questa montagna, questi pascoli, queste genti con i loro armenti e la loro identità. Vale la pena farsi un giro da queste parti, magari con una sosta allo spettacolare santuario, per rendersi conto immediatamente della bontà del “Teorema Castelmagno”, toccando con mano, e magari assaggiando questo miracolo millenario.

Santuario CastelmagnoImpossibile a questo punto, parlando di formaggio, non accennare alla odierna e accesa polemica sulla presunta imposizione da parte della UE di produrre formaggio “senza latte” ovvero con latte in polvere. A parte il fatto che non vi è nessuna imposizione a produrre in questo modo, distruggendoli, i formaggi iconici della penisola – al contrario si dovranno continuare a fare secondo i rispettivi disciplinari – la direttiva UE tende a normalizzare anche in Italia una metodologia consolidata nella produzione industriale di formaggi e latticini. A ben guardare, il latte in polvere, la cui tecnica di produzione risale al 1847, è dal punto di vista della tradizione più antico dell’uso delle patate nello stufato o del pomodoro negli umidi e a condimento della pasta. Senza latte in polvere non potrebbe esistere, ad esempio, il cioccolato al latte, pubblicizzato con tanto di scenografiche brocche di latte fresco con buona pace di tutti. Nell’industria viene impiegato, in quantità modeste in aggiunta al latte “vero”, per stabilizzare o normalizzare il contenuto proteico e di grassi del prodotto finito, che per definizione deve avere delle caratteristiche assolutamente immutate. Non è dannoso, è del tutto igienico e la sua produzione aiuta a cadmierare i prezzi del latte in periodi di sovraproduzione. E’ semplicemente latte al quale è stata tolta l’acqua. Già lo consumiamo quotidianamente in formaggi e latticini industriali provenienti da Francia, Germania e Olanda, veri maestri nelle tecnologie alimentari. Si legga in proposito l’interessante punto di vista de Il Fatto Alimentare.Castelmagno scaffaliE’ compatibile tutto ciò col nostro inarrivabile Castelmagno? Certo, e la prova sta proprio nel fatto che si sta parlando di due cose tanto diverse da non poter assolutamente essere confuse. Il principio dei formaggi industriali sta nella loro standardizzazione: un gusto uguale, sempre identico, ad un prezzo basso. Servono perfettamente e con grande qualità, intesa come sicurezza e rispetto delle richieste dei consumatori, le esigenze di una larga fetta di mercato. Quello dei formaggi artigianali sta invece nella individualità, nella mutevolezza degli aromi a seconda delle stagioni e delle annate, pur mantenendo una identità unica che li lega ad un determinato territorio. Castelmagno stagionatura CastelmagnoPradlevesDue tipologie di prodotti agli antipodi, per nulla incompatibili, basta sapere cosa si vuole acquistare e consumare. La cultura e l’informazione sono le uniche discriminanti in questo caso, ammesso che al consumatore venga esposto chiaramente quale tipo di prodotto, quale provenienza, quali ingredienti e quale lavorazione, sta acquistando. In un certo senso la mera esistenza dei prodotti di massa, che vanno benissimo con o senza latte in polvere, esalta e sostiene ancora di più i pregi di quella exception culturelle così ben rappresentata dal nostro straordinario Castelmagno, da gustarsi da solo o accompagnato col miele o le altrettanto tipiche pere madernasse. Nel bicchiere un titolato piemontese come un giovane Barolo o un Nebbiolo di buona famiglia. Nelle trattorie della valle si gusta anche in fonduta ad accompagnare celestiali gnocchi prima fatti struggere in abbondante burro nocciola. In buona sostanza possiamo rassicurarci sulle sorti dell’intero ecosistema di questa vallata, protetto e preservato proprio dalla modernità, utilizzata in modo responsabile e intelligente in questo teorema vincente del Castelmagno.Albergo della pace

Di cinte, buchi e kilometri elastici

Expo USA
(Foto Floriane Vial)

Siamo a metà del guado, nel pieno di un’Expo che, se ha smentito alla grande le polemiche pre-apertura sulla presunta incompiutezza dei lavori, è ora alle prese con l’accusa ben più grave di assomigliare ad una kermesse mondiale dell’abbuffata etnica, nella quale è andato perduto il nobile tema originale: quello di trovare, tutti insieme, una soluzione sostenibile per nutrire il nostro pianeta. Leggendo quanto appare su giornali, blog e pagine facebook di esperti del settore, sembra ci siamo ridotti al concetto di quei tanti mercatini di prodotti regionali a kilometro zero, o ai tanto-di-moda street food festival che stanno spuntando ovunque come funghi . Parlando poi di kilometro zero, il concetto si è di molto “elasticizzato” come mi spiegava, quasi scocciato, il promotore di una di queste sagre della caloria di nicchia, davanti alla mia sorpresa di vedermi proporre pomodorini siciliani, miele altoatesino e salumi calabri. “Kilometro zero significa prodotto in modo naturale e tradizionale, è un concetto, una filosofia, non va preso alla lettera”. Sarà, ma credo comunque che sostenere le produzioni veramente locali incoraggiando un consumo altrettanto locale può avere molti risvolti positivi e aprire nuove, insospettate prospettive.

farmers' market whirlpool
Farmers Market a Km zero “reale” in azienda come attenzione verso il territorio e i dipendenti

Tornando a noi devo confessare che ancora non sono riuscito ad andarci, a Rho, per raccontare la “mia” Expo. Lo farò, spero presto, e magari dovrò ricredermi e scrivere di quanto si stia lavorando per risolvere la questione degli sprechi e della fame nel mondo, di accordi raggiunti tra gli stati per imbastire programmi comuni di ricerca. Io ci credo ancora. Nel frattempo continuo la mia personalissima battaglia per la mia “decrescita fisica” e per il raggiungimento di uno stile di vita e di consumo più sostenibile. Ho deciso di non valutare i miei eventuali progressi solamente in kilogrammi, ma anche e soprattutto in “buchi della cintura” e nel riflesso impietoso dello “sguardo altrui”. Per quanto riguarda il primo parametro, devo annunciare con orgoglio di aver praticato il quarto buco aggiuntivo alla mia cintura.  Per lo “sguardo altrui” siamo ancora in alto mare, devo ancora fare i conti con la sindrome del ciccione pacioccone. Ho difatto eliminato dalle mie frequentazioni ben due ristoranti dell’area Varese-laghi per le confidenze che alcuni camerieri, viste le mie rotondità, pensavano di potersi prendere, pur senza conoscermi: battute fuori luogo, palpate di pancia (!!) e “appoggio” comodo sulla spalla mentre si prende l’ordinazione. Una maleducazione che non oserebbero usare a nessuno, se non fossero convinti dell’innocuità degli oversize. Ci sono ancora molti pregiudizi, anche sul posto di lavoro – si legga in proposito l’ottimo articolo di Cristina Rubani sul “peso del pregiudizio” – che si supereranno solo quando si smetterà di credere che le persone sovrappeso lo sono per pigrizia, debolezza o mancanza di volontà.

cintura

Non ci sono ricette infallibili e ognuno sceglie la via più adatta a se. Il mio nuovo modello di stile di vita vuole essere più attivo, oltre che di minor consumo, quindi l’esercizio fisico è indispensabile. Ammiro molto chi come il direttore di Varesenew, Marco Giovannelli, può esprimere questa scelta attraverso imprese fisico-culturali (leggi qui il suo bellissimo blog sulla via francigena) esaltanti. Purtroppo la mia via è più oscura e statica, fatta di quotidiana e quasi ossessiva ripetizione, che ho simboleggiato nei selfie giornalieri in sella alla cyclette, con la stessa identica inquadratura a rappresentare la noia del ricominciare ancora e sempre e della consapevolezza di non giungere ad alcuna meta reale, rimanendo fermo nell’afa infernale di quel seminterrato. Anche, e soprattutto questo, fa parte della “decrescita” personale, ed è l’ostacolo più duro da superare.

Cyclette gallery

Ogni scatto è apparentemente uguale all’altro, salvo impercettibili dettagli, a dar la misura della sensazione di inutilità dell’impresa e dell’angoscia di trovarsi in un loop spazio-temporale che ricorda “il giorno della marmotta”, il film con Bill Murray che vede il protagonista rivivere all’infinito la stessa giornata. Alla fine del film, però, il personaggio ha fatto invece enormi progressi sul piano personale, così come tra il primo e l’ultimo scatto della serie qui sopra ci sono quasi dieci chili di differenza. Anche questa è la “mia” Expo, sulla mia pelle (sudata), e continuerò a raccontarla nei prossimi post, speriamo direttamente dal Decumano!

Expo e bufale: dieci domande al fondatore di BUTAC, Bufale Un Tanto Al Chilo

BUTAC

Chi, come me, cerca di documentarsi in rete per agire in prima persona e “fare qualcosa” riguardo ai temi della sostenibilità, spesso si ritrova disorientato per la quantità e la varietà di “fuffa” che viene propinata ai navigatori. Il tema di Expo, che unisce grandi principi filosofici come la salvaguardia del pianeta e della specie umana a temi di quotidiana secolarità come l’alimentazione, sembra aver scatenato bufalari e ciarlatani di ogni risma.

Allora ho fatto due chiacchiere (virtuali) al riguardo con lo “sbufalatore” per eccellenza: Maicolengel, al secolo Michelangelo Coltelli, 42enne bolognese, che  insieme a Paolo Costa è il fondatore di BUTAC, Bufale Un Tanto al Chilo, il popolare sito antibufale che smentisce le notizie false, talvolta clamorose, che girano in rete.

Pierre: Con l’avvicinarsi di Expo, si fa un gran parlare di cibo e di sostenibilità. Imperversano anche le bufale legate al tema dell’alimentazione: quali i miti più comuni che girano in rete?
Maicolengel: Nell’ultimo periodo abbiamo visto un intensificarsi di condivisione per tante bufale classiche, dal latte che causa malattie di vario tipo, alla carne da non mangiare mai, ma anche cose davvero stupide come le arance infettate con l’AIDS. La gente tristemente legge titoloni ed articoli fatti coi piedi e condivide senza mai domandarsi chi le abbia messe in circolazione. Il peggio è quando a consigli alimentari se ne sommano di pseudo medici. Quindi vediamo circolare articoli che ci raccontano di come limone e bicarbonato curino dal cancro, bufala che fa seri danni in giro, o quello che sostiene che con una dieta a base di miele si facciano miracoli. Ma anche quella che vede il tonno in scatola radioattivo causa Fukushima e l’altra che gira ormai da svariati anni che ci racconta di come prodotti che vengono dal latte vengano regolarmente reimmessi sul mercato anche se scaduti…dopo averli ripastorizzati. Fuffa di quella uTonta.
Si attaccano le aziende, infischiandosene dei loro dipendenti, infischiandosene se quel che si racconta è falsato. Una che voi di whirlpool [io sono dipendente di quest’azienda, ndr] credo conosciate bene è quella che vede i forni microonde come causa dei mali del mondo, quando non esiste studio che li demonizzi e gli oltre 60 anni di uso abbiano ampiamente dimostrato la sicurezza del macchinario! Ma anche oggi nel 2015 qualche ignorante mi dice, ah no, io nel microonde non cucino, fa venire il cancro…e a me cadono le braccia
 limone e bicarbonato
P: Come può, chi naviga in rete, districarsi tra le molte correnti “salvapianeta”, dal kilometro zero,alla filiera corta, agli anti-ogm, ai vegetariani, ai vegani, al bio, al biodinamico?
M: Domanda non facile, mi accorgo sempre di più che la navigazione corretta non è intuitiva per tanti. Riuscire a distinguere un sito di parte da un sito super partes è sempre più difficile, specie quando anche su testate “serie” abbiamo infiltrati di una fazione (si perché dopo due anni di debunking ci si accorge che l’estremista vegan animalista è ben nascosto ovunque, fino ad esser diventato una lobby). Perfino una mia autrice proprio qualche giorno fa linkava una pagina che lei riteneva seria…dopo 5 minuti mi sono reso conto che a parte alcuni articoli pseudo scientifici il resto del sito era infarcito di filosofia vega”cazzara”… lei non se ne era accorta usando solo alcune parti del sito come base per certe ricerche. Insomma Non è facile per nessuno districarsi, ma vale sempre una regola fondamentale: avere ben chiaro che non c’è un eminenza grigia che governa i media, e che oggi più di ieri la conoscenza ufficiale è di pubblico dominio. Hai un dubbio su un alimento basta cercare su siti ufficiali come l’OMS o la FDA americana per avere subito chiariti tutti i dubbi. Peccato tanti considerino ancora l’inglese come un optional, mentre la non conoscenza della lingua è una grossissimo deficit per chi naviga il web.
.FDA
P: Perchè, secondo te, ci sono tante persone disposte a credere a sciocchezze, senza esercitare il minimo senso critico (Butac li chiama “utonti” anziché “utenti”)?
M: Ma perché è molto più facile credere alle sciocchezze. Un esempio che faccio spesso è quello sui vaccini, Perché esiste un forte movimento antivaccinista da vent’anni a questa parte? Perché cresce? Ma perché sono migliorate le diagnosi su certi disturbi, quindi ci sono più bambini che vengono diagnosticati con disturbi dello spettro autistico, ed è molto più facile dare la colpa ad un fattore esterno che alla “sfortuna” del fato. Avere un colpevole contro cui puntare il dito aiuta ad accettare la cosa. Che si tratti della cattiva Unione Europea che ci ha imposto le quote latte (studiando la cosa ci si accorge di chi è la colpa, ma zitti zitti non ditelo a nessuno), o che sia la Monsanto che vuole sterminare i nostri ulivi del Salento…ci deve sempre essere un colpevole, e le bufale che girano oggi ce lo servono su un piatto d’argento!
P: Quali sono i meccanismi che rendono la rete così efficace nel diffondere bufale che non reggerebbero neanche un secondo in una normale conversazione?
M: Beh intanto il fatto di avere modo e tempo di trovare fonti fuffare (false). Ma la cosa più importante è che la maggioranza della gente è pigra, si ferma al titolo, all’immagine, non approfondisce mai. A voce è molto più difficile fermarsi, abbandonare la discussione. In rete invece si scrive un commento acido sfruttando attacchi ad hominem, usando grandi dosi di logica fallace, tanto basta che chi è dall’altra parte dello schermo sia poco avvezzo alla pratica per smontarlo e zittirlo in 5 secondi. Non hai idea di quante mamme abbiano scelto di non vaccinare i propri figli solo perché vittime di terrorismo psicologico, o di quanti abbiano smesso di acquistare un determinato prodotto. A voce tutto questo è più arduo.
La gente in rete si sente anonima (anche se non lo è) vede un post condiviso da un amico e non si piglia mai la briga di verificare, l’ha condiviso X vuoi che sia una sciocchezza? Adesso lo ricondivido anche io così X è felice.
P: E’ in corso una vera e propria campagna, a volte anche cruenta, contro il consumo di carne. Cosa ne pensi?
M: Io credo che l’estremismo vegan sia quanto di peggio possibile (oltre a reputarlo controproducente per gli stessi vegan). Mentre capisco bene chi fa della sua scelta etica una bandiera di cui andare orgoglioso trovo che certe frange di questi gruppi abbiano davvero passato ogni limite. Raccontando notizie distorte per il solo gusto del farlo. Spesso è gente che non ascolta proprio, loro HANNO la verità, loro sanno di aver ragione e tu torto. Quindi per la loro mentalità è normale ed eticamente corretto modificare ricerche e dati pur di portare acqua al proprio mulino. Io mangio tutto (forse troppo), ma so che moderarsi e variare spesso alimentazione mangiando un po’ di tutto è il sistema migliore per aiutare il nostro fisico. Certo, ci sono diete diverse per patologie diverse, ma qualsiasi dietologo serio non ti dirà mai di rinunciare alle proteine animali, che siano carne o pesce. Magari di ridurne il consumo, magari di evitarne gli eccessi. Ma la carne (e il pesce) sono alimenti che assunti nella giusta maniera ci aiutano.
 tagliata di fiorrentina
P: Dimmi la falsità in materia di cibo che più ti da fastidio e che vedi invece largamente accettata come verità comprovata.
M: Beh come detto sopra una è quella che vede demonizzare uno strumento utile come il forno microonde. Ma anche quelle che vedono il latte come veleno! Estremismi messi in giro per lo più da gente che sta cercando di convincere la gente ad abbandonare ogni prodotto di origine animale, e lo fanno disinformando, raccontando bugie, distorcendo i dati. È brutto, perché mentre non ho nulla contro la scelta etica di chi sceglie di diventare vegetariano trovo orrendo chi usa la disinformazione per fare proseliti. Il 70% della popolazione mondiale in età adulta ha delle intolleranze al latte, in Italia la percentuale è molto inferiore. L’intolleranza al latte non vuol dire che esso sia il Male, ma solo che tu lo digerisci male, ma chi lo tollera può berlo senza paura. Ovvio che esagerare è un errore, ma lo è con tutto. Imparare che una dieta bilanciata e varia è la via più corretta sarebbe bellissimo!
P: Come riconoscere una bufala, e come “sbufalarla”? 
M: Una cosa che dico spesso a chi me lo chiede è che la prima regola di chi naviga online dovrebbe sempre esser quella di usare tanto buon senso. Se una notizia appare solo su siti di dubbio gusto e viene fatta circolare come verità assoluta da far girare prima che la censurino, beh potete stare tranquilli, 10 volte su 10 è una bufala. Lo stesso vale per i titoloni “urlati” e per tutte quelle notizie dove si citano altre fonti senza mai linkarle. Per sbufalarle la questione è più complessa, conoscere bene perlomeno la lingua inglese serve, perché spesso si è costretti a leggere tantissimo, e la lingua in cui si trova più materiale è quasi sempre l’inglese. Ma in generale ci vuole pazienza, perché mentre per inventare una notizia ci si mettono 5 minuti per smontarla occorre molto più tempo. Io ho incominciato a tenere una lista coi siti di cui non fidarsi, se la notizia compare su uno di essi oggi so già che sarà bufala.
P:  Maicolengel è chiaramente un nickname, è per sicurezza? Hai ricevuto pressioni o intimidazioni durante la tua carriera di sbufalatore seriale? Puoi dirci qualcosa di più su di te?
M: Ovviamente Maicolengel è un nickname, non così distante dal mio nome vero (Michelangelo), ma quando nel 1993 iniziai a chattare online fu il nick che scelsi, e me lo porto dietro da allora! Lo uso più che altro per tenere separate le due attività, debunker e vita (e lavoro) nel mondo reale. Perché nella vita vera faccio tutt’altro, ero un consulente informatico, con studi alle spalle in Scienze Poltiche indirizzo internazionale, ma oggi seguo l’attività della mia famiglia che nulla a che fare con l’informatica e l’informazione. Sognavo da ragazzino di fare il giornalista, ho anche scritto su alcune testate
 universitarie quando ero ventenne. Vivo a Bologna, ho 42 anni, una moglie inglese e due bimbi che adoro. Fare lo sbufalatore è venuto spontaneo, lo facevo già per amici visto che da tempo sono specializzato in ricerche online. Ero un ammiratore di personaggi come Paolo Attivissimo e Salvo di Grazia, i due più grossi debunker italiani, bravissimi competenti, precisi, ma poco presenti sui social network. Ho deciso che era necessario qualcuno che combattesse la disinformazione anche li, in maniera più accattivante di quanto non fossero i blog un po’ ingessati dei divulgatori più noti. Ho avuto successo, e Butac ha fatto da apripista ad altri che oggi si danno da fare tanto quanto noi.
 medbunker
disniformatico
P: Come vedi il futuro? recentemente ho letto alcuni post di Butac dove mi sembravi sull’orlo della rinuncia. Rassicura i tuoi – numerosissimi te l’assicuro – sostenitori 
M: Il futuro? Beh DEVO vederlo roseo, ho due bimbi da crescere quindi devo essere ottimista. Butac nasce proprio per loro, per cercare di costruire qualcosa di bello di cui un giorno possano andare fieri. Vorrei tanto che quando saranno più grandi mi vedano come il “buono” che combatte i cattivi dalla tastiera. Butac nasce come un blog a due mani, ma per fortuna col tempo mi si sono affiancati validi aiuti, sia tecnici come il DottPA e Thundertstruck  (medico e tossicologo), un esperto in tecnologie (Neil) e due bravi autori come Il Ninth e Noemi, nessuno di noi vuole mollare, tutt’altro, siamo galvanizzati all’idea di far del bene. A volte siamo scoraggiati da certi meccanismi dei social network, vedere nostri post cancellati causa segnalazioni quando invece pagine che inneggiano alla supremazia razziale restano li può deprimere un po’. Ma alla fine ci piace quello che facciamo!
P: Che consigli daresti a chi vuole davvero “fare qualcosa” per migliorare il proprio modello di consumo in modo sensato ed efficace?
M: Innanzitutto occorre avere ben chiaro che nessuno ci vuole morti e malati, e che quindi se l’Unione Europea reputa un determinato prodotto adatto per il nostro consumo possiamo star tranquilli che sono state fatte le dovute verifiche. Seguire i suggerimenti di medici iscritti all’albo, affidarsi a professionisti dietologi, variare la propria alimentazione il più possibile, non esagerare con un unico alimento. Ma cosa ancor più importante, non fossilizzarsi sui soliti 4 prodotti, scoprire, curiosare, inventare. C’è un mare di sapori la fuori. Per essere consumatori più attenti una cosa che mi piacerebbe facessero in tanti è essere attenti agli sprechi, quelli si che aiuterebbero a consumare meno, meglio e con più sostenibilità! Abito in centro città, e ogni volta che butto l’immondizia mi accorgo di come tanti buttino tonnellate di cibo scaduto o mal conservato. Imparare a non farlo e a comperare ed usare solo il necessario sarebbe un bellissimo passo avanti.
 expo claim

Total recycle: la polpetta di ceci antispreco, su crema di broccoli

polpette di ceci su crema di broccoli

Polpette di ceci su crema di gambi di broccoli. L’avanzo di un contorno di ceci, lo scarto dei broccoli, gambi e foglie. “La totale” antispreco. Queste polpette sono quanto di più facile da realizzare. Ho usato gli avanzi di un contorno di ceci, passandoli semplicemente al tritacarne, insieme a un po’ di pane raffermo, anch’esso un avanzo, uno spicchio d’aglio e qualche pezzetto di crosta di grana. Si mescola poi per bene, insieme a un uovo e un sorso di latte. Se si ha si può aggiungere un po’ di tahina, pasta di sesamo, per un tocco decisamente mediorientale. Sale, pepe, spezie, e si formano delle palline, che si passano infine nel pangrattato, sempre di recupero. I ceci sono già cotti, sicché basta preoccuparsi solo della rosolatura esterna. La crema sulla quale sono adagiati è realizzata con la parte di scarto dei broccoli. Ho messo foglie e gambi a bollire in poca acqua finché sono diventati morbidi. Il mixer a immersione ha trasformato il tutto in crema. Una noce di burro, un po’ di latte per aggiustare la densità, sale e pepe e il gioco è fatto. Si può consumare anche da sola, è alquanto soddisfacente. Per la presentazione un mestolo di crema sul fondo del piatto, e le polpette semplicemente adagiate. Facile, ad effetto, vegetariano, antispreco. Omettendo latte, burro e formaggio, sostituiti da un filo di extravergine, il piatto diventa addirittura vegano. Per non farsi sradicare da tanto esotismo new agevi ho abbinato  un molto terreno lambrusco delle Terre Verdiane con i piedi ben piantati nella grassa e benedetta terra emiliana. A presto per altre ricette antispreco.

Due domande a: Andrea Segré, il professore antispreco

Intervista Segré 3

Paladino antispreco, il mediatico accademico bolognese Andrea Segrè ha portato il tema della sostenibilità alimentare all’attenzione del grande pubblico. E’ riconosciuto come uno dei massimi esperti europei in questo campo. Giocando sulla sua telegenicità, sul pregiudizio favorevole verso il buonsenso alimentare della città del Petronio e sull’autorevolezza del cattedratico ( è direttore del Dipartimento di scienze agro-alimentari dell’università di Bologna), Segrè è riuscito a conquistarsi le attenzioni non solo dei media, ma anche di alcuni partner istrituzionali e privati che partecipano alle sue numerose iniziative, tra cui Last Minute Market – un’organizzazione che recupera e ridistribuisce alimentari in scadenza – e Un Anno Contro Lo Spreco, la campagna europea di sensibilizzazione ai temi dello spreco.

E’ instancabile, entusiasta, carismatico, dall’energia contagiosa, sembra non arrendersi mai. Un vulcano di idee che sfociano in mille iniziative. I suoi collaboratori faticano a stargli dietro. Nel documentario “Zero Impact, viaggio nella sostenibilità alimentare” (qui il link ), realizzato per conto di Whirlpool, lo intervisto su questo argomento. E’ gentile e disponibile malgrado una tabella di marcia da rockstar in tournée, e trova anche il tempo di parlare di cucina bolognese tra una ripresa e l’altra.

1. La sostenibilità alimentare è davvero la sfida futura del nostro pianeta?

Più che una sfida del futuro, la sostenibilità deve essere una sfida del presente. Stiamo usando molto male le risorse naturali che abbiamo a disposizione: il suolo, l’acqua, l’energia, solo per dire quelle che riguardano il cibo. Dentro il cibo c’è del valore, quando lo getti via è come se lo rottamassi, come se fosse una qualsiasi altra merce che devi sostituire, e magari è ancora buona. Quindi questa perdita di valore, di consapevolezza, anche di responsabilità, ti porta a considerare tutto uguale, e perdi dei punti di riferimento perché per esempio dentro il cibo non solo c’è il valore nutrizionale, ma c’è anche il nostro suolo, altra risorsa scarsa che consumiamo in modo esagerato, c’è la nostra cultura, ci son le tradizioni, c’è il gusto, la conviviavilità, il paesaggio, il reddito degli agricoltori che ci dimentichiamo – sarebbero poi loro che producono – ma anche quello di chi produce mezzi per rendere la nostra alimentazione sostenibile, in primis la conservazione: il frigorifero, questo sconosciuto.

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Del perché il professore parla del frigorifero come di uno sconosciuto tratteremo in un prossimo post. In effetti non sappiamo usarlo nel modo migliore e buona parte del cibo che buttiamo è dovuto alla nostra cattiva gestione di questo elettrodomestico, e un terzo di quello che acquistiamo finisce nel pattume. Possiamo permetterci di andare avanti così? Quali le conseguenze se facessimo finta di niente?

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2. Cosa succederebbe se non facessimo nulla, quale sarebbe il costo sociale?

Il costo sociale sarebbe molto, molto alto perché noi con questo modello alimentare e con queste economie in crisi – e c’è un collegamento di fatto – perdendo il cibo il suo valore, lo paghiamo con costi diversi. Il cibo deve tornare al centro del mondo, perché ne abbiamo bisogno per stare meglio tutti, per abbassare i costi sociali ed anche quelli ambientali ed economici.

La cultura sembra quindi avere un ruolo importante in questo frangente, dopo tutto il cibo è cultura e gli italiani lo sanno meglio di tutti. La questione della sostenibilità è una sfida globale che deve essere affrontata a tutti i livelli: dalle istituzioni come dall’industria, dagli accademici che devono guidare la ricerca ed educare, e soprattutto da ognuno di noi individualmente.

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Tornerò a Bologna per approfondire la questione insieme al professore, magari passeggiando sotto i portici o seduti in una rassicurante e tradizionale osteria, simbolo di quel buonsenso perduto, nemico degli degli sprechi. Appunto. A presto per un nuovo incontro con Andrea Segré.

Ho provato: lo snack salute della macchinetta in azienda

health snacks

Me ne sono accorto solo pochi giorni fa, ma da quando in azienda ci hanno cambiato le macchinette del caffè e degli snack nelle aree dedicate alla pausa, hanno fatto la loro apparizione nelle vetrine una serie di snack “nutrizionalmente corretti” tra succhi naturali,  frutta secca e disidratata, bacche varie, chips di mela e barrette ai cereali. Una iniziativa dell’azienda per offrire ai propri dipendenti una scelta “salutare”, a fianco delle classiche e note merendine, patatine, barrette di cioccolato, bibite gassate e non, focacce, tramezzini, brioche e altri dolciumi . Si tratta di una scelta vera perché i prodotti “healthy” occupano quasi tre piani di un distributore, e ce n’è per tutti i gusti.

Health snack 1

Già al bar – tradizionale – della reception erano disponibili spremute “vere” fatte al momento, e frutta fresca, nello stesso spirito di offrire una scelta “healthy”. Ora con le macchinette si allarga l’offerta, e con lei le possibilità di mantenere un’alimentazione corretta ed equilibrata durante l’arco della giornata. E’ vero, non tutti hanno la fortuna di lavorare in un’azienda multinazionale tradizionalmente attenta al tema del benessere, con addirittura la scelta tra un bar vero e proprio e le macchinette dislocate nei punti strategici, ma la buona notizia è che le ditte che gestiscono i distributori automatici sono più o meno le stesse per tutti, dal laboratorio artigianale alla multinazionale, appunto. La linea benessere fa ora parte della loro offerta alle aziende, e si tratta solo di decidere di inserirla.

mixed berries
I miei 25g di benessere: uva sultanina, mirtilli rossi e bacche di Goji per 80 calorie, circa la metà di una merendina “da pubblicità”.

Per il mio primo snack salutare da macchinetta mi oriento su un mix di bacche ” a basso contenuto di grassi”: uvetta sultanina, mirtillo rosso e bacche di Goji. In realtà sono proprio queste ultime ad attirarmi. Sono la novità trendy del momento. Spuntano in ogni dove, dal supermercato alle pagine facebook, ai negozi di cibi naturali. Sono molto curioso, pare che abbiano proprietà miracolose. Sarebbero addiritura il segreto della longevità delle popolazioni del Tibet, usate da 6000 anni. Non potevo resistere!

Mentre le sgranocchio seduto davanti al mio computer, mi vado a vedere i dati ufficiali sulla longevità delle popolazioni del Tibet, magari anche qualche serie storica di prima dell’arrivo della “civiltà” che potrebbe aver peggiorato le cose con i nostri usi sciagurati.

Prima delusione, da un white paper delle autorità cinesi, riportato da xinhua.net, pare che nel 1951 l’aspettativa di vita in Tibet fosse di 37 anni!! Ad oggi, grazie agli sforzi in materia di sanità fatti dal governo cinese, sarebbe salita a 67 anni! Non mi pare un granché, io a 67 anni non sarò neanche arrivato alla pensione! Oggi si è scoperto che in realtà le bacche sarebbero originarie della Mongolia interna, ma è peggio, l’aspettativa di vita in quelle terre è di 65 anni. Una rapida occhiata alle tabelle dell’OMS per controllare quanto ci “spetta” a noi occidentali “avvelenati” dalla medicina ufficiale, e mi accorgo che per l’italia il dato è 83 anni! Per il momento Lasagna batte Goji  83 a 67. Ok, forse le bacche di Goji non sono miracolose (qui cosa ne pensa il sito antibufale bufale un tanto al chilo), ma lo sgrannocchiar m’è piacevole, e tutto sommato hanno un gusto interessante che non mi dispiace affatto.

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Goji (un po’ allungate e di colore rosso chiaro), uvetta sultanina (dal colore più scuro) e mirtillo rosso (rosso più intenso)

Un’occhiata all’etichetta, molto chiara, mi rivela che il mio spuntino mi apporterà circa 80 calorie. Di solito mi orientavo sui tarallini, salati e cotti al forno, senza farciture iperzuccherine, pensando di contenere i danni. Una visita ad uno dei tanti siti dedicati mi fa scoprire invece che avrei “speso” ben 270 calorie, molto di più addirittura di un sacchetto di patatine, 135 kcal, o di una brioche alla marmellata, 190 kcal, e anche delle merendine farcite, intorno alle 170 kcal.

Oltre alla sfilza di nutrienti e vitamine , le mie bacche sono ricche di  antiossidanti, altro termine feticcio del moderno nutritionally-correct. Queste sostanze combattono i radicali liberi e sono quindi anti-age. Oltre a ben figurare in una qualsiasi conversazione in società, facendoci passare per bene informati, cosa significano questi termini?

L’ossidazione è una reazione chimica che vede la cessione di elettroni da parte di un elemento ad un altro elemento detto ossidante. Questa reazione porta tipicamente alla produzione di radicali liberi, molecole munite di un elettrone spaiato, quindi attivissime e avide di acquisire elettroni altrui. All’interno del corpo umano il fenomeno danneggia le cellule, provocandone la morte.  Un fenomeno tipicamente associato all’invecchiamento, ma anche a molte patologie cardiovascolari, al cancro, a maculopatie degenerative. Antiossidanti sono quegli elementi che impediscono o rallentano le reazioni di ossidazione. In natura, potenti agenti antiossidanti sono, tra gli altri, i polifenoli, presenti in molti ortaggi e anche nel vino.

Si pensa che integrando la nostra alimentazione con elementi antiossidanti si riesca a prevenire tutte quelle patologie associate ai fenomeni di stress ossidativo.  Un articolo del National Center for Biotechnology Information ne spiega molto bene la teoria. Il problema è che la scienza medica, se li ha effettivamente osservati, non è in grado di determinare se questi siano la causa o la conseguenza delle patologie in questione.

In uno studio del 2008 il British Medical Journal esamina gli effetti degli antiossidanti sulle patologie cardiovascolari in pazienti affetti da diabete, concludendo che non ci sono elementi a sostegno di un beneficio di integratori alimentari contenenti antiossidanti nelle patologie studiate. Nessun altro studio è riuscito ad evidenziare una qualunque efficacia dell’assunzione di antiossidanti nella prevenzione di queste patologie, e ancor meno dell’invecchiamento, mentre sono invece evidenti i potenziali danni di una sovra-integrazione, anche ai più accesi sostenitori della loro efficacia.

Rimane il fatto che rispetto ad una merendina tradizionale, un ridotto apporto calorico, i minimi contenuti di grassi e la presenza di vitamine e fibre sono elementi benefici, riconosciuti da tutti. Certo gli stessi benefici potrei averli potrandomi da casa una mela, o delle carote crude, ma ad un costo di 65 cent le mie bacche miste rappresentano uno spuntino, devo riconoscerlo, gustoso e appagante. Lo sgranocchio, in termini di tempo, dura molto di più di una soffice merenda da forno fatta fuori in due bocconi, e il sapore è sicuramente più interessante. In buona sostanza: merendina salutare della macchinetta, adottata!

Le regard des autres, ovvero l’inevitabile, impietoso giudizio degli altri

Prova scarpe per il prossimo ritorno in palestra
Prova scarpe per il prossimo ritorno in palestra

Da dimagritore pluri-recidivo ho acquisito una certa esperienza dei complicati meccanismi dell’animo umano in materia di diete. Uno degli aspetti certamente sottovalutati dai dietisti novelli è quello che io chiamo “le regard des autres”, ovvero il peso dello sguardo e del giudizio altrui, quest’ultimo costantemente espresso in forma ironica e scherzosa. “I grassoni fanno ridere, sono simpatici e bonaccioni, non c’è nulla di male a scherzare con loro”, è il luogo comune dietro a questi continui attacchi, anche se rivolti involontariamente e allegramente.

Tutto parte dal comune sentire che se uno è grasso è colpa sua, esclusi rari casi di conclamati scompensi ormonali. Quindi “te la sei cercata, non ti lamentare troppo di esser preso in giro, c’è poco da far la vittima!”. Il grassone è dunque piagnone, pigro, incostante, non ha carattere né volontà, non ha amor proprio. In una parola è “diverso” e “debole”. Ecco, mi son scappati i paroloni! Homo homini lupus, il branco fa in fretta a sbranarti.

Il momento più pericoloso è l’inizio. E’ già difficile personalmente poiché il cammino è tutto in salita: cambiare il proprio modo di mangiare, anche solo nelle quantità, è durissimo; fare attività fisica, per chi non è abituato, è altrettanto duro. I risultati ancora devono venire e sono del tutto invisibili al mondo esterno, e il mondo esterno ignora la durezza della battaglia, il valore delle conquiste, i sacrifici finora compiuti .

Ogni dieta è una specie di guerra personale, fatta di molte battaglie, alcune perse e alcune vinte. Si sa benissimo che è difficile vincere una guerra senza concedere tregue, piccoli momenti di rilassamento per riorganizzare le proprie forze, rinsaldare la propria volontà e poter continuare così l’assedio. Nel corso di una dieta può voler dire concedersi uno strappo, controllato. Così una pizza, una birra o un mezzo bicchiere di vino, diventano subito oggetto di scherno.” Bravo, è così che fai la dieta! Ma chi vuoi prendere in giro!”. E’ avvilente, e non si può nemmeno ingaggiare tenzone verbale, poichè l’avversario possiede l’arma assoluta: “basta guardarti. taci!”. Allo stesso modo e invariabilmente, al momento dei pasti tutti diventano improvvisamente esperti, sulla sola base di una linea migliore di quella del grassone di turno. E vai di consigli, critiche, stroncature alla dieta che si sta cercando si seguire con mille difficoltà. Chiunque è autorizzato a sputare sentenze e pareri autorevoli. Inutile discutere, l’argomento finale lo conosciamo: “ma basta guardarti! taci.”

Ci sono poi i perversi, che non appena gli dici che stai cercando di seguire una dieta, si trasformano in diavoli tentatori e cercano di corromperti con ogni mezzo calorico a disposizione. “Ma dai, perchè non ordini questo bel piatto di lasagne? Che ne dici di un bel tiramisù? Non farai mica storie per una volta, non mi vorrai offendere?”.

Dovendo condividere un pasto con altre persone, ho imparato a dichiarare di soffrire di malattie immaginarie come la “gastrite convulsa” o il “reflusso anastatico”. Molto di moda anche le allergie e le intolleranze: basta solo un accenno e tutti gli “esperti” (chi ne soffre davvero in genere non dice nulla o ne parla in modo sensato, così come chi ne capisce qualcosa) si precipitano nella breccia a far sfoggio della propria abissale ignoranza al grido di “anch’io, anch’io!”. Scampato pericolo, si può quindi ordinare in tutta tranquillità la nostra verdura al vapore e il pesce alla griglia, accompagnati da mezzo calice di buon bianco.

La soluzione? Fare esattamente come dicono loro: smettere di fare la vittima e lamentarsi, perché ci sono delle buone notizie, e un lieto fine. Innanzitutto ci si accorge anche di avere molti amici, che sostengono la propria scelta e la incoraggiano. Spesso sono insospettabili, e ciò fa molto piacere. Si nota poi, man mano che i risultati diventano più visibili, un cambiamento radicale nell’atteggiamento degli altri. Il loro “sguardo” cambia, e testimoniano stima e rispetto.

prima e dopo
Il prima e dopo dell’ultima “impresa”. Lo sguardo, e il giudizio morale, degli altri cambia radicalmente lungo tutto l’arco della trasformazione, tra il 2004 e il 2006. Tra la prima e la seconda fotografia ci sono 100kg di differenza.

Stranamente siamo passati da deboli e senza volontà a determinati e virtuosi, ma noi siamo rimasti esattamente gli stessi.  Ora sono di nuovo all’inizio, anche se il percorso è più breve, ma so che pure la percezione di questo stesso post cambierà da qui a qualche mese. E’ una sensazione strana, ma ci si può abituare. Lo so bene, per averlo provato sulla mia pelle. Più volte.

Con lo scarto della spremuta, la marmellata d’arancia antispreco

marmellata d'arance 1Devo ammetterlo, non ci avevo mai pensato. Solo di recente, con l’apertura di questo blog e una aumentata sensibilità alla sostenibilità alimentare e agli sprechi, mi sono accorto di molti piccoli dettagli della nostra vita quotidiana, parte del nostro modello di consumo post-industriale, che messi in fila acquistano una certa rilevanza.

Così una mattina, tra l’orgoglio gastronomico slow di spremere arance fresche, possibilmente siciliane, per la colazione, e un latente senso di colpa per il possibile impatto del loro trasporto lungo la penisola, mi rendevo conto dell’ingente quantità di scarto prodotto da tale operazione. Normalmente avrei evacuato nell’umido la massa di polpa ancora gocciolante, raschiandola dall’apparecchio, senza pensarci troppo. Ora mi rendevo conto che quella “roba” era ancora perfettamente commestibile. Che spreco! Mi son preso a pesarla: per ogni arancia dai 30 ai 35g! Per le nostre tre spremute di due arance ciascuna, stavamo producendo ben 200g di scarto, e questo senza contare le bucce.

marmellata d'arance 3

Quale discendente di illustri confiseur e pasticceri, non potevo non provare a ridare una nuova vita gastronomica a quell’avanzo di fibre, acqua e fruttosio. Avrei provato a farne marmellata, avendone ricevuto i rudimenti in tenera età, tra i calderoni di rame dei laboratori della celebre Maison Domérégo di Nizza, e per aver osservato più tardi mia zia Micheline  confezionarla specialmente per me con arance amare.

Il procedimento che ho seguito è dei più semplici: dopo aver pesato la quantità di materia prima, ho aggiunto la metà del suo peso in zucchero. Per lo scarto delle mie sei arance, duecento grammi complessivi , aggiungevo cento grammi di zucchero e un cucchiaino scarso di pectina, circa 4g. Tagliavo quindi a julienne la scorza di mezza arancia, lasciando la parte bianca, per dare l’amaro alla mia marmalade e dotarla così di una personalità decisamente britannica. In un pentolino antiaderente portavo il tutto a ebollizione, e su fiamma viva lasciavo schiumare per tre o quattro minuti, finché all’occhio non garbasse avendo raggiunto un colore lucido e brillante, e non incominciasse ad ispessire. Fumante e ancora un po’ liquida – raffreddando si sarebbe rappresa – la versavo nell’unico vasetto approntato per accoglierla. Quei tre etti e mezzo di ottima marmalade ci sarebbero durati alcuni giorni. Dopo sarebbe stato bastato ripetere la semplice operazione.

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Com’è venuta? Il colore era di un arancione brillante, intenso e invitante. La consistenza era perfetta, scorrevole e spalmabile pur con la giusta viscosità per restare ben aggrappata alla fetta di pane. Il profumo era intenso e piacevole. Il gusto era un concentrato di arancia, dolce e acidulo, vellutato, con la nota amara delle scorze piacevolmente mordevoli. Insomma, tutto quello che ci si aspetta da una marmalade  delle più titolate. In conclusione e per quanto mi riguarda: marmellata di spremuta adottata! A presto per altre ricette antispreco.

Scarponcini da viaggio, con cravatta

 

Passeggiata Fabriano 3

Durante un recente viaggio di lavoro, mi ero portato dietro i famigerati scarponcini squarciati. Alzandomi un po’ prima sono riuscito a “muovermi” per la campagna marchigiana intorno al mio albergo, con grande soddisfazione. Il tutto senza inficiare sul nutrito programma di lavoro, direi anzi con un certo beneficio sulla tonicità e sul livello di attenzione.

Passeggiata Fabriano

Per chi, come me, tende ad indulgere nell’ozio e a rifuggire da ogni sforzo fisico, le scuse per non “muoversi” sono legioni. Innanzitutto non è mai il momento giusto, vuoi per gli impegni invariabilmente inderogabili, vuoi per lo stress opprimente che impedirebbe di dedicare interamente la nostra mente a questa mistica attività, come se dovessimo sostenere un esame di fisica nucleare. Poi non ci si trova mai nel luogo giusto, o con le giuste condizioni meteo, quasi stessimo organizzando un matrimonio. La verità è che chi è davvero motivato trova sempre una via, nel nostro caso anche un semplice sentiero, mentre gli altri trovano scuse. Nel ribadire il concetto di non aspettare che tutto sia perfetto quando si tratta di compiere il primo passo, mi accorgo che anche in quelli successivi è necessaria una buona dose di motivazione. Quando dedicare un po’ di tempo all’attività fisica? Ora! Dove farlo? Qui!

Il trucco è di prefissarsi degli obiettivi alla nostra portata, facilmente gestibili e che non sconvolgano la nostra vita, perché allora incombe la rinuncia e le comode scuse sorgono spontanee. Occorre anche approfittare delle occasioni che si presentano all’improvviso, operare costantemente delle piccole scelte, come usare le scale anzichè l’ascensore quando si tratta di raggiungere il primo o il secondo piano (poi man mano che si progredisce, si sceglierà di farlo anche per il terzo e il quarto piano). Uscire dalla locanda tre quatri d’ora in anticipo per girarsi la campagna circostante, malgrado il luogo sconosciuto, malgrado la leggera pioggia, malgrado i pensieri di lavoro, malgrado non fosse tutto perfetto, è stata tutto sommato un piccola scelta, facile e gestibile, ma che mi ha permesso di continuare a muovermi. Un piccolo contributo, ma costante, al cambiamento di stile di vita.

Passeggiata Fabriano 1

Nel mio personalissimo cammino verso Expo, uno dei tanti possibili, sono importanti anche questi minuscoli passi, irrilevanti nell’ordine generale delle cose, ma per me vere e proprie micro-conquiste, con la speranza di poter ispirare altri “diversamente sportivi”. La telefonata del mio ufficio stampa, ricevuta in mezzo alla natura e sotto una pioggerellina insistente, è stata poi un’esperienza rivelatrice di quanto i problemi appaiano diversi, meno spaventosi e quasi irrisori, se solo si cambia il contesto e si considerano da una prospettiva leggermente diversa dal solito. Sarà un’impressione, ma le soluzioni sembrano apparire anche più facilmente, come fossero incise nella corteccia dei lecci onnipresenti, o sussurrate dalla brezza pur gelida. Cose già note, ma quando si provano sulla propria pelle fanno tutto un altro effetto!

 

Ho provato: la casetta dell’acqua

Casetta dell'acqua

Uno dei temi centrali della sostenibilità alimentare è proprio quello dell’acqua. Negli ultimi tempi sono spuntate  in ogni cantone della nostra provincia le cosiddette “casette dell’acqua”. Un fenomeno alquanto interessante, poiché accomuna in un unico trend, in decisa ascesa, sia chi vuol semplicemente risparmiare sia coloro che vogliono salvaguardare l’ambiente.  Si risparmia perchè un litro d’acqua  “della casetta” costa solo 5 centesimi, contro un prezzo che oscilla tra i 15 e i 33 centesimi delle acque inbottigliate; si rispetta l’ambiente perché si evita così di utilizzare le tanto vituperate bottiglie di plastica con tutto quello che comportano anche in termini di trasporto e stoccaggio. Ho voluto provare in prima persona.

Carica acqua

Mi attrezzo con un grazioso cestino rosso, €3,  e  6 bottiglie di vetro con quell’irresistibile tappo retrò (tecnicamente “tappo meccanico”), €1,67 cadauna per complessivi €10,02. Un investimento iniziale tutto sommato modesto di €13,02, ma in quanto al risparmio, per ora sono in perdita. Mi reco quindi ad una  casetta che si trova lungo uno dei miei percorsi abituali. Il motivo è che se devo salvaguardare l’ambiente, voglio evitare di dover fare chilometri in macchina solo per procurami l’acqua. La prima impressione è di pulizia, semplicità e razionalità. Facilissimo posizionare la bottiglia senza toccare alcuna parte dell’apparecchio, a garanzia dell’igiene. Ancor più facile inserire i pochi centesimi e scegliere il tipo di acqua desiderata, naturale o frizzante. Tempo totale, compreso i tempi di parcheggio e “ripartenza dai box”, per il rifornimento del mio cestino, tre minuti e mezzo. Questa fase mi ha decisamente convinto. Me ne torno quindi a casa col prezioso malloppo per la prova con le mie cavie.

 

cassetta acqua

 

Come si testa un’acqua minerale? Girando in rete scopro sul sito di un noto mensile femminile un gioiellino di articoletto nel quale lo chef  televisivo Simone Rugiati veste i panni dell’ “idrosommelier” e spiega, molto seriamente, come degustare l’acqua. Si tratta, nell’ordine, di versare – facile, ce la possiamo fare – e osservare il liquido verticalmente e orizzontalmente per individuare eventuali corpi estranei. Non avendola pescata in un acquitrino non mi sorprendo nel costatare l’assenza di intrusi. Si passa poi ad un primo assaggio, d’impeto, per verificarne la freschezza. Ok, mi pare fresca, anzi, freschissima! Si tratta poi di berne un altro sorso di esattamente 15ml – non posso garantire, vista anche la mia “cilindrata” – e mantenerlo in bocca sulla lingua, ad occhi chiusi (facile), per poi far scivolare l’acqua verso il fondo del palato e deglutire. Naturalmente soffoco e mi strozzo, e devo ripetere l’operazione. Stavolta riesco a percepire sapidità e acidità. Sta funzionando. Ripeto di nuovo, aspirando anche un po’ d’aria. Decisamente piacevole e sicuramente meglio dell’acqua in bottiglia di plastica che compro abitualmente!! L’acqua della casetta è PIU’ BUONA di quella che bevo normalmente. Solo per questo la comprerei ad un prezzo più elevato, ma addirittura la sto pagando quasi sette volte meno.

Facendo due conti, stabilisco che nel mio caso particolare andrei in pari dopo circa 45 litri, cioè un paio di settimane, visto il consumo quotidiano di circa tre litri. Dopodiché risparmierei la cifra non indifferente di €25 al mese, ovvero €300 annuali.  Mica male, soprattutto se l’acqua è più buona. Ma è anche sicura?

Mi documento. Funziona così: le casette sono collegate alla rete idrica del comune di pertinenza, quindi è l’acqua dell’acquedotto, già controllata con standard igienico-sanitari molto elevati. Viene poi microfiltrata, sterilizzata agli ultravioletti e infine viene rimosso il cloro che potrebbe contenere. Si può concludere ragionevolmente che quest’acqua è più che sicura.  In sostanza è la versione pubblica di quegli apparecchi che si possono installare anche in casa propria. Praticamente sto comprando acqua del rubinetto,  ma col servizio aggiuntivo di un ulteriore trattatamento, refrigerazione e gasificazione.

Carica acqua 1

Per quanto riguarda, gusto, sicurezza e risparmio, ci siamo. Ma l’impatto sull’ambiente? Utilizzo i dati diffusi dall’Osservatorio Rifiuti della Provincia di Varese, ripresi da numerosi mezzi d’informazione, per fare un calcolo della mia “impronta” personale: con i miei 90 litri mensili, evito l’utilizzo di ben 60 bottiglie di plastica da 1,5 lt, per un peso complessivo di 2,4 kg di PET; per produrli si sarebero impiegati 4,81 kg di petrolio e altri 42 lt d’acqua, con l’emissione di 5,53 kg di CO2 e 60g di NOx . Tutto questo in un mese e per un solo nucleo familiare! C’è da dire anche che con la raccolta differenziata, il PET viene riciclato, attutendo l’impatto sull’ambiente, ma tutto sommato l’esperienza si è rivelata più che positiva.

In conclusione, semaforo verde – è il caso di dirlo! – su gusto, risparmio e ambiente. Tre ottimi motivi per cambiare, e per quanto mi riguarda: Casetta dell’acqua adottata!