E-mail sull’Arte di oggi 1, Querci/Michilini

Ci siamo conosciuti virtualmente e da qualche mese stiamo dialogando sui temi dell’ARTE CONTEMPORANEA e/o ARTE DI OGGI via Blog/Commenti ed e-mail privati, Alessandro Querci da Firenze ed il sottoscritto Sergio Michilini da Managua. Questa fase di “rodaggio” ci ha permesso di trovare una certa armonia, nonostante divergenze ed opinioni differenti su vari argomenti….ma forse riusciamo anche ad arrivare a dei punti minimi condivisibili…chissà…la cosa sarebbe notevole in questa Grande Babilonia dell’Arte che ci circonda. Abbiamo pensato di pubblicare queste e-mail così da permettere la partecipazione di chiunque volesse arricchire il dialogo.

Venerdì 29 Giugno 2012

Caro Sergio,
credo che il mio commento al quale fai riferimento non fosse la solita replica volta a correggere o negare le tue affermazioni, quanto piuttosto a cercare un terreno comune di condivisione dei valori ai quali fai riferimento. Forse, almeno lo spero, è anche per questo che ‘trovi difficoltà’ a ribattere.
Non considero i nostri ‘botta e risposta’ come una sterile schermaglia, ma cerco – credo che tu l’abbia capito – di arrivare ad un nocciolo di tematiche condivisibili da entrambi – e spero anche da molti altri – ma per far questo sono costretto a cercare di confutare alcuni tuoi ‘assiomi’.
Credo che tu faccia lo stesso.

Vorrei chiarirmi: non vorrei averti dato l’impressione ch’io sia un difensore a spada tratta del Sistema, che pensi che tutto va bene così.
Non lo penso nemmeno io, anche se evidentemente parto da presupposti ben diversi dai tuoi.
Sono anch’io convinto che esistano raccomandati, opportunisti, e fra gli innumerevoli artisti anche personaggi senza alcun talento.
Il fatto è che ne trovo molti anche fra i difensori della ‘purezza’ dell’ideologia della pittura.
Non solo artisti ma anche critici, curatori, galleristi, politici-politicanti-faccendieri.
Non puoi immaginare quanto ami la pittura, e quanto la consideri, oggi più che mai, una sfida necessaria e difficile.
Forse è per questo che accuso molti pittori che si sentono nel diritto di criticare ciò che non reputano ‘vera arte’ per poi andare a produrre opere oggettivamente mediocri, quando non pessime e sentirsi riscattati per il solo fatto di dipingere col pennello.
Non mi sto riferendo a te, che stai portando avanti un discorso profondamente rivolto all’etica e che io apprezzo molto.

Come ho scritto in uno dei miei primi post, sono convinto che sia venuto il momento di rimettere in discussione gli ultimi cento anni, o forse 50 di storia della produzione artistica occidentale.
Questo però non significa catalogare sommariamente gran parte di questa produzione come monnezza, cattivo gusto, imbroglio, complotto.
Secondo me la faccenda è assai più complessa, e quindi più difficile da sciogliere.

Il mondo va piuttosto malaccio e sicuramente penso che ci sia qualcosa che non va, molte cose.
Sono convinto, come te, che la malattia fondamentale della nostra epoca (ma ahimè, non vorrei ripetermi, ma penso che sia una malattia vecchia quanto il mondo) sia il danaro, la sete di potere, la volontà di sopraffazione dei più deboli al fine dell’arricchimento dei più forti.
Vorrei poter dire che si tratti anche della vittoria del materialismo sull’etica e la spiritualità, ma credo che anche la Chiesa – nonostante i tanti personaggi di altissimo valore spirituale ed umano – non porti un buon esempio, a parte i programmi di facciata.
Nella storia il potere temporale del clero è stato schiacciante e crudele, ed anche la Chiesa si è macchiata di grandi infamità.

Oggi è l’etica a vacillare e ad essersi indebolita, a causa della ricerca forsennata di profitto, di appagamento narcisistico, di mancanza di uno spirito critico e di valori culturali condivisi.

Trovo che il sistema dell’arte, pur testimoniando anch’esso di questa perdita di valori e della deriva materialistica della società, possa tutt’ora considerarsi un baluardo, se lo paragoniamo ad altri campi dell’attività umana.
Joseph Beuys, che ho visto spesso criticare duramente sulle tue pagine, ha prodotto un lavoro volto a sottolineare proprio questa perdita di umanità, delle radici profonde dell’essere umano e dell’importanza di un rapporto più autentico con la natura.
Quando afferma che ogni uomo è un artista intende sottolineare la responsabilità, la necessaria presa di coscienza a livello individuale dell’importanza di ogni gesto quotidiano.
L’arte, per lui, deve testimoniare di questa presa di coscienza, necessaria per il futuro dell’umanità.
L’arte è uno degli strumenti che si fanno carico di questa presa di coscienza ‘rivoluzionaria’.
Una rivoluzione non rivolta alla distruzione del passato, ma a una ricostruzione delle fondamenta per il futuro.
Beuys è un artista che è stato ‘museificato’ suo malgrado, giacchè – in vita – a fatto tutto il contrario, cercando sistematicamente di far vivere e germinare il suo messaggio al di fuori delle mura dei musei e delle gallerie.
Giudicare il suo lavoro in base ai suoi ‘resti’ museificati rappresenta un grosso errore di valutazione critico-storica ed anche umana.

Sono convinto che se tu ti fossi preso la briga di approfondire la conoscenza del suo lavoro, e del suo messaggio, lo troveresti molto più vicino alla tua sensibilità di quel che avresti mai pensato.
Ma non te faccio certo una colpa, hai tutto il sacrosanto diritto di rivolgere la tua attenzione e la tua ispirazione altrove.
Semmai cerco di combattere quella che trovo sia una tua ‘strumentalizzazione mistificante’ del suo lavoro.
Tanto per fare un esempio.

Sinceramente non ho nessuna voglia di usare un blog per denunciare le malefatte di questo o quello. Ce ne sono già tanti, grazie a Dio, ed io non sarei assolutamente in grado di fare di meglio.
Cercherò di farmi venire in mente qualcosa di interessante, mi pare già che la coda di questa mail potrebbe essere un buono spunto per andare ad impostare un possibile ‘piattaforma condivisa’.
Così finiamo tutti a tarallucci e vino!
Alessandro Querci


Venerdì 29 Giugno 2012
Caro Alessandro,
non voglio scandalizzarti, ma sono sicuro che potrei condividere con Joseph Beuys parecchie delle sue idee, concetti, visione del mondo e della vita….mentre invece trovo molte difficoltà a condividere tutto questo con coloro che oggi dipingono con tele e pennelli.

E non mi ritrovo solamente con Beuys, ma anche con la maggior parte degli artisti contemporanei, con le loro inquietudini, idee, dubbi e frustrazioni…..ma siamo a livello di idee e non di creazione “artistica” o di opere d'”arte”.

Sono orgogliosamente reduce del ’68 e condivido tutto “il meglio” di quel movimento, che secondo me non è finito per niente, ma continua dappertutto con i movimenti di base, con gruppi, associazioni no global ecc. ecc.ecc.
Sento dentro una profonda rabbia per come vanno le cose…. Ed è per questo che non vivo in Italia, ma in un certo senso in esilio volontario qua, in mezzo alla gente povera e che ha bisogno di tutto, meno che della felicità di vivere, di sentirsi esistere e vivere, nonostante tutto.

Per quanto riguarda l’arte la mia rabbia è doppia, perchè, al contrario di come tu la pensi (e che rispetto sinceramente) io vedo che è il settore umano che più è caduto in basso….mi sento di appartenere a un ambiente piuttosto ripugnante.

Ciononostante credo che ci potrebbe essere un minimo comune denominatore per ricominciare a ragionare su queste cose (rivedendo, appunto, come tu suggerisci, gli ultimi 50 anni): credo che bisognerebbe ripartire dall’oggetto “artistico” prodotto….perchè, come ho scritto in un post recente :….”Si racconta che Degas avesse detto a Mallarmé:”Ho una splendida idea per una poesia, ma non mi riesce di realizzarla”; al che Mallarmé rispose: “Mio caro Edgar, le poesie non si fanno con le idee: si fanno con le parole”.

Se l’oggetto è FATTO MALE non serve. Anche se ci si scrivono volumi di parole per descriverne i concetti, idee, contenuti.
E come si capisce se l’oggetto è fatto bene?

Io azzarderei alcuni criteri. Inizierei con i MATERIALI: tutto cio’ che è fatto con resine sintetiche (derivati dal petrolio) non resiste al tempo ed è inquinante, e quindi si parte con il piede sbagliato. Io mi arrabbio quando vedo gente che lavora con il plexiglas, con le bombolette spry (che ampliano il buco di ozono), con presunte “tecniche miste” che sono una accozzaglia di elementi chimico-fisici incompatibili ecc. ecc.

Poi passerei al DISEGNO…cioè a tutto quello che concerne il progetto, la struttura, la composizione, il colore…cioè il “nuovo ordine interno” che ciascuna nuova opera dovrebbe esprimere plasticamente (indipendentemente da temi, concetti, contenuti ecc.), e alla sua “funzionalità propria” come insieme di forme, colori, spazi, movimento ecc. ecc. il linguaggio SPECIFICO, che non è musica, nè letteratura, nè teatro o cinema…ma Arti Plastiche.

Lascerei per ultimo IL SENSO dell’oggetto creato e che abbiamo davanti….che senso ha, per noi, oggi, per il futuro ecc ecc. (questo è un capitolo importante, perchè ha a che fare con sensibilità, visioni, vissuto, esperienza, ricerca, storia, intorno spaziotemporale ecc. ecc.)

Mentre il TEMA rappresentato, il presunto “CONTENUTO”, il “CONCETTO” o la IDEA li lascerei fuori, a ciascuno, alla interpretazione di ciascuno… sono cose che assolutamente non mescolerei alla valutazione della qualità dell’oggetto in discussione.

Scusa se ho buttato giù rapidamente queste impressioni…adesso mi stanno chiamando e non faccio neanche a tempo a rileggere.
Ciao, un abbraccio
Sergio Michilini

Martedì 3 Luglio 2012

Confesso che la prima parte della tua mail mi ha spiazzato, quasi non ti riconosco.
E comunque concordo con la tua visione del ‘meglio’ dell’eredità postsessantottina.
Un pò ti invidio, nel senso che io, me ne dolgo, non ho la forza, la capacità, o forse più che altro la volontà di combattere per i miei ideali. Sono scoraggiato, un pò cinico, e cerco alla meglio di sopravvivere ‘eticamente’ a questo mondo marcio, ‘resistendo’ nel mio privato, cercando di trasmettere dei valori sani a mia figlia e a chi mi sta vicino. Ma ammiro chi fa scelte impegnative, si assume la responsabilità di combattere e si mette in gioco.

Torniamo un pò sulla terra, nel nostro piccolo orticello del dibattito sull’arte.
Trovo che la tua analisi sui ‘materiali‘ sia un pò riduttiva.
Cioè, in base a cosa posso riconoscere materiali ‘nobili’ – etici ed altri ignobili e non-etici?
In base alla dignità estetica? in base alla storia? In base ai danni che procuriamo all’ecosistema?
Allora si entra in un ginepraio dove è difficile capire cosa sia veramente buono e cosa cattivo.
Dobbiamo farci i colori (ammesso che vogliamo pitturare) da soli? ma anche i pigmenti in vendita, gli olii, le tempere, sono un prodotto industriale altamente inquinante.
Dovremmo forse tornare a farceli completamente da soli? la vedo dura.
Ricordo un bell’articolo di un’amica tessitrice che ‘smonta’ la teoria delle ‘tinture naturali’, che oggi chiameremmo eco-compatibili.
Dalla sua ricerca si evince che anche la maggior parte dei colori che oggi definiamo ‘naturali’ siano prodotti di sintesi chimica, ed ancor di più quelli ‘antichi’, in pratica un mucchio di composti velenosissimi (infatti i pittori rimanevano sovente intossicati) per la frequente presenza di sostanze altamente tossiche.

Paradossalmente, gli esponenti dell’Arte Povera erano consapevolmente ecologici, così come molti esponenti della Land Art americana.
A maggior ragione il nostro Beuys, che si limitava a pochi elementi naturali, il grasso animale, la cera, il feltro, gli elementi della natura.

Per ciò che concerne gli altri ‘livelli’ di analisi che proponi, mi sembra interessante, ma troppo legati ad una forma di espressione puramente figurativa o astratta-decorativa, insomma si resta legati ad un ambito puramente formale, infatti tu lo chiami giustamente ‘arti plastiche’..
Anche qui si entra in un labirinto di possibili fraintendimenti, giacchè anche forme di arte diverse – informali/concettuali – possono presentare un ordine formale ben preciso e strutturato.
Non dico tutte, ma molte.
Per ciò che riguarda le ‘arti plastiche’ in pratica il percorso che suggerisci è quello che – nei fatti – viene comunemente praticato per costruire un ‘giudizio’ sulla validità di un’opera.
Quindi il problema, dal mio punto di vista, sta nel cercare di capire cos’è che può rendere arte tutto il resto, ma anche qui sono stati sparsi fiumi di parole e riflessioni, alcune delle quali assai convincenti e condivise, al di là degli stereotipi, delle formulette e dei luoghi comuni.
L’arte ‘del sistema’ è nei fatti assai più ‘formale’ di come pretendi di rappresentarla nelle tue dissertazioni.

Il tuo concetto di ‘manualità’, come ho scritto in precedenza, mi sembra un pò limitante, giacchè quasi tutti gli artisti che conosco (ma forse potrei tranquillamente dire tutti) lavorano, di fatto, molto con le mani usando i più vari strumenti. Ma se non si accettano questi strumenti si torna al punto di prima.

Ma è mia intenzione cercare di raggiungere questo famoso punto d’incontro, solo che ci devo pensare bene, messa così ci sono troppe cose che non mi tornano.

E’ anche vero che non è detto che lo si possa trovare, e che io stia inseguendo un miraggio ‘ideologicamente buono’ che nella realtà non è così praticabile.
Può darsi al contrario che ognuno debba continuare a difendere le proprie posizioni, non dico ‘arroccarsi’ sulla propria postazione, ma cercare di far valere le proprie ragioni.

Per ora, al contrario di te, trovo che l’unico terreno di condivisione sia proprio quello che tu cerchi di tener fuori dalla discussione, cioè i concetti, significati, atteggiamenti messi in campo dalle opere, così diverse nella forma (non sempre) ma così vicine – talvolta – nei contenuti.
Ciò nonostante credo che la tua ricerca di un valido criterio formale, del buon vecchio ‘saper fare’ possa essere qualcosa da approfondire.

Insomma, un bel casotto.
Alessandro Querci

Giovedi 5 Luglio 2012

E’ vero, caro Alessandro è un “bel casotto” quello dell’Arte di oggi, quasi come l’economia, la politica, la religione e tutto il resto. Potrebbe essere un po’ meglio il mondo, se l’animale umano non fosse così nefasto.

Allora, io avevo proposto tre criteri: MATERIALI, DISEGNO, SENSO, per valutare se l’oggetto che abbiamo di fronte è fatto male o no…con cio’ non credo di avere inventato niente di nuovo. Credo che criteri simili si siano sempre adottati, insieme a quelli “fluttuanti” dei “canoni”, dei temi, del “bello”, delle mode, delle ideologie, delle fedi o dei concetti ecc. ecc.

Sono pero’ della opinione che quando prevalgono, nei giudizi di un’opera queste ultime cose STIAMO FRITTI (ricordi il vecchio “criterio politico che deve prevalere su quello estetico”?….in confidenza: non ci trovi delle intriganti somiglianze tra il “criterio politico” del vecchio Zdanov e il “criterio concettuale” del Sistema Arte Contemporanea, fatta salva la “rigidità” dell’uno e la “flessibilità” dell’altro?…).

Ma passiamo all’OGGETTO, cioe’ alla COSA o alla STRUTTURA che abbiamo davanti per stabilire se potrebbe essere o no una opera d’Arte.
Per quanto riguarda i MATERIALI in parte hai ragione….i furbacchioni ci vendono prodotti artificiali facendoli passare per “naturali”….ci troviamo nell’epoca della industria capitalista del Profitto e del Dominio e percio’ siamo rimasti intrappolati tra i materiali infettati dalla “obsolescenza programmata” (e quindi con durata limitata nel tempo)….e quelli durevoli ma coperti da“segreto militare” (coloranti e materiali per satelliti, droni, sommergibili ecc.).

Non ci rimane che ricorrere a materiali tradizionali che, non esageriamo, alcuni si trovano ancora….rarissimi e carissimi…a costo di “saltare il pasto”, come diceva il mio Maestro Trovarelli…..(come per esempio i materiali per l’affresco, il silicato di potassio e la ceramica che, tra l’altro, garantiscono un ancoraggio chimico e non solo fisico con il supporto, e quindi sono i più resistenti al tempo e alle inclemenze atmosferiche).

C’è, in generale, un indubbio ritorno ai materiali ecocompatibili e alle tecniche tradizionali o nuove e bioecologiche nella architettura e non vedo perchè non si possa ragionare in questi termini anche per le Arti Plastiche in generale.

Ma non sono solo gli aspetti chimico-fisici che ci riguardano quando parliamo di materiali….ci sono anche e soprattutto “le voci” di questi materiali….tutti i materiali parlano, suggeriscono…e bisogna entrare in comunicazione confidenziale con loro…mettere in moto, in questo rapporto, i sentimenti….credo che un vero artista non puo’ non “amare” i materiali con cui lavora: nella creazione artistica non si “usano” i materiali ma si “collabora” con i materiali.

Non so se si debba parlare di materiali ‘nobili’, caro Alessandro…di certo direi che, come in tutti gli altri settori del nostro vivere sociale, si dovrebbe usare IL MEGLIO dei materiali e delle tecniche che il mondo moderno mette a disposizione (avessero avuto tutte queste cose i vari Fidia, Brunelleschi, Caravaggio e tutti i maestri del passato!).

Pero’…se mi permetti uno sfogo….artisti italiani: baaastaaa con i plasticoni bruciacchiati, i sacchi di yuta, le tele bucate, i rottami, i cartoni, gli stracci!!!!…lasciamo che con questi materiali lavorino quelli che non hanno alternative, come i nostri amici che vivono nella discarica pubblica qua a Managua e con questi materiali non ci fanno le “installazioni” ma la loro casa, dove DEVONO viverci con la famiglia.

Per quanto riguarda “gli altri livelli”, ci sarebbe da chiarirci un pochetto (perchè mi pare di capire che tu parli di Arti Visive in generale, mentre io parlo di Arti Plastiche)…… Che, come tu dici “si resti legati ad un ambito puramente formale” …inteso come puro “formalismo”  (da “torre d’avorio”) ovviamente non funziona….ma non bisogna dimenticare che le Arti Plastiche sono fondamentalmente arti della forma, del colore e dello spazio…..e queste non limitano niente, anzi, al contrario liberano l’individuo e la società.

Caso mai le “limitazioni” sono state imposte alla forza in questi ultimi trecento anni, prima “divorziando” l’Architettura dalla Pittura e Scultura, poi mettendoci il “filtro” gallerista/critico tra il committente pubblico/privato e il creatore, poi togliendo il tema e la funzione sociale del creatore e, alla fine invadendo il territorio rimasto con linguaggi teatrali, cinematografici, letterari ecc.

Ad ogni modo, non posso esimermi dal dire quello che penso, anche se la storia va da tutt’altra parte. E quello che penso è che si potrà riacquistare la libertà, dignità e spessore espressivo non solo dei creatori, ma anche dei fruitori e della società in generale, solamente quando L’ARCHITETTURA TORNERA’ AD ESSERE UNA DISCIPLINA DELLE ARTI PLASTICHE, INSIEME ALLA PITTURA E ALLA SCULTURA e questo dovrà succedere SIA A LIVELLO DIDATTICO CHE PRODUTTIVO, perchè il primo problema delle Arti Plastiche (non l’unico, ma sicuramente il principale) è lo SPAZIO FISICO DELLA CONVIVENZA SOCIALE di un popolo o di una nazione o di una civiltà. Ed è proprio questo spazio fisico sociale che si sta deteriorando sempre più, disumanizzando, banalizzando, ingrigendo….

Aspettando che cio’ avvenga, o sognando che avvenga (chissà),dobbiamo pragmaticamente registrare il fatto che le Arti Plastiche si stanno allontanando sempre di più dalla loro funzione principale…..rinchiudendosi nelle gallerie e nei musei, via via, nel privato …fino ad atrofizzarsi per esempio nel VIDEO….. che, guarda caso, è un ritorno alla vecchia finestra visiva albertiana, con lo spettatore fisso e immobile nel centro della immagine….il movimento dentro, e l’immobilità fuori…la idea dentro e il contenitore vuoto, da riempire, fuori…..
Anche sulla “MANUALITA’”, è vero, siamo diventati un popolo Black & Decker e il “fai da te” domina incontrastato…..mah….forse la “manualità” era un’altra cosa e forse ci siamo dimenticati o addirittura persi….forse per pensare al futuro sarebbe il caso di rivedere umilmente cosa intendevano i nostri antenati per manualità…e anche per MATERIALI, DISEGNO, SENSO ecc. Nel frattempo noi, magari con l’aiuto di qualche lettore, possiamo continuare a ragionare, per ritrovare il bandolo della matassa….anche se il mondo continuerà imperterrito ad andare da un’altra parte.

Un forte abbraccio
Sergio Michilini

Jose Clemente Orozco, 1936-1939 LA CADUTA DELLE IDEOLOGIE, affresco nel Palazzo del Governo di Guadalajara, Messico.

14 pensieri su “E-mail sull’Arte di oggi 1, Querci/Michilini

  1. Dopo averci riflettuto un po’ accolgo il simpatico invito di Alessandro e tento un commento. Premetto che personalmente ritengo poco importante e persino poco utile un’analisi tendente a definire ciò che possa essere considerato “arte” e cosa no, ma detto questo, mi pare che, se un tal discorso lo si vuol fare, sia utile non dimenticare che, così come l’arte visuale non si esaurisce con disegno, pittura e scultura, altrettanto l’ arte non si esaurisce con l’arte visuale: poesia, letteratura, teatro, musica, ecc. ecc. sono, indubbiamente espressioni artistiche. So che nessuno di voi lo nega ma, dimenticarlo nel momento che si voglia definire “che cosa è arte e che cosa non lo è”, porta facilmente a degli errori di prospettiva. Per esempio: se intendo definire “l’opera d’arte” in via generale diventa subito chiaro che un discorso sui “materiali” o sul “disegno” è inaffrontabile e non porta a nulla e se questo è vero nel tentativo di definire “l’opera d’arte” in senso generale non può non esserlo anche nel tentativo di definire l’opera d’arte nel più limitato settore delle arti visive.
    Infine non riesco a vedere che differenza ci sia tra “senso” di un’opera d’arte e “concetto” della stessa (mentre “tema” “contenuto” “idea” sono termini più specifici e limitati ad aspetti particolari che non mi par proprio possano ragionevolmente aver rilevanza, neppur, limitata nel contesto del discorso di cui si diceva.)
    Io credo che se noi teniamo ben precisa in mente la vasta gamma di “prodotti” cui l’espressione “opera d’arte” può far riferimento e ci focalizziamo proprio sul suo valore generale forse non tarderemo a trovare un possibilità di sua “definizione”, ripeto, dato e non concesso che valga la pena farlo.
    Ci sarebbero, invero, nel vostro scambio, molti altri spunti interessanti che meriterebbero un commento, ma credo che, almeno per il momento, sia più opportuno mi fermi qui.
    LGG

  2. Leggendo il paragrafo nel quale Michilini tira in ballo i materiali derivati dal petrolio affermando che il loro uso è eticamente da stigmatizzare e che sono poco stabili nel tempo ho subito pensato a Burri ed ai magnifici lavori visti a Città di Castello qualche mese fa.
    Mi meravigliai delle ottime condizioni di conservazione di certi lavori in fogli di polietilene bruciacchiati, vecchi di almeno 50 anni e ancora trasparenti, integri. Quei lavori non sarebbero potuti esistere in altri materiali ed il fatto stesso che un artista visivo li prendesse in considerazione, a quell’epoca, e ne svelasse le qualità espressive o anche solo materiche è, secondo me, molto interessante e poetico. In seguito il lavoro dell’artista umbro si è concentrato su altri materiali, e in ultimo sulla pittura in senso stretto, lavorando con le qualità lucide/opache di pigmenti e supporti.
    Poi scorrendo le varie repliche mi sono trovata di fronte ad una frase che tira direttamente in ballo Burri, pur non citandolo direttamente.
    Perché? Mi sorprende molto, la sua opera la trovo straordinariamente ‘classica’, onestamente pittorica.
    E poi chi ha detto che l’arte si debba conservare nel tempo?
    Siamo così certi che la cappella sistina che osserviamo adesso fosse quella che videro Sisto IV o Giulio II? I colori erano gli stessi? E la nostra sensibilità?
    Se un’opera d’arte ‘muore’ o si degrada è una perdita così irreparabile?
    Personalmente amo molto le sculture di Jean Tinguely: che siano informate dalla teoria dell’obsolescenza programmata?

  3. Come ho già detto sono molti i punti sui quali mi piacerebbe esprimere un commento ma credo sia meglio affrontarli ad uno ad uno con rilassatezza. Ecco, vorrei iniziare da questo : “…fino ad atrofizzarsi per esempio nel VIDEO….. che, guarda caso, è un ritorno alla vecchia finestra visiva albertiana, con lo spettatore fisso e immobile nel centro della immagine….il movimento dentro, e l’immobilità fuori…la idea dentro e il contenitore vuoto, da riempire, fuori…..”
    Detto così sembra perfetto, sembra, come si suol dire, “non fare una piega”
    Però… però ti chiedo e un quadro? Non è forse, esso pure, una “finestra” ? Non ti pare che si possa dire d’esso quel che tu dici del video “…con lo spettatore fisso e immobile nel centro della immagine….il movimento [congelato nell’attimo ritratto] dentro, e l’immobilità fuori…la idea dentro e il contenitore vuoto, da riempire, fuori…..” ?

  4. Gentile Luciano G. Gerini, La Storia dell’Arte Italiana è stata quella dei grandi cicli pittorici e scultorici integrati all’architettura (il quadro era, diciamo, un opcional, secondario)….semplificando: con Giotto lo spettatore stava fisso davanti all’affresco….via via fino al Barocco con la sua magia visiva che avvolge totalmente lo spettatore, sempre più o meno fisso e immobile…poi la grande rivoluzione, dal 1920 in poi: si scopre che lo spettatore si muove liberamente in uno spazio determinato, e il suo percorso provoca infinite deformazioni dei coni ottici proiettati sulla architettura. Da quel momento lo spettatore diventa “ispiratore” nella fase di progettazione dell’opera e poi attore dell’opera finita, in quanto lo stesso suo movimento mette in moto i meccanismi visivi e pertanto espressivi dello spazio pittorico, scultorico e architettonico.. Un mondo totalmente nuovo si apre per le Arti Plastiche. Un mondo che viene messo a tacere intorno al 1960-70.

  5. Scusa Sergio,
    se parli esclusivamente di nuove modalità in pittura, non sono sicuro di capire bene a cosa ti riferisci.
    Se invece parli di arti plastiche-scultoreo-architettoniche, perdonami ma quello che scrivi nell’ultimo post, semplicemente, non è vero.

  6. Caro Alessandro, normalmente cerco di non dire le bugie, ma siccome sono, come tutti, un essere umano, mi posso anche essere sbagliato, e quindi magari nella seconda ondata di email ti sarei grato se mi spiegassi, semplicemente, la verità…un abbraccio
    Gentile Luciano, innanzitutto la ringrazio per i suoi commenti così scrupolisi e che rispetto, anche se dissento in alcune cose. Per esempio, i miei dubbi sulla “inutilità” di definire cosa è Arte sorgono quando penso alle centinaia di migliaia di giovani che in Italia studiano “Arte”; alle migliaia di insegnanti di Materie Artistiche la cui “libertà d’insegnamento” è sacra (sono stato uno di loro); agli Assessori alla Cultura dei Comuni e alle Commissioni di Valutazione di opere pubbliche, ai Direttori dei Musei che debbono scegliere chi, contemporaneo, debba o no essere “storicizzato” ecc. ecc. Tutte le discipline della Cultura, delle Scienze, dello Sport ecc. hanno chiaro i loro perrcorsi didattici e obiettivi professionali…..meno che le Belle Arti o Arti Plastiche o Arti Visive…quando le cose si fanno con denaro pubblico si potrebbe anche fare uno sforzo per “un’analisi tendente a definire ciò che possa essere considerato arte e cosa no”…o mi sbaglio?
    Poi, parlando di Arti Plastiche, le definizioni “SENSO” e “CONCETTO” credo che siano abbastanza o molto differenti. La prima, il “senso”, è una sensazione, una emozione plastica che non si puo’ descrivere, nè recitare nè cantare, nè fotografare, ma solamente cercare di trasmettere con gli strumenti specifici del nostro linguaggio: forme, colori ecc. ecc. Mentre che la seconda, il “concetto” è un pensiero che si puo’ descrivere benissimo e puo’ anche vivere autonomamente, senza la “indispensabilità” di essere tradotta in forme, colori ecc.
    Gentile Eva, anche il suo commento è degno di tutto rispetto….ma io debbo confessarle con tutta sincerità che SI, se una vera opera d’arte, unica e irripetibile, si degrada o “muore” è una tragedia irreparabile, per tutta la umanità e anche per l’universo.

  7. Caro Sergio, apprezzo e comprendo la sua passione per le “arti plastiche” (nel senso in cui lei le definisce appassionano pure me e, credo, infiniti altri) ma mi permetto di farle notare che tra il periodo di declino dell’affresco ed il 1920 intercorrono, mal contati, un trecentocinquanta anni nei quali il “quadro” (e suoi stretti conspecifici) hanno rappresentato largamente il 70-80 per cento dell’arte prodotta. Detto questo, per altro, la mia citazione del “quadro” era solo per farle notare che quanto affermava per il “video” (che dal tono del suo post lei sembra considerare una sorta di “deviazione” dalla retta via) potrebbe dirsi altrettanto seriamente del più tradizionale tipo di “opera d’arte”.
    Quando io parlo di “inutilità'” di definire ciò che e’ arte e ciò che non lo e’, non intendo affatto dire che che lei, io, il curatore del Museo Alfa, il Direttore e gli insegnati dell’Accademia Caia, il membri di una Commissione di valutazione ecc. ecc. non possano o non debbano muoversi in base un “concetto di arte” , tant’è vero che terminavo il mio commento dicendo ” Io credo che se noi teniamo ben precisa in mente la vasta gamma di “prodotti” cui l’espressione “opera d’arte” può far riferimento e ci focalizziamo proprio sul suo valore generale forse non tarderemo a trovare una possibilità di sua “definizione” ”
    Il punto pero’, qui, era un altro: quello, da lei ventilato, di trovare una “definizione” oggettiva e basata su criteri oggettivi e definitivi del tipo : “se in un’opera riscontro le caratteristiche A + B +C + D posso affermare che sono in presenza di un’opera d’arte, in caso contrario no” e’ questo tentativo che ritengo essere totalmente destituito di senso e di valore pratico.
    Per dirla in altri termini (e per darle anche conto del mio ribadito scetticismo espresso dalla chiusa “…dato e non concesso che valga la pena farlo.”) e’ mia opinione che qualsiasi possibile “definizione oggettivamente strutturata” di arte sia, per sua stessa natura, una definizione relativa, contingente e destinata a mutare nel tempo e nello spazio (quando, peggio, non sia semplicemente una definizione “strumentale” a un certo tipo di “razzismo” artistico che tende ad arginare e emarginare il nascere e diffondersi di media diversi da quelli che il “definitore” apprezza e comprende). Il che’, ovviamente, non impedisce affatto che le “opere d’arte” esistano e siano apprezzate e continuino, magari, ad esserlo per migliaia di anni perché ad essere “inutile” non e’ la percezione, il godimento, la comprensione dell’opera d’arte ma solo quel tipo di “definizione”.
    Vuole una definizione di opera d’arte eccola : l’opera d’arte e’ una comunicazione d’ineffabile . Ovviamente e’ la mia definizione e so che potrà non essere condivisa da lei o da altri e so, pure, che magari domani o fra dieci anni, io stesso avrò sentito la necessita’ di modificarla.
    In ultimo :
    “La prima, il “senso”, è una sensazione, una emozione plastica che non si puo’ descrivere, nè recitare nè cantare, nè fotografare, ma solamente cercare di trasmettere con gli strumenti specifici del nostro linguaggio: forme, colori ecc. ecc. Mentre che la seconda, il “concetto” è un pensiero che si puo’ descrivere benissimo e puo’ anche vivere autonomamente, senza la “indispensabilità” di essere tradotta in forme, colori ecc.”
    Ecco, vede quello che lei chiama “senso” io lo chiamo “ineffabilità” mentre non sono affatto d’accordo sul fatto che il “concetto” sia “un pensiero che si puo’ descrivere benissimo” perché, se esso fosse semplicemente tale, se si potesse esaurire con la sua “enunciazione” (o descrizione) verbale non sarebbe, per il mio “concetto” di arte, (e quindi, sia chiaro, sempre e solo secondo me) il “concetto di un’opera d’arte” ma solo un concetto.
    Che esso, intendo quando e’ il “concetto di un’opera d’arte” (sempre secondo il mio punto di vista” possa “e puo’ anche vivere autonomamente, senza la “indispensabilità” di essere tradotta in forme, colori ecc.” sono perfettamente d’accordo infatti tanta arte concettuale si estrinseca materialmente nell’enunciazione del “concetto” e questo non e’ affatto in contraddizione con quanto ho detto prima : se quel “concetto” e’ un’ opera d’arte c’e’ in esso qualche cosa che va al di la delle “parole” che lo compongono e che non potrebbe essere “comunicato” se non per mezzo del “linguaggio” che l’artista ha creato, pur usando semplici parole già’ esistenti.

  8. Caro Sergio,
    lo so che non è tua intenzione dire bugie, ma finchè non capirò sufficientemente bene a cosa ti riferisci quando parli di ‘mondo nuovo che viene messo a tacere’ – affermazione che appare ciclicamente sui tuoi post e che io continuo a ritenere assai nebulosa – non sarò neanche in grado di sostenere che tu affermi qualcosa di sbagliato.
    Per ciò che concerne la verità lascio quindi ad altri il compito di dispensarla, io ho smesso di ritenerla qualcosa di semplice.
    Posso soltanto cercare di avvicinarmici il più possibile, quando col cuore o con la pancia, quando – come nelle nostre discussioni – coi ragionamenti.
    Ti invito a chiarire una volta per tutta questa faccenda del ‘complotto’, te lo chiedo senza alcuna ironia o tono di sfida, ma semplicemente per avere informazioni su qualcosa che ancora mi sfugge.

    Riguardo al tuo riferimento ai post di Luciano, circa l’inutilità di definire cosa sia arte, posso dire di capire entrambi i vostri punti di vista.
    Io credo che Luciano si riferisca all’inutilità di ‘una ennesima’ definizione di arte, nel senso che fa parte della nostra consapevolezza epocale sapere quanto questa definizione venga continuamente messa in discussione, e superata, dallo stesso fare arte.
    Ciò non significa che non si possa, o si debba, continuamente cercare di ridefinirla secondo nuove coordinate, o fissare nel tempo quello che appare come immutabile, ma credo che anche questo venga continuamente fatto, alcune volte in maniera assai lucida ed approfondita, mi riferisco per esempio alle affermazioni di Arthur Danto o Hans Belting.

    Riguardo il concetto di Obsolescenza pianificata, credo che sia errato metterlo in una relazione diretta con la prassi costitutive dei ‘nuovi oggetti estetici’, assai relativamente toccati da questo tipo di ‘progettualità negativa’.
    Il mercato del sistema da bene quanto questo tipo di beni di lusso debba avere caratteristiche di durevolezza, me lo diceva – trent’anni fa – anche un gallerista quando mi suggeriva di usare materiali di prima qualità per i miei quadri (quindi non solo i colori, ma il legno del telaio e la tela).
    Inoltre, non tutte le opere d’arte sono fatte per essere eterne, al contrario alcune di esse si fondano sull’aspetto di una temporalità relativa, cioè sulla necessità – o meglio la caratteristica – di scomparire e lasciar traccia di sè solo nella memoria di chi ne abbia fatto esperienza, parlo di molte performances o installazioni temporanee.

  9. Intervengo ancora una volta, poi, se non richiesto espressamente, mi ritiro tra “i lettori” perché non vorrei che i miei commenti portino scompiglio nello scambio tra di voi avviato.
    Relativamente all’inutilità di una nuova definizione di arte certamente c’e’ anche quanto scrivi tu, Alessandro, ma c’e’ (oltre a quanto ho già detto) anche altro: l’arte e’ qualche cosa che si offre al “godimento” del pubblico allora mi chiedo c’e’ necessita’ di “definire” un alba o un tramonto o la gioia di un istante felice, il dolore di una perdita, il piacere di una riflessione profonda, il divertimento di un acuto motto di spirito ecc. ecc. ?
    A chi giova “la definizione” ? All’artista no certamente perché ognuno di noi ha la sua definizione (temporanea e mutevole, almeno spero e credo, ma istantaneamente irremovibile). Al pubblico poco, perché non ostante tutte le definizioni di questo mondo il suo gusto rimane (ed e’ giusto che sia cosi’) essenzialmente soggettivo e personale e se una certa opera (o genere) non gli piace non c’e’ definizione che tenga. All’insegnamento, forse, in effetti la nostra scuola si e’ basata sempre sulle “definizioni”. Non che questo sia del tutto sbagliato o del tutto negativo ma vi chiedo: avete certamente memoria degli insegnamenti scolastici (e delle relative definizioni), salvo che per matematica e geometria, negli altri campi (in particolare quelli delle scienze umane) quante delle “definizioni” faticosamente apprese “tengono” ancora alla realtà odierna? A quante di esse siete sinceramente in grado di attribuire, ancor oggi, una validità assoluta? (attenzione: ho parlato di “definizioni” non di “principi” o “valori” o “ideali”)
    In ultimo, io sono un artista (e pure Sergio lo e’, se non sbaglio) che “definizione” potremo mai dare (ed accettare) noi di “arte” se non una che calzi a pennello con il nostro operare? Se cosi’ non fosse delle due l’una o saremmo dei fessi o dei falsi. Se non ne siete convinti “a contrariis” vi chiedo : se per ipotesi giungessimo veramente ad una definizione di arte e tale definizione, per ipotesi, portasse ad escludere dal novero delle opere d’arte i lavori di Sergio o i miei, pensate veramente che io o Sergio cambieremmo il nostro operare? Non mi permetto di rispondere per Sergio ma per quel che mi riguarda posso dichiarare in tutta onesta’ che continuerei tranquillamente per la mia strada.
    Il discorso e’ diverso quando anziché parlare del presente (e quindi dell’arte contemporanea) si parla del passato cioè dell’arte storicizzata, e si e’ quindi non più nel campo della “critica d’attualità” ma nella storia dell’arte. In questo campo (ma facciamo attenzione devono esser passati almeno un centinaio d’anni!!!) le definizioni hanno una certa (relativa, sia chiaro) utilità ai fini sia didattici che di catalogazione e soprattutto e’ tecnicamente possibili “costruirli” con una certa probabilità di verità e tenuta nel tempo (sempre relativa, sia chiaro) dato che si opera in un contesto oramai definito, sedimentato e del quale si possono vedere e considerare tutte le inter-relazioni con società, politica, cultura, moda ecc. ecc. Rimane per altro vero che anche critica d’arte e storia dell’arte, più che di “definizioni” hanno bisogno di profonde ed articolate analisi non necessariamente tendenti a far la “lista dei buoni e dei cattivi”, anzi….
    Per quel che riguarda il presente : l’arte e’ vita, la vita e’ divenire, il divenire non lo si definisce lo si vive e l’arte pure.
    Visto che questo si propone di essere il mio ultimo commento, mi permetto ancora un’osservazione a proposito di “obsolescenza” e “materiali deperibili”.
    Innanzi tutto a volte l’ “obsolescenza” e’ appunto la caratteristica voluta dall’artista, a volte (come hai notato tu Alessandro) l’opera d’arte si propone appunto di essere assolutamente “transitoria” di vivere per quel dato momento, lungo o breve e poi sparire (e’ stata ed e’ tutt’ora una della “strategie” anti-mercificazione dell’arte tra le più efficaci). E’ quindi assurdo scrivere “SI, se una vera opera d’arte, unica e irripetibile, si degrada o “muore” è una tragedia irreparabile, per tutta la umanità e anche per l’universo.” salvo a non affermare anche che tutta (o quasi) l’arte performativa, tutta l’improvvisazione musicale, (da Paganini alle Jam Sessions), moltissime installazioni, tantissime opere d’arte destinate a deteriorarsi e sparire nel tempo per volontà dell’autore non sono “vere opere d’arte uniche e irripetibili”.
    Per i materiali, premesso che ci sarebbe da discutere a lungo circa il fatto che i materiali “derivati dal petrolio” siano “cattivi” ed “anti-ecologici” mentre quelli “naturali” siano “buoni” ed “ecologici” (la maggior parte dei “pigmenti” colorati della tradizione sono veleni potentissimi ed erano, e sono, prodotti in maniera tutt’altro che “sana” ed “ecologica” provenendo da miniere o dall’abbattimento di piante e in qualche caso di animali ecc. ecc.) vorrei far notare che la storia che i materiali usati da Burri (grandissimo Maestro) non sarebbero stati in grado di durare nel tempo e’ vecchia quanto i lavori stessi che hanno oramai superato brillantemente e senza problemi la sessantina e sembrano proprio poter durare per altri cent’anni e più senza problema alcuno, cosa che non sempre si e’ verificata per i “materiali della tradizione” a partire da certi sciagurati esperimenti del grande Leonardo per arrivare al generale ed universale annerimento dei bianchi, ingiallimento degli azzurri ed imbrunimento dei gialli in quasi tutta la pittura sino ai primi dell’ottocento ed oltre.

  10. La discussione sulla Artosuntuosità della Rima inoltrata predispone il sottoscritto alla megalomania rigettante alghe saporite. Concordo col Dotttore circa la pleuricità delle masse concorrenziate ma altresi sono contro la molesticità delle belve Pringolizzate. Che fare ? Indubbiamente le cavità oculari incidono sullo sfregamento del nervo balbuziente , da qui forse deriva l’incapacità della Frombola a raggiungere i suoi scopi scoppiettanti. Sono discorsi Lussurenti e Tecnimantonici non c’è che dire. A noi poveri artisti non rimane che prendere un Chiacchero Blu e andare a buttarsi nel Curvilineo. Buonaserantica.

  11. Cliccando di quà e di là ho trovato questo interessante scambio di opinioni, ho visionato tutto molto velocemente, anzi sinceramente ho saltato diversi passaggi, e pertanto non ho letto i diversi commenti, in ogni caso penso sia importante dialogare, il mondo web è un enorme spazio e il tempo è tiranno, spero in futuro di riuscire a seguire le vostre opinioni….beh per adesso 1000grazie per i vostri interventi.
    Walterfest
    P.S.
    Lo ammetto, non sono un cervellone della tastiera, potete aiutarmi a trovare rapidamente il vostro spazio di discussione?

  12. Carissimo Lorenzo Guidi,
    immagino tu sia un fan di Fosco Maraini.
    Nel caso mi sbagliassi ti suggerisco la lettura della ‘Gnosi delle fanfule’, che credo troverai assai più dilettevole che del mio fatuo discorrere con l’amico Sergio.
    Comunque, grazie del tuo coloratissimo commento!

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