Alessandro Querci “La fine dell’arte4: Firenze ARTE/POTERE e status quo”

“Questo non è un nuovo post” di Alessandro Querci, ma una “condivisione di riflessioni puramente personale” tra di noi. Pero’ mi è parsa talmente interessante questa testimonianza che non ho resistito a renderla pubblica, naturalmente con il consenso dell’autore…permettendomi inserirla come riflessione N.4 de “La fine dell’arte”. Gradiremmo ovviamente commenti rispetto a un tema come questo, davvero attualissimo.

In questi giorni ti ho pensato spesso.
Ho lavorato intensamente per due settimane con una troupe canadese che girava un documentario su Firenze e gli Uffizi.
Ciò ha rappresentato un’occasione più unica che rara per poter vedere con grande attenzione un sacco di opere in santa pace, senza la calca dei turisti.
Sono stato al museo del Bargello (che testimonia della grande maestria degli artigiani medievali, oltre ad ospitare capolavori scultorei di Michelangelo e Donatello), all’interno di Palazzo Vecchio, le Cappelle Medicee, il corridoio Vasariano, le ville Medicee.
Ho ripensato a molte cose, sopratutto a quello che avevo scritto sul post di Arte e Potere.
Ho avuto occasione di fare molte approfondite riflessioni sul ruolo degli artisti e sul loro rapporto col mecenatismo e la cultura dell’epoca.
Devo dire che la prima cosa che ti rimane addosso, dopo un primo momento di ammirazione dei molti dei capolavori presenti, è il senso di opprimente soffocamento e monotonia delle opere.
Noi oggi le viviamo come ‘opere d’arte’, ma in realtà, e qui – bada bene – parlo davvero di verità (……!) queste non erano altro che una mèra ostentazione del potere di chi le commissionava. Non opere d’arte come l’intendiamo noi oggi, ma semplici strumenti di autoaffermazione e autocompiacimento. Altre volte puro e ozioso diletto.
Ti faccio un esempio, riguardo al ‘vezzo’ o diletto: la straordinaria testa della Medusa del Caravaggio.
Essa fu commissionata dal Cardinal del Monte (diplomatico e amministratore dei Medici, quindi rappresentante degli interessi del Granducato di Toscana) per farne un regalo al granduca Ferdinando I° de’ Medici, suo protettore.
La testa è dipinta su uno scudo vero e proprio, con tanto di impugnatura etc. Ferdinando la espose assieme ad una sua collezione di armi ed armature.
Si trattava quindi non tanto di una preziosa opera d’arte (quale noi la consideriamo oggi), quanto di un oggetto di artigianato, al pari di una preziosa spada cesellata, un mantello riccamente ricamato o un’armatura.

Agli Uffizi sono stato sopraffatto dalla infinita quantità di ritratti, parlo di migliaia di ritratti, tutti uguali: il conte di questo, il visconte di quest’altro, la marchesa, il cardinal tal dei tali, Cosimo qui Cosimo là etc. Credo che questi rappresentino la maggior parte delle opere conservate nel museo, perlomeno fino al 1600, escludendo naturalmente l’altro blocco di opere incentrate su temi religiosi, primo fra tutti la natività e la Madonna, anch’esse ripetute all’infinito.

Poi la scultura: sono rimasto stupito dalla mole di opere scultoree che rappresentano nient’altro che episodi di violenza e sopraffazione del forte sul debole, del giusto sul cattivo, del nuovo sul vecchio. La loggia dei Lanzi e tutta Piazza della Signoria (cuore del potere temporale dei Medici) ne sono piene. Altro che alti ideali di bellezza.
Certo, le opere si allineano a dei criteri classici, prendendo esempio dalla produzione greca e romana, ma questo non è che uno degli aspetti.
Se le prendi una ad una, separatamente, non puoi non rimanere rapito dalla bellezza e dalla grande maestria. Ma se le inserisci nel loro contesto, tutte insieme (come in realtà sono) la prospettiva appare ben altra.

Salone dei 500 Palazzo Vecchio

allegoria della 'Vittoria' - oserei dire del 'nuovo-bello' sul vecchio-brutto'

Quello che voglio dire è che se si guarda tutta questa roba tutta insieme, senza il filtro dell’arte e del bello, risulta chiaro come tutta la produzione architettonica ed iconografica del rinascimento fiorentino fosse rivolta a rappresentare il dominio assoluto del ‘regime’ dei Medici e di come la ‘nuova maniera’ fosse un eccezionale strumento di comunicazione dei simboli e allegorie di questo potere – a un tempo spirituale e temporale.
La nuova ‘maniera’ messa in pratica dal Brunelleschi, Donatello, Michelangelo e pubblicizzata dal Vasari era il biglietto da visita, o forse anche la ‘testa d’ariete’, che intendeva spazzar via il passato (prendendo a esempio l’arte di un altro, più antico, impero: altrettanto autorevole, bellicoso e violento quale quello Romano) e istituire ‘la modernità’.
Il ‘punto di vista’ prospettico teorizzato da Brunelleschi e Leon Battista Alberti, che ha dominato tutta la successiva produzione d’immagini fino a Cézanne, non è altro che una metafora del punto di vista della modernissima, visionaria, autoritaria famiglia Dè Medici.

Inoltre, posso intravedere una diversa prospettiva del ‘divenire ‘ dell’arte nel senso di una lenta e progressiva liberazione da:
– l’asservimento dalle figure del potere: clero, impero e le potenti famiglie nobili
– il progressivo abbandono dei temi iconologici propri della ‘casta’ dominante: la mitologia greca, la mitologia biblica, le figure del nuovo testamento.
Tutti temi, mi si perdoni l’affermazione, basati sull’immaginazione, la fantasia, la costruzione di allegorie utili al mantenimento dello status quo.
Per secoli e secoli, nei fatti, la Chiesa non rappresenta che uno dei principali centri di potere che assai poco ha a che vedere con i ‘valori cristiani’.
I giovani rampolli delle nobili famiglie facevano carriera ecclesiastica non tanto per vocazione, quanto per interesse e consuetudine.
Così come oggi i moderni rampolli fanno carriera nelle banche (chiese moderne al culto del danaro), l’azienda di famiglia (dagli Agnelli ai Berlusconi), la politica (altro luogo, assieme alla Giurisprudenza, alla’Università e alla carriera medica dove vigono le dinastie).

Che ne pensi?
Alessandro Querci

6 pensieri su “Alessandro Querci “La fine dell’arte4: Firenze ARTE/POTERE e status quo”

  1. Quando facevo ‘forca’ dal liceo, andavo quasi sempre agli Uffizi.
    In primis perché nessuno mi avrebbe beccata, è chiaro.
    Ma anche per guardarmi le opere in santa pace e ripassare Storia dell’Arte con la mia amica Chiara che, come me, aveva l’incubo dell’interrogazione programmata.
    Capisco bene, quindi, il senso di soffocamento, specie in alcune sale, e la percezione della monotonia delle opere che raccontano tutte, in un modo o in un altro, la stessa cosa.
    Ma,sinceramente, non ci vedo niente di strano. E’ un po’ come guardare la tv commerciale e stupirsi di veder la pubblicità.
    Premetto che ancora non ho letto il tuo post Arte e Potere (mea culpa) ma gli Uffizi tutti, palazzo compreso, sono stati creati al solo scopo di far brillare alla luce del sole il potere illuminato (quando più e quando meno) dei Medici.
    Non sono mai stati una galleria d’arte, nell’accezione moderna del termine, ma soltanto una enorme (e ben riuscita) operazione di propaganda del potere politico. Una pubblicità colossale!
    In questo, i Medici sono stati degli sponsor eccellenti.
    Credo che, da bravi commercianti (e banchieri) quali erano, le ottime intuizioni e la lungimiranza di alcuni di loro, abbiano fatto sì che, per riprendere il tuo esempio, gli esponenti della nuova teoria della rappresentazione dello spazio (non certo nata per incensare i Medici) entrassero a far parte della loro Scuderia, in modo tale che anche quel modo di esprimersi diventasse, agli occhi di tutti, un ‘modo Medici’. Così, sponsorizzando il Nuovo, apparivano come il Potere Illuminato.
    Inoltre, sono convinta che, proprio perché tutte quelle opere sono state create, genericamente parlando, con lo stesso scopo, questo stesso vada pressoché automaticamente in secondo piano, almeno dal punto di vista artistico.
    Matematicamente, è come se dividessi tutto per lo stesso comune denominatore che, quindi, è come se non ci fosse più, o meglio diventa ininfluente, permettendomi di assaporare solo ed esclusivamente l’arte e il bello.
    Se riunissero in un unico luogo gli innumerevoli ritratti di Marilyn (tanto per santificare l’anniversario della morte della più rappresentata diva della storia), SAPREI GIA’ che andrei a vedere una carrellata di opere sul medesimo soggetto….quindi, in quel contesto, il soggetto diventa ininfluente, lasciandomi assaporare al meglio il ‘come’ viene rappresentato…
    Ed è il ‘come’ che è arte.
    Certo, per poterlo mettere in secondo piano, devi essere ben cosciente del Comune Denominatore, questo sì.
    Inoltre, credo che sia stato proprio certo tipo di committenza a far sì che personaggi come Michelangelo diventassero ciò che sono diventati, A DISPETTO dei soggetti imposti e degli scopi più o meno incensatori e propagandistici legati alle opere commissionate.
    Come già ti scrissi tempo fa, Michelangelo senza i Medici e il Papa forse sarebbe stato solo un bravissimo scalpellino parecchio bisbetico che scolpiva come hobbista per le Fiere in Versiliana…..e chissà come si chiamerebbe oggi il Piazzale…
    Non voglio dire con questo che il merito stia tutto nel committente, sia chiaro: ne ribadisco però l’importanza come veicolo di nuovi, geniali linguaggi artistici e architettonici.

    La parte sulla progressiva liberazione dell’arte dall’asservimento al potere non mi è chiara del tutto, forse anche per il mio ormai acclarato digiuno d’arte contemporanea e, di conseguenza, per l’impossibilità di intravederne il divenire….ma non è che, per caso, sono semplicemente cambiate le figure del potere a cui l’artista, consapevolmente o meno, si riferisce? Penso alla critica, alle Gallerie…..
    Immagino che se ne potrebbe parlar per dei secoli….e ringrazio il tuo ospite, Sergio, per la gentilezza e la disponibilità

  2. Concordo con le tue osservazioni.
    Negli anni gli Uffizi hanno goduto di vari rinnovamenti e l’affastellamento che c’era quando ero giovane io è andato progressivamente diradandosi, ora è tutto più ‘pulito’ e lineare rispetto a trent’anni fa.
    Non intendevo dire che la prospettiva sia nata per ‘incensare’ i Medici, quanto – come noti anche tu – che sia stata un ottimo veicolo di propaganda.
    Il discorso sul ‘come’, quindi sul comun denominatore dell’arte, è molto complesso ma ciò che dici è sicuramente vero.
    Però credo vi siano profonde differenze fra gli innumerevoli ritratti della Marylin e quelli della Madonna (per usare il tuo esempio).
    Tanto per incominciare non è stato Hollywood a commissionarli, come invece succede per la Chiesa e la Madonna, e non è una circostanza di poco conto.
    In secondo luogo nessun soggetto della modernità è stato così massicciamente replicato come quelli religiosi nel passato.
    Ma anche questo fa parte della dipendenza degli artisti dalla committenza, quindi della Storia.
    Per ciò che riguarda le figure di ‘potere’ di riferimento degli artisti nel tempo credo che sia un pò come scrivi tu, senza andar troppo a cincischiare e dibattere.
    Per ciò che riguarda il mio suggerimento su una diversa lettura del ‘divenire’ dell’arte, credo sia importante (anche se non credo di essermelo inventato io) spostare la riflessione su altri aspetti – assai pertinenti – oltre che sul comune modo di vedere lo sviluppo dell’arte come un semplice susseguirsi di maniere e di stili.
    Si potrebbe andare ancora avanti (ed è stato fatto nella letteratura sull’argomento) a disquisire su questo tipo di ‘direzionalità’ dell’arte visiva, e lo farò se ve ne sarà occasione.
    Grazie.

  3. Che ne penso, caro Alessandro? Che è una bellissima riflessione, e per questo ti ho chiesto il permesso di pubblicarla. Nel frattempo ho perso il filo del nostro dialogo, perchè in queste settimane mi sono immerso completamente nei miei problemoni pittorici….insistendo con le unghie e con i denti in quell’obsoleto e morto mestiere che è dipingere. Ad ogni modo, condivido tutto cio’ che ha scritto Cristina….soprattutto il nocciolo del problema, che è il “COME” che trasforma un tema, un soggetto, una idea, una commissione, una sperimantazione ecc. in opera d’Arte. Sarà poi la storia a decidere se è o non è. Canaletto si è passato secoli nel dimenticatoio e a Gentile da Fabriano gli hanno distrutto quasi tutte le sue opere…..Oggi molti preferiscono il ‘400 al ‘600…e insomma, la storia umana poi fa i suoi (neanche tanto) misteriosi percorsi. Ma un fatto credo che sia certo e consolidato: le madonne, i ritratti, Marilyn o i lavoratori di Stalin ecc. non hanno nessuna responsabilità della riuscita o meno dell’opera. E probabilmente i committenti neanche….se non forse il “privilegio” di aver finanziato delle ricerche o dei filoni creativi piuttosto che altri. I temi o i soggetti sono sempre dei “pretesti” per cercare di creare un nuovo ordine plastico interno all’opera, e i committenti possono facilitare più o meno questo lavoro tanto “inutile” quanto “necessario” alla umanità. Faccio un solo esempio. Carlo V è stato un imperatore tanto sanguinario, crudele e nefasto che, al confronto, Hitler fu un dilettante. Il “Ritratto di Carlo V a cavallo” del Museo del Prado è un capolavoro di Tiziano. Che lo definisce “capolavoro” non è certo il faccione antipatico del cavaliere, ma il “COME” è stato dipinto da Tiziano. Ormai lì non c’è più la storia di Carlo V. Quello che vediamo oggi è una certa composizione, con certi colori e forme fatti e disposti in un certo modo…..e questo è più che sufficiente per alimentare quel complicato meccanismo dello spirito e dell’anima di quegli esseri umani che ne sentono la necessità. Quell’opera ormai non è più un “Carlo V”, ma un Tiziano.

  4. Grazie Sergio,
    anch’io sono d’accordo con te circa il ‘come’ e riguardo tutti gli esempi che fai.
    Ogni volta che rivedo la Deposizione di Cristo del Pontormo nella chiesetta di Santa Felicita vicino al Ponte Vecchio mi si mozza il fiato, è sicuramente una delle opere più emozionanti ch’io abbia mai visto.
    Sono anche d’accordo che la storia dell’arte, come mi pare di aver già scritto, venga riletta e corretta nel tempo.
    Ciò che mi interessava sottolineare, e credo che tutti l’abbiate capito, è un’aspetto che ritengo comunque assai importante per togliere ‘le opere d’arte’ dalla sola contemplazione estetica (sacrosanta), collocandole nel loro reale contesto e mostrandone le intenzioni, nonchè il significato sociale-storico di certe scelte stilistiche.

  5. Ricordo quando vivevo a San Frediano e anche io passavo da Santa Felicita a vedermi il solitario e silenzioso Pontormo…che emozione…ti capisco perfettamente! Quell’opera, per esempio, dicono che è una “Deposizione”, ma potrebbe rappresentare qualsiasi altra cosa e andrebbe bene lo stesso…quella sensazione dinamica, staccata ma avvolgente, leggera…..quella sensazione di pace, in movimento, di stabilità relativa…ma anche luminosità e chiarezza coloristica, quella complicata semplicità, ma anche assurdità, pazzia…quella realistica teatralità ecc.ecc…(che bellezza la interpretazione di Pasolini in “la ricotta” di questa opera e di quella di Rosso Fiorentino di Volterra…altro meccanismo magicamente incredibile)…si potrebbe andare avanti all’infinito. Ma detto questo, ovviamente la lettura di una opera puo’ e deve spaziare in tutte le direzioni, e per questo le tue riflessioni arricchiscono il conoscimento…. Per quanto riguarda i MUSEI (a parte gli “Uffizi” e pochi altri esempi, nati per altri interessi, a cui tu accenni), mi pare che tutti i personaggi più intelligenti degli ultimi secoli coincidano nel dichiarare che devono essere chiusi, sparire. Ed anche io ovviamente credo che sarebbe bene chiuderli tutti (invece di continuare a costruirne sempre nuovi), e decentrare le opere possibilmente nei luoghi dove sono nate e hanno un “senso”. Un esempio è la “Madonna del Parto” di Monterchi, che ho avuto la fortuna di conoscere ancora quando stava nella cappella del Camposanto, dove era nata. Che tragedia e atto di immensa stupidità umana averla trasportata in quel brutto “museo” di Monterchi solo e unicamente per criteri lucrativi. E oggi….la degenerazione peggiore dell’Arte: lavorare e concepire l’opera per i musei! Che disastro!

  6. Sui musei sono d’accordo, c’è tutta una letteratura sopra, anche se la chiusura la vedo un pò utopica, ed in fondo inutile, anch’essi rappresentano un modo ‘storicizzato’ di concepire la ‘fruizione’ dell’arte, pur con le loro forzature e storpiature.
    Sono d’accordo sulla delocalizzazione, riportare le opere al loro posto, se non tutte (assolutamente impossibile) almeno una parte rappresentativa.
    Per i nuovi musei? Sono le nuove cattedrali, dedite al culto di un’estetica asettica e autoriflessiva (quindi narcisistica), ma almeno – in questo senso – testimoniano di una funzione autentica.
    L’arte – dai tempi delle caverne – nasce e trova il suo senso in un luogo dalle caratteristiche precise, il tempio, la dimora, l’edicola, la cappella, il salotto. oggi il ‘white cube’ ed il museo futuristico.
    Molta arte del secondo dopoguerra nasce per essere esposta – quindi trova il suo senso – in luoghi ampi e diafani, rappresentati negli anni ’60 dai loft, spazi dismessi dall’uso di magazzino e resi a nuova vita e funzione.
    Molta arte contemporanea ha cercato di liberarsi da questa gabbia dorata, o di trovare senso al di fuori da un meccanismo mercantile di produzione di oggetti di lusso (la land art, il concettuale, la performance) ma ne è stata progressivamente risucchiata. L’artista, nonostante tutto, anche lui ha da magnà la pagnotta alla fine della giornata.

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