“Dentro le nostre birre c’è la bontà della mia terra”

Franzosi_02Un titolo di “Birraio dell’anno” già in bacheca (2012), un grande amore per i propri prodotti, un’attenzione altrettanto alta verso il territorio circostante e la serenità di chi sta facendo bene un lavoro appassionante. Abbiamo incontrato Ricccardo Franzosi al termine di una serata organizzata – per e con lui – al Barbaresco di Legnano, durante la quale sono state stappate quattro “Montegioco” in abbinamento (riuscito) con i piatti proposti dallo chef del locale. E non potevamo perdere l’occasione di fare quattro chiacchiere con lui, per conoscerlo (e farvelo conoscere) meglio.

Riccardo, la prima cosa che balza all’occhio parlando di Montegioco è il forte legame con il territorio.
«Occuparmi della mia zona di origine e dei suoi frutti è per me una scelta naturale, scontata: non è un calcolo su possibili ritorni di immagine. Sono fortunato, perché il territorio che circonda Montegioco (provincia di Alessandria, non lontano da Tortona ndr) fornisce tante cose buone; nelle mie bottiglie trovate frutta, spezie, erbe: è un po’ la conseguenza di vivere lì. E la birra ci dà la libertà di utilizzare tutte queste specialità nel corso della produzione, una cosa che per esempio con il vino, che ha disciplinari molto rigidi, non è possibile».

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Montegioco ha prodotto nel corso degli anni molte birre diverse. Ce n’è una al quale il birraio rimane più affezionato?
«Una è riduttivo, visto che se contiamo tutte quelle brassate nella nostra storia comprese le one shot, siamo a oltre quaranta birre. Però indubbiamente ce ne sono alcune che rimangono più nel cuore; di solito sono quelle che prevedono il coinvolgimento del territorio e qualche nostro personale “rito” prima della produzione. La “Quarta Runa”, per esempio, realizzata con le pesche di Volpedo: prima di andare in sala cottura c’è la necessità di cercare i frutti giusti e lavorarli, attività ormai tradizionali per il birrificio. Oppure ci sono le birre barricate come la “Mummia” per la quale il lavoro comincia quando andiamo dagli amici produttori di vino a scegliere le botti giuste. Per altre ancora, dipende dai momenti: di solito prediligo quelle più beverine».

E oltre alle birre di Montegioco, cosa beve Riccardo Franzosi?
«Beh, il vino che mi piace molto e che, quando stavo scegliendo un lavoro per restare in paese, poteva diventare la mia professione (e l’altra idea iniziale riguardava i salumi). Se devo scegliere una birra invece prediligo quelle belghe, anzitutto, e le inglesi in seconda battuta. Frequento molto meno le tedesche e in generale quelle a bassa fermentazione; d’altro canto io produco solo ad alta, perché amo troppo gli esteri che si sviluppano durante questa lavorazione».

Se invece deve scegliere una birra italiana?
«Ce ne sono diverse che amo degustare. Vicino a voi c’è Extraomnes, per esempio, oppure il Lambrate di Milano e ovviamente ci sono le birre di Agostino Arioli del Birrificio Italiano. In Piemonte abbiamo Teo Musso di Baladin che ha seguito un percorso molto diverso rispetto al mio ma quando lo incontro mi fa assaggiare alcune cose davvero pazzesche».

BottiglieMontegioco

Il premio “Birraio dell’anno” ha dato a Schigi D’Amelio ed Extraomnes una botta incredibile di visibilità. Lei lo vinse due anni fa: quanto è stato importante?
«Sicuramente ci ha dato tanto dal punto di vista mediatico e sotto il profilo dell’immagine. Però, purtroppo o per fortuna, ho deciso che i miei volumi sono quelli attuali: Montegioco produce 700 ettolitri all’anno, impiega quattro persone e se anche venissi eletto “Birraio dell’universo” non potrei fare più di questo. Mi piace lavorare così, ho saldato i miei debiti, sono sereno».

Per chiudere, ci sveli qualche novità in serbo nelle cantine di Montegioco.
«Quella sicura riguarda il barley wine, nei fermentatori ormai da un paio di anni. Credo proprio che sarà pronto a fine gennaio, per le “Birre della Merla” (tradizionale festival invernale di Montegioco ndr) quando lo assaggeremo anche in fusto. Non abbiamo ancora deciso il nome definitivo, ma potrebbe essere “Zorzona”, che dalle nostre parti è un termine che identifica una persona… sovraeccitata. Poi, sotto sotto, vi dico che mi sta intrigando anche il discorso del sidro; qualche prova preliminare l’abbiamo fatta, vediamo se in futuro si concretizzerà una vera produzione».

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A seguire, la breve videointervista sulla nascente “Zorzona”, su MaltoGradimentoTV

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