Gaetano Pasqui, un grande pioniere della birra italiana

hops_luppoloQuello di “birra a chilometro zero” è un concetto che va preso con le molle, almeno in Italia. Poche aziende infatti possono coltivare in autonomia l’orzo necessario (o avere produttori che lavorino con esse a stretto contatto) e soprattutto pochissime hanno la possibilità di trovare una malteria nei dintorni. Ma se per il malto qualcosa si può fare, per l’altra componente chiave della produzione birraria – il luppolo – tutto diventa ancora più difficile. Per creare una nuova varietà e lanciarla sul mercato brassicolo infatti serve parecchio tempo: chi comincia ora a impiantare luppoli quindi ha bisogno di attendere una decina di anni prima di produrre in serie con una certa sicurezza e stabilità le birre che lo utilizzano. Non a caso, ancora oggi, i birrai di tutto il mondo usano luppoli provenienti da zone particolarmente vocate alla coltivazione di questa pianta, come l’Hallertau (Germania), Saaz (R. Ceca), Poperinge (Belgio), Sonoma County (Usa) e altre ancora.

Copertina_PasquiMa forse questo discorso sarebbe inutile se qualcuno, decenni or sono, fosse riuscito a portare avanti il sogno di Gaetano Pasqui, uno dei grandi pionieri della birra italiana. Forlivese, agronomo e inventore di razza, Pasqui nacque nel 1807 ed è ricordato – oltre che per l’ideazione di numerosi attrezzi per il lavoro agricolo – per aver impiantato nel 1835 un birrificio nella sua tenuta nei pressi della città romagnola. Un tentativo riuscito, almeno per diversi anni, accompagnato da una splendida intuizione: dare cioè vita a una strada italiana per produzione di luppolo, in modo da affrancarsi dalle difficoltà di trasporto dall’estero e dai prezzi spesso proibitivi per i birrai di allora.
La storia di Pasqui, che morì nel 1879, è raccontata da un suo discendente, il giornalista Umberto Pasqui, nel libro “L’uomo della birra” edito da Carta Canta nel 2010, che merita una lettura. Il volumetto – 95 pagine – è soprattutto una ricerca storica e quindi evita di romanzare la vita e la storia del protagonista. Un rigore che forse rende più faticosa la lettura ma regala un documento interessante che lascia intuire la lungimiranza del birraio romagnolo, che all’apice del proprio successo partecipò alle esposizioni universali di Londra (1862), dove venne premiato, e di Vienna (1873), ma anche a una importante fiera dedicata al luppolo in Alsazia nel ’67. Nei suoi poderi forlivesi Pasqui iniziò la coltivazione grazie a poche piantine di origine selvatica ma, applicando una serie di operazioni agronomiche (descritte minuziosamente nelle sue opere), arrivò a una produzione notevole, arrivando a oltre 2mila piante nel ’57 e ancora a 3.500 nel ’60 nonostante un’epidemia di melata che fece gravissimi danni nel biennio precedente. Una coltivazione anche molto redditizia come rivelano le carte dell’epoca.
Birra_PasquiPurtroppo non sono arrivate a noi altre informazioni molto interessanti e in particolare la ricetta utilizzata per produrre la Birra Pasqui (a lato un’etichetta), la tecnica di produzione e neppure le quantità, comunque notevoli visto che un documento del ’66 parla di “35mila bottiglie” commercializzate solo tre anni prima. Ma forse anche queste lacune contribuiscono a fare di Gaetano Pasqui una figura eroica nel mondo della birra italiana,(a noi ha ricordato per caparbietà e coraggio quella dei primi grandi corridori ciclisti come il “nostro” Luigi Ganna, primo vincitore del Giro) che forse meriterebbe una riscoperta maggiore da parte dei tantissimi produttori del giorno d’oggi.
Chi volesse acquistare online una copia di “L’uomo della birra” può cliccare sul banner sottostante che rimanda al sito specializzato IBS.

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