Poco riposo e troppo stress, la difficile situazione degli agenti nel carcere

Personale insufficiente e troppe ore di lavoro, questi i problemi per la Polizia penitenziaria di Busto che subisce anche le conseguenze della vicinanza con Malpensa

Meno ferie e riposi, più straordinari e stanchezza. È per questi motivi che lunedì scorso gli agenti di Polizia Penitenziaria hanno manifestato a Milano: fra loro anche gli agenti della Casa Circondariale di Busto Arsizio. «Non abbiamo abbastanza personale – spiegano due assistenti capo e delegati sindacali della funzione pubblica Cgil Fabrizio Vincis e Franco Montalto -. A Busto ci sono formalmente circa 230 agenti, ma 38 sono distaccati in altri istituti. C’è un problema evidente di carenza di personale con tutte le conseguenze che questo porta: saltano le ferie, aumentano gli straordinari e non si può fare una seria programmazione dei servizi».  Ma il problema del sotto organico non riguarda solo la Polizia penitenziaria, ma pure il personale amministrativo. «Anche questo ha conseguenze sul nostro lavoro – continuano -: se non c’è chi si occupa dell’amministrazione e delle contabilità, dobbiamo pensarci noi».
Problemi sicuramente comuni anche a tanti altri istituti italiani, ma che a Busto hanno un’aggravante non da poco: l’aeroporto di Malpensa. «Quella di Busto è una Casa Circondariale “pura” – spiega il vicecomandante Antonio Coviello -: significa che abbiamo un ricambio di detenuti continuo. Quando qualcuno viene fermato a Malpensa, generalmente per droga, viene subito portato da noi». Tradotto in numeri significa che invece di circa 270 detenuti, Busto ne ospita in media 400 con punte di 450. Ovvero, nello spazio di uno dormono in tre e un agente deve gestire le operazioni giornaliere di 70/80 detenuti.

Una caratteristica di Busto è proprio il fatto che ospita pochi dei cosiddetti “detenuti definitivi”, ovvero coloro che sono condannati con sentenza definitiva e che scontano la pena in un determinato istituto. Al contrario quello bustocco, anche per la vicinanza con Malpensa, è per tanti un “carcere di passaggio”. «È difficile fare progetti a lungo termine in questo contesto – continua Coviello -. A volte non riusciamo neanche a far concludere un anno scolastico». Naturalmente turni prolungati e pochi riposi portano a un eccessivo affaticamento degli agenti e a più stress. «Noi non siamo assolutamente contro le attività in carcere – continua Coviello -: è giusto organizzare corsi scolastici, di formazione e anche iniziative come il concerto. Ma tutto questo non deve andare ad aumentare oltre limiti accettabili il carico di lavoro delle persone. Gli agenti devono essere messi nelle condizioni di poter svolgere il loro lavoro: aggiungere, come è giusto che sia, attività ai detenuti, significa togliere a noi dei diritti che ci spettano. Un turno regolare deve essere di sei ore, invece spesso arriviamo a farne otto o dieci di seguito senza nessun preavviso: uno pensa di finire alle 12, e un’ora prima scopre che deve fare altre due ore». Finora comunque si è cercato di arrivare a una mediazione sulle singole iniziative che vengono proposte. Troppo spesso infatti ci si dimentica che gli agenti di Polizia penitenziaria svolgono sì la funzione primaria di garantire la sicurezza in carcere, ma sono anche educatori. «Siamo le prime persone che un detenuto vede quando entra qui e il loro punto di riferimento principale. Qui ogni giorno c’è qualcuno che ha bisogno di una parola di conforto, ma non sempre è facile svolgere al meglio entrambe le nostre funzioni. Anche per le attività, ogni volta si chiede agli agenti la loro disponibilità, ma non li si obbliga mai. Alla fine sono sacrifici che decidiamo di fare, anche perché una volta iniziato un lavoro non possiamo lasciarlo a metà perché è finito il turno».

Sul futuro comunque da tutti e tre arriva un certo pessimismo. «Servirebbe un numero di agenti adeguato, ma è un’utopia. E poi c’è il problema dei fondi e delle risorse, ma anche su questo fronte c’è buio totale».

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Pubblicato il 21 Luglio 2008
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