Bomba atomica, la campana della pace suona ancora 64 anni dopo

A Hiroshima si commemora l'anniversario di una delle più orrende atrocità della Seconda Guerra Mondiale. C'è chi ricorda, ha visto e sofferto, e chi ancora giustifica

Hiroshima, Giappone: ore 8,16 del 6 agosto 1945. Una città industriale e base militare insolitamente intatta in un Paese devastato dalla guerra, da mesi e mesi di attacchi aerei massicci sui suoi fragili centri urbani di case di legno e carta, si è svegliata per vivere un’altra giornata. Non sa che di lì a pochi istanti nulla sarà mai più come prima, e l’umanità avrà mosso un altro passo verso il delirio, uno dei tanti di una guerra criminale e spietata.
Nemmeno il peggiore – ed è tutto dire – ma uno dei più folli e gravidi di conseguenze.

Alle 8,15 l’enorme bombardiere B-29 "Enola Gay" al comando del trentenne colonnello Paul Tibbets (scomparso pochi mesi or sono) è l’unico aereo nemico sul cielo di Hiroshima. I gesti del lungo addestramento sono eseguiti senza errori: si sgancia Little Boy, "il ragazzino". Sembra una bomba qualunque, forse giusto un po’ ingombrante e pesante – e circondata di una segretezza assoluta. Passano 57 secondi e ad aereo ormai a distanza di sicurezza un secondo sole si accende in cielo a circa 600 metri d’altezza sul centro città (per non causare troppo fallout, con la conseguente radioattività a lungo termine). La temperatura al centro della palla di fuoco raggiunge istantamente il milione di gradi, il flash termico vaporizza cose e persone in un raggio di un chilometro e mezzo di distanza, ustiona e acceca decine di migliaia di persone inconsapevoli senza fare distinzioni. Da un lato della strada si brucia vivi, dall’altro, all’ombra, si resta illesi. Per ora, s’intende. Chi ha un kimono a scacchi chiaroscuri si vede imprimere sulla pelle, come da un ferro rovente, il disegno del vestito: il chiaro riflette il calore, lo scuro lo attira. Poi, dopo un attimo di agghiacciante silenzio, arriva il ruggito di un vento di potenza inaudita che atterra ogni cosa a centinaia di miglia orarie, trafiggendo, dilaniando, distruggendo, seguito da un risucchio pauroso che cattura e spazza tutto. Ogni frammento è proiettile, ogni materia è fuscello al vento. Segue la tempesta di fuoco, che per mezza giornata divora ogni materia combustibile, inclusi gli esseri umani. L’esplosione uccide sul colpo almeno 80.000 persone. Gli altri – ustionati, politraumatizzati, impazziti dal terrore, avvelenati dalle radiazioni, consumati ad anni e decenni di distanza da leucemie e tumori – se ne vanno in uno stillicidio non ancora del tutto concluso. Alla fine il body count supererà quota 250.000.

È il tragico silenzio radiotelegrafico della città che rivela lentamente, nelle ore successive, che qualcosa di mostruoso è successo. Le testimonianze, dapprima non credute, di chi aveva visto un secondo sole sorgere in lontananza e un fungo enorme levarsi in cielo, ferrovie e strade improvvisamente scoppiate a chilometri dalla città, linee telegrafiche interrotte di colpo, fanno capire ai pochi scienziati nucleari giapponesi che l’irreparabile è accaduto: il nemico a stelle e strisce ha realizzato l’impensabile, la bomba atomica.

"Resa o distruzione totale" aveva tuonato pochi giorni il neopresidente Harry Truman all’indirizzo del Giappone, del suo debole imperatore, Hirohito, e del suo governo di militari fanatici e crudeli. Quarantaquattro mesi di guerra ferocissima, con terribili atrocità da parte giapponese, non avevano predisposto gli americani, già colpiti duro a Pearl Harbor, alla misericordia. Immani cifre erano state stanziate per realizzare la bomba atomica, coinvolgendo nello sforzo i più brillanti scienziati del mondo libero. Vi furono pochi dubbi nell’usarla. Non dubitò il presidente Truman; non dubitarono la gran parte dei militari (anche se Eisenhower, in seguito a sua volta presidente, ne fu molto turbato); così la gran parte degli scienziati, alcuni dei quali poi cambiarono idea, quando ormai era troppo tardi. Fu Hiroshima, e tre giorni dopo Kokura, anzi no – c’era una nuvola, e si scelse Nagasaki. Altri 40.000 morti sul colpo, oltre 100.000 in totale, giusto perchè una collina protesse parte dell’abitato. Ci fu chi riisciì ad essere "atomizzato" due volte, perchè era stato evacuato da Hiroshima.. a Nagasaki.

Ogni anno alle 8,15 del 6 agosto si commemora al rintocco di una campana quanto sopra. Gli hibakusha, i sopravvissuti, ricordano e pregano il Buddha, Dio e gli antenati per la pace eterna e il disarmo, da allora. Si è detto per decenni, e ancora oggi, con l’assoluta supremazia economica, militare e culturale americana, è pensiero mainstream, che l’orrore della bomba atomica fu necessario, altrimenti il Giappone avrebbe dovuto essere invaso e conquistato metro per metro con milioni di morti dalle due parti. In verità il Paese era in ginocchio, non aveva più nemmeno gli occhi per piangere dopo aver portato guerra, crudeltà e saccheggio in mezza Asia e nel Pacifico. I suoi eserciti migliori erano bloccati a centinaia, migliaia di miglia da casa, senza più navi per tornare, tutte affondate; oppure riposavano sottoterra in tombe senza nome da Guadalcanal a Tarawa e Okinawa, nella proporzione di venti per ogni nemico abbattuto. Una dimostrazione incruenta ed annunciata dell’arma, ben in vista del gran quartier generale imperiale di Tokyo, avrebbe forse avuto lo stesso effetto. La tragica verità è che la bomba, costata miliardi di dollari (quando un dollaro valeva, e tanto), doveva essere usata. Troppo era stato investito in essa per accontentarsi di esperimenti. Mancavano le prove di quello che avrebbe fatto su una vera città, su veri esseri umani. E i sovietici di Stalin, che in Manciuria stavano per saltare alla gola della tigre giapponese ferita e morente, andavano intimiditi. Fu fatta una scelta. Secondo alcuni la consapevolezza delle conseguenze ci salvò da follie ben peggiori in seguito, dall’Olocausto nucleare temuto ancora oggi. Per tutti gli altri, fu l’ultimo crimine di guerra della più orrenda fra le guerre.

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Pubblicato il 06 Agosto 2009
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