La casa comune della preghiera vuole una risposta da Palazzo Gilardoni

Circa trecento le firme raccolte dalla petizione di "Una Casa - il Mondo" in un mese, in maggioranza di italiani

La Casa comune della preghiera per tutte le religioni rappresentate nella nostra zona è un’idea che merita, se non altro, una risposta ufficiale dal Comune. Ne è convinto Vittorio Di Mattei (foto), che insegna italiano agli stranieri nell’apposito corso presso le scuole Manzoni, che incontriamo per fare il punto su questo progetto che già ha suscitato delle reazioni il mese scorso. Circa trecento al momento le firme raccolte per la petizione lanciata giusto un mese fa in vista di questo obiettivo: e per due terzi si tratta di firme di italiani. L’obiettivo a questo punto è avere risposte ufficiali da parte del Comune circa la richiesta di impegnarsi per trovare uno spazio adatto. Questo, ad ogni modo, potrebbe essere pubblico ma anche privato, così come gli eventuali fondi per adattarlo all’uso. «Ci stiamo costituendo in un piccolo gruppo di lavoro, nche qui in maggior parte italiani, che coordinerà le prossime iniziative» spiega. «Sarà questo gruppo a decidere quali passi ulteriori intraprendere».

«In questi ultimi giorni abbiamo protocollato la richiesta presso il Comune, inviandola per conoscenza alle parrocchie cittadine, che a loro volta di spazi ne avrebbero» riferisce Di Mattei. «Abbiamo anche un logo per la nostra iniziativa: "Una Casa-il Mondo" è lo slogan, poi vi sarà l’immagine di una casa con i colori dei cinque continenti, come negli anelli simbolo delle Olimpiadi». A realizzare il logo una designer ucraina, Alla Polotzenko, sposata con un italiano e allieva del corso di Di Mattei.

Perchè una casa comune della preghiera in una città già mostratasi ostile ad ogni idea altra, diciamolo pure, alle moschee, e che nelle sue massime istituzioni è vicinissima alla Chiesa cattolica, cui appartiene la stragrande maggioranza dei cittadini? «Se Dio è uno, una è la religione, poi tante sono le strade per giungervi, e la preghiera è un elemento comune e unificante, il momento in cui l’uomo e la donna si rivolgono alla divinità. In realtà il bisogno c’è» dice Di Mattei «ci sono piccole comunità buddiste e induiste in zone che non hanno centri in cui ritrovarsi. Gli ortodossi, poi, sono numerosi, ad esempio gli ucraini (si veda la recente messa di Natale con rito greco a Borsano)».

I promotori vogliono risposte ufficiali alla richiesta presentata al Comune: «Conoscendo l’amministrazione, ce ne attendiamo una interlocutoria» premettono, «ma per lo meno si prenda atto della richiesta. Il segretario della Lega mi aveva detto sui giornali di "portarmeli a casa io" gli stranieri di altra fede» dichiara Di Mattei. «Non tocca a loro rispondere, secondo me. È il sindaco che deve presentare alla Giunta la proposta, per poi rispondere in modo ufficiale e pubblico». No ai veti preventivi, insomma.

«Mi diceva un insigne biblista come Bruno Maggioni che "se hai paura dell’altro vuol dire che non sei convinto della tua religione". In questo gli integralismi si somigliano. Noi quando abbiamo festeggiato prima di Natale un momento di preghiera per i credenti l’abbiamo tenuto, tutti insieme, senza problemi. La fine del Ramadan gli islamici hanno dovuto festeggiarla all’aperto: ma non è meglio un luogo al chiuso, dove oltretutto anche le stesse forze dell’ordine, volendo, sarebbero in grado di esercitare un minimo di controllo?» A questo proposito, ricordiamo, il presidente della Camera Fini ha lanciato l’ipotesi di far tenere i sermoni agli imam rigorosamente in italiano. «Mah, a volte gli stessi italiani non capiscono le omelie nella loro lingua…» osserva Di Mattei, senza esprimere contrarietà di principio, «si potrebbe comunque richiedere la presenza di interpreti, certo nelle traduzioni si perde quell’unicità e ricchezza tipiche di ogni linguaggio».

Il "padrone di casa" dell’incontro, architetto Carlo Valentini, è tra i firmatari della petizione. Cattolico praticante, si dice convinto che un luogo di preghiera sia «una ricchezza per tutti» e vorrebbe vederlo realizzato in una forma che richiami il Pantheon di Roma  (senza le relative dimensioni e spese… ) – uno spazio circolare con un foro centrale nella copertura da cui possa entrare la luce. «Vengo da una formazione scout, e fin da giovane ho avuto l’abitudine e il piacere del contatto con differenti confessioni cristiane. Allora la cosa era di un qualche scandalo, a farci da "copertura" in quegli anni fu il cardinale Montini (poi Papa Paolo VI e autore di grandi aperture all’ecumenismo ndr). Anche le esperienze internazionali in terra di missione mi hanno aperto a questa prospettiva».

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Pubblicato il 19 Gennaio 2009
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