Processo allo skipper, l’accusa chiede 25 anni

Pesante richiesta del pm Polizzi dopo una requisitoria-fiume di oltre sei ore. Omicidio volontario l'accusa nei confronti di Pietro Colombo per la morte della compagna

Venticinque anni di carcere: questa la richiesta del pubblico ministero Giovanni Polizzi, formulata dopo oltre sei ore di requisitoria, al processo a carico di Pietro Colombo. L’imprenditore-skipper gallaratese è accusato di omicidio volontario per la morte della sua compagna Giuseppina Nicolini, annegata nel braccio di mare fra Preveza e l’isola di Lefkada, in Grecia, la notte del 21 maggio 2004, mentre navigava sul "Delfino Bianco" in compagnia del solo Colombo, unico testimone dei fatti.

Un’udienza-fiume, quella odierna, con oltre sei ore di requisitoria che ha visto il pm ripercorrere i numerosi elementi indiziari messi insieme in un’indagine partita nell’estate 2004 sulla segnalazione di Barbara Nicolini, figlia di Giuseppina, che aveva "scoperto" su segnalazione della Zurigo Assicurazioni l’esistenza dell’assicurazione reciproca sulla vita da un milione di franchi (sui 650.000 euro circa al valore dell’epoca, secondo il pm) stipulata l’anno prima da sua madre e dal Colombo. Il tutto a insaputa – non solo, ma tenutole nascosto dall’imputato, secondo quanto ricostruito dall’accusa. Il movente economico sarebbe una delle basi di lettura, se non la principale, dell’accaduto, con la possibile alternativa di una lite sentimentale (la donna avrebbe voluto regolarizzare la relazione con una convivenza): così secondo il pm.

Al centro della requisitoria le molte incongruenze sui dati di rotta, velocità, consumi, della notte del fatto, e le modalità della caduta in acqua della donna, per la perizia medico-legale compatibile con una colluttazione a bordo o un volo improvviso di schiena, a braccia levate, come per mantenere l’equilibrio. In acqua la donna sarebbe arrivata peraltro già non più in grado di reagire, ovvero di aggrapparsi alla lunga cima che si dipanava rapidamente. Sulle palme delle sue mani, a differenza della parte anteriore della testa, della schiena, di mani e braccia, dove non mancavano ecchimosi compatibili anche con una tentata difesa, nessun segno che facesse pensare ad un tentativo di tenersi e di riguadagnare la barca che filava sui dieci chilometri l’ora, condannando una persona legata e tracinata semiincosciente in acqua all’annegamento certo. Anche in un mare liscio come quello della notte. In più sembra che la Nicolini fosse una nuotatrice ben poco esperta.

Polizzi ha insistito anche sulle dichiarazioni incomplete o non veritiere rese dal Colombo nell’immediatezza alle autorità greche, come l’aver nascosto l’esistenza della polizza, ritardando di fatto di un paio di mesi l’avvio dell’indagine. Questo oltre alla sua apparente fretta di documentare l’accaduto all’assicurazione in modo da poter riscuotere la cifra e costruirsi, ha insinuato il pubblico ministero, una posizione economica non più legata a quella della consorte.
Ma soprattutto, il pm si è concentrato sulla personalità del Colombo, descrivendolo alla corte come persona «sanguigna, diretta» e al tempo stesso «calcolatrice e astuta», tanto da utilizzare diversi cellulari (non tutti individuati e sorvegliati) durante la fase delle indagini, incluso uno intestato al fidanzato della figlia, e mantenere contatti personali utili per tenersi informato sulle indagini o fin intralciarle, particolarmente in Grecia – dove al momento è sotto processo. Un uomo molto, molto attento al lato economico – «in questo è in buona compagnia, di questi tempi» dirà Polizzi – al punto di adombrare sospetti in tal senso, in una intercettazione svolta a suo carico e citata in aula, sulle motivazioni dello stesso pm, apostrofato con termini offensivi nella medesima telefonata.

Domani, mercoledì 21 gennaio, le arringhe di parte civile e difesa: e c’è da attendersi che quest’ultima, affidata all’avvocato Cesare Cicorella, darà battaglia a tutto campo sull’impianto accusatorio.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 20 Gennaio 2009
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