Angioletto Castiglioni porta la sua testimonianza in carcere

Incontro fra il partigiano deportato nei lager e un gruppo di detenuti in occasione delle celebrazioni per la Giornata della Memoria


«Perché proprio gli ebrei?». È iniziato con questa domanda l’incontro
fra Angioletto Castiglioni,
deportato nei campi di sterminio nazisti, e un gruppo di detenuti.
L’iniziativa, organizzata dall’Ipc Verri
e dalla Casa circondariale di Busto
Arsizio
, si è svolta mercoledì 4 febbraio e ha coinvolto circa 50 detenuti
di nazionalità diverse. Lo scopo, come per altre celebrazioni che si sono
svolte negli ultimi giorni in tutta la provincia, era quello di ricordare e
riflettere sull’Olocausto.
«Perché gli ebrei? Perché
Hitler ha instillato nella mente delle persone l’idea che la colpa della grave
crisi economia tedesca fosse da attribuire ai banchieri tedeschi. È così che è
nata l’ideologia nazista. Ma nel
primo campo creato dai nazisti nel 1933 sono finti anche gli zingari e i
bambini nati con malformazioni. Chi insomma non apparteneva alla “razza pura”». Ma Angioletto Castiglioni, che
a Busto è conosciuto da tutti, non apparteneva a queste “categorie”. «Dopo i
fatti dell’Hotel Meina mi sono domandato: ma
la mia patria dov’è?
Noi che abbiamo fatto un giuramento a un re che appena
ha potuto è scappato, come possiamo
accettare tutto questo?
». Ed è da qui, dal passaggio da militare a partigiano, che parte il racconto della
sua tragedia personale. Ad ascoltarlo in un silenzio generale che è stato
interrotto solo dal lungo applauso finale, un pubblico attento e interessato.
«Non voglio parlare di me oggi, ma di loro: gli sterminati. Tutto aveva inizio
sui treni, delle carceri viaggianti
che sono diventate il filo conduttore delle nostre tragedie». L’86enne, allora  poco più che ventenne, dopo essere stato
catturato e torturato, era stato internato nel campo di Flossenbürg. «Eravamo in settecento in una baracca. Ci svegliavano alle due di notte per
fare l’appello che ogni giorno durava delle ore. Dovevi sempre stare attento a ogni
tua mossa: guardare negli occhi una SS
equivaleva a morire
». Alla fine, quando ormai per la Germania la guerra era
finita, anche Castiglioni si trovò ad affrontare la “marcia della morte”. «Camminavamo in colonna e chi si fermava
veniva ucciso». Ma Angioletto Castiglioni ce l’ha fatta, è sopravvissuto e ha
potuto tener fede alla promessa fatta ad altri nel campo. «Dire al mondo ciò
che ci hanno fatto. Noi che ce l’abbiamo fatta ci sentiamo in dovere di
continuare sulla strada della memoria. Amici
miei, ora che avete ascoltato ricordate che la mia testimonianza, per essere
ricordata, va raccontata
».
Alla fine fra le tante mani alzate per chiedere di intervenire c’era quella di
un detenuto che, una volta salito sul palco, gli ha detto a mezza voce: «È un onore per me averla conosciuta». «È un onore per me essere qui con voi», ha
risposto Angioletto Castiglioni.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 04 Febbraio 2009
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