Super stipendi ai dirigenti: nulla di illecito secondo la Cassazione

Arrivano le motivazioni della sentenza che ha confermato il non luogo a procedere per due ex assessori della seconda giunta Tosi

Gli "stipendi d’oro" al Comune di Busto Arsizio non erano illegittimi, almeno dal punto di vista penale. È stata presentata in questi giorni la motivazione della sentenza della sesta sezione penale della Cassazione che nel settembre scorso ha definitivamente prosciolto da ogni addebito penale gli ex assessori leghisti Mario Rossini e Aldo Stefanazzi, in carica sotto la seconda amministrazione Tosi (1997-2001). La suprema corte aveva respinto il ricorso della Procura bustese contro il non luogo a procedere deciso dal gup Banci per i due assessori, affidatisi agli avvocati Francesca Buttini (penalista) e Giorgio Albè (giuslavorista). Gli stipendi dei funzionari comunali non erano dunque eccessivi per le responsabilità loro attribuite, e nelle delibere che li attribuivano non vi sarebbero elementi penalmente rilevanti. L’accusa per i due era di abuso d’ufficio in concorso in relazione alla delibera n. 354 del 3 aprile del 2002 siglata nella loro qualità di assessori dell’allora monocolore leghista.

La motivazione era importante perchè la prossima settimana sarà all’attenzione della Corte d’Appello di Milano il parallelo procedimento a carico dell’ex sindaco Gianfranco Tosi, di quattro suoi ex assessori – Grillo, Ruffinelli, Albè, Fontana – e tre funzionari. In primo grado, il 28 maggio 2007, l’assoluzione "perchè il fatto non sussiste", sempre davanti al gup Banci. La Procura aveva impugnato la sentenza, per riunire la corte d’appello si è attesa la motivazione della pronuncia della Cassazione, che di certo costituisce un punto a favore delle difese. «Il fatto che si sia portata sul piano penale questa vicenda» commenta brevemente l’avvocato Albè alla luce della sentenza e delle motivazioni «è stato forse eccessivo».

Nella motivazione si legge che "l’impugnazione è infondata". Tanto sull’aspetto formale dell’impiego da parte degli allora accusati di un parere legale da parte di un avvocato che non era uno dei loro difensori (atto legittimo, ribadisce la Cassazione), quanto sugli aspetti tecnici del contratto di lavoro per i dirigenti – nel caso specifico i tre citati nella motivazione che avevano ricevuto i famosi superstipendi. La sentenza si addentra infatti nei meandri del contratto collettivo nazionale di lavoro del 23 dicembre 1999, riprodotto in quelli successivi del 2002 e 2006, in particolare all’art. 27, soffermandosi sui commi secondo e quinto e osservando che quest’ultimo "specifica che i comuni e le camere di commercio con strutture organizzative complesse approvate dai rispettivi ordinamenti, che dispongano delle relative risorse, possono superare il valore massimo della retribuzione di posizione" indicata la secondo comma (cioè 82 milioni annui lordi in lire di allora). La Corte conclude rilevando che "l’impugnazione, formulata genericamente, non tiene conto, ai fini dell’accertamento dell’intenzionalità del dolo" (scopo dell’intero procedimento), "della circostanza che la delibera incriminata costituisce il rinnovo della precedente n. 464 del 10 maggio 2000".

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Pubblicato il 12 Febbraio 2009
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