Scene da uno sfratto

Aler e Comune irremovibili. Troppi affitti arretrati: Ciro, disoccupato, sua moglie Giovanna e tre figli, tra cui due minori, devono lasciare dopo quindici anni l'abitazione. Forse troveranno ospitalità grazie alle parrocchie

«Signora, io ho bisogno che lei mi liberi questa casa» le asciutte parole dell’ufficiale giudiziario. Ed è sfratto, dopo un paio d’ore di tira e molla e scene di disperazione. È stato eseguito questa mattina lo sfratto di Ciro G. della moglie Giovanna S., di tre figli, tra cui due minorenni, una ragazzina di 13 e un bambino di 4 anni, nonchè del cane Tommy, dalla casa Aler che occupavano in una palazzina di via Rossini. Lui napoletano, lei gelese, da decenni a Busto Arsizio, dal 1993 nell’appartamente, ora quasi senza un soldo. Si spera che possano trovare un tetto, si sta cercando di capire se la parrocchia di Sacconago abbia la possibilità di ospitarli. Poco potevano fare, purtroppo, anche le due figlie già uscite di casa: al massimo un’ospitalità del tutto temporanea, in emergenza. Una situazione limite la loro: la prospettiva era di rischiare di passare le notti in automobile.
Non sono mancati momenti di tensione stamane quando l’ufficiale giudiziario si è presentato alla porta con la polizia. Ferma e dignitosa la signora Giovanna, il marito è stato trattenuto in tempo dagli agenti quando ha fatto per ferirsi con un piccolo taglierino. Gesto plateale quanto si vuole, ma dettato da disperazione vera. Per lui, disoccupato dall’estate scorsa, e per la famiglia la situazione si era fatta impossibile; troppi i debiti arretrati con Aler, saliti a oltre diecimila euro (per un terzo spese legali). «Ho pagato, ho pagato porca miseria» ripeteva riferendosi alle rate da 500 euro mensili del suo piano di rientro dai debiti pregressi, cinque quelle pagate nel 2008 prima di discontinuarle per la perdita dell’impiego e del reddito relativo. «Sono senza lavoro, cosa devo fare, andare a rubare? Io voglio lavorare» ripeteva mentre la più grande delle figlie della coppia, una ventunenne, colta da una crisi d’ansia, veniva accompagnata al pronto soccorso. «Mi sono venuti qui in casa, avete la tv mi hanno detto, allora potete pagare l’affitto. È rotta…»

Per la vicenda della famiglia si erano mobilitati il sindacalista di Sicet Ezio Mostoni, ma anche il PD bustese con il segretario e consigliere comunale Erica D’Adda. Entrambi presenti sul luogo dello sfratto, cercavano in qualche modo di far ottenere un’ultima dilazione, anche solo di due settimane, per la famiglia, in modo da facilitare il reperimento di una sistemazione alternativa. Irremovibile l’amministrazione comunale con l’assessore Crespi, idem Aler, affranti i residenti nella casa, cui veniva ricordato che dilazioni erano già state concesse in passato. Non è mancato l’aneddoto paradossale: il Comune ha mandato a prendere Tommy per portarlo al canile, ma alla fine se l’è tenuto una delle figlie grandi della coppia. Come ha commentato Mostoni: «Di loro e dei ragazzi non ne hanno voluto sapere, per il cane però si sono mossi…» Mentre D’Adda cercava una sistemazione per gli sfrattati, il buonsenso dell’ufficiale giudiziario e degli agenti, che hanno cercato di calmare le acque evitando inutili asprezze, ha evitato gesti inconsulti. Alla famiglia è stato anche concesso di tenere i propri averi ancora per venti giorni nell’abitazione, ma la porta si è richiusa comunque alle loro spalle. «Siamo all’eclisse dei diritti sociali» commenta Mostoni scuotendo la testa. Nel settore casa le situazioni di difficoltà aumentano: e già ora sono parecchie decine gli avvisi di sfratto passati per le mani degli ufficiali giudiziari, per una buona metà proprio a carico di residenti di appartamenti di proprietà pubblica.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 27 Marzo 2009
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