Chiude Intimfashion, a casa in 60

Lo stabilimento di via Baden Powell chiuderà, presumibilmente entro l'estate, per decisione della proprietà che concentra la produzione e il marchio Ibici a Cotignola, in Romagna. I rappresentanti sindacali: "Amarezza, ma era nell'aria. Eppure ordini arrivano ancora"

Ennesimo colpo al tessuto produttivo industriale e alla storia del tessile bustocco: la proprietà annuncia la chiusura di Intimfashion, la ex Ibici, che produce calze da oltre sessant’anni. L’azienda, che negli anni ottanta era arrivata contare quasi 350 dipendenti ed era stata rilevata nell’estate 2007 dalla famiglia Ghirardi, industriali del Mantovano, lascerà a casa i circa sessanta dipendenti rimasti nello stabilimento di via Baden Powell (zona industriale di Sacconago. La notizia è emersa alla fine della scorsa settimana durantre incontri  fra sindacati e proprietà. La produzione restante, con i macchinari e il marchio Ibici, sarà trasferita presso la sede del gruppo Intimfashion a Cotignola, in Romagna. E se l’acquisizione della fabbrica era stato un classico esempio di passaggio di consegne fra l’ex triangolo industriale e la "tigre europea" del Nordest italiano, la sua chiusura rafforza ulteriormente il concetto.

Tra i dipendenti c’è rassegnazione, ma anche non poca rabbia. Il finale era atteso da tempo, dopo che per molti mesi non si erano più visti arrivare gli stipendi: per problemi finanziari del gruppo, non per un tracollo dei mercati. I lavoratori si erano messi a scioperare a singhiozzo. Peraltro, la scelta di chiudere a Busto Arsizio era stata annunciata già prima che i Ghirardi subentrassero alla vecchia proprietà. «Ci avevano detto già allora i proprietari uscenti» ricorda Marisa De Stefano, membro della RSU aziendale per Filtea-CGIL, «che i nuovi proprietari difficilmente sarebbero rimasti qui più di qualche anno, e che avrebbero comunque alla fine trasferito altrove la produzione. Era già allora in atto una riduzione di personale, può essere che ce l’abbiano detto per convincere altri ad andarsene».
A questo punto si dovrà attendere un nuovo incontro domani perchè i lavoratori sappiano fino a quando dovranno mantenere operativo lo stabilimento: al momento si presume una chiusura per fine luglio, con le ferie che diventeranno, tristemente, definitive. Il paradosso è che il mercato c’è ancora: «Ordini ne arrivano tuttora, un calo c’è stato ma si poteva andare avanti. Semmai cominciavano a mancarci le materie prime, perc i problemi nel pagamento dei fornitori».

Intanto la proprietà è finalmente riuscita a far avere ai dipendenti gli arretrati almeno di metà febbraio e di marzo. «Come ce l’abbiamo fatta in questi mesi?» racconta la rappresentante sindacale. «Abbiamo stretto tutti la cinghia, fatto tante rinunce, piccole e grandi. Niente parrucchiere, per dire, ma anche stare molto attenti a quello che si compra per mangiare, risparmiando su ogni euro. Tanti di noi hanno dovuto ricorrere a prestiti in banca, o alla solidarietà dei parenti». Un’umiliazione. E beffa al danno sembra aggiungere la proposta di accogliere eventualmente una ventina di dipendenti dello stabilimento di Busto Arsizio a Cotignola. «Di certo non stiamo facendo a gomitate per questa opportunità» commenta la sindacalista di fabbrica. «Quali garanzie abbiamo, a parte il problema di traslocare a trecento chilometri di distanza con la famiglia, di non ritrovarci nella stessa situazione di qui? Di volontari finora non se ne vedono».

A questo punto la parola passera ai sindacati confederali per gestire gli ammortizzatori sociali, che andranno ad aggiungersi a un quadro già allarmante mesi fa. Cassa integrazione straordinaria e mobilità appaiono gli "scivoli" obbligati da percorrere.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 28 Maggio 2009
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