Ex Ibici, dipendenti in presidio permanente: “fuori i soldi”
Gli arretrati alla sessantina di lavoratrici non sono stati ancora pagati nonostante gli accordi sindacali siglati. Ora si intende bloccare il trasferimento dei macchinari fin quando la proprietà non verserà il dovuto
Triste tramonto quella della ex Ibici di Busto Arsizio. Dopo un paio d’anni con il nome Intimfashion la fabbrica di calze, un tempo fiorente e tra le maggiori del settore, ha chiuso i battenti il 31 luglio come già si sapeva da tempo. I dipendenti, ora in cassa integrazione, mai hanno saputo o voluto accettare le ragioni di questa scelta da parte della proprietà, la famiglia di industriali del mantovano Ghirardi. E reclamano a gran voce gli arretrati. Fin quando non li vederanno, bloccheranno ogni tentativo di trasloco dei macchinari dalla sede di via Baden Powell, in zona industriale.
La paga di aprile è l’ultima arrivata, fa sapere la rappresentante sindacale per Filtea-Cgil Marisa De Stefano, aggiornando sulla situazione. «Gli accordi sindacali prevedevano che entro il 20 luglio la proprietà ci facesse avere metà maggio, la quattordicesima e il corrispettivo per la mensa», servizio la cui sospensione era stato il primo grosso scricchiolio che annunciava la crisi. «Ma non ci è ancora arrivato nulla», rendendo inevitabile la protesta.
Ciò che più irrita le lavoratrici è che «ancora lunedì ci arrivavano ordini». Non tanto il mercato dunque ha messo in ginocchio l’azienda, quanto «il passo più lungo della gamba» contestato (conil senno di poi, ovviamente) alla proprietà. Questa al proprio stabilimento di Cotignola, nel Ravennate, aveva aggiunto due anni fa la Ibici aprendo al contempo uno stabilimento in Bosnia. Il raffreddamento generale dell’economia e del credito ha fatto il resto: dall’epoca dell’investimento conveniente a quella delle banche matrigne e del credito ristretto il passo è stato breve per molti, per troppi. E a Busto Arsizio il precipizio si è aperto sotto sessanta persone, appena attenuato dal materasso della cassa integrazione, della mobilità o, per chi può, dal prepensionamento – c’è chi, come De Stefano, è in Ibici dal 1973. Una vita. Non resta che lottare, come nella vicenda milanese della Innse, giunta alla luce della ribalta. Ognuno a modo suo: a Milano ci si arrampica, a Busto Arsizio si presidia, con tanto di seggiole e tavolini. Se necessario anche di notte, per prevenire "colpi di mano" contro i macchinari. E con obiettivi diversi: là per salvare una reltà produttiva, qui, persa ogni speranza, per avere almeno il dovuto «Siamo una ventina, facciamo i turni» spiega la sindacalista. «Tanto in ferie in parecchie non ci potranno andare. Parlavo giusto ieri con una mia collega, disperata per questo. Suo figlio ha diciott’anni, e le dice: ora dovrò giustificare di fronte ai miei amici che non posso andare in vacanza perchè mia mamma non ha più un lavoro». Gli toccherà presto cercarselo a sua volta, questo, per giovani e meno giovani.
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