Il tessile varesino ha bisogno di una lobby

Il made in Italy, le etichettature e l'Europa al centro di un importante convegno indetto dagli industriali e da Sistema Moda Italia, con Graglia e Tronconi presenti il viceministro Urso e Marco Reguzzoni

"Made in, fare chiarezza sulla trasparenza": questo il titolo scelto dall’Unione degli industraili di Varese e da Sistema Moda Italia (SMI) per il convegno a MalpensaFiere. E chiarezza si è fatta, nell’illustrare quanto sia complessa la problematica delle etichettature del made in Italy per il tessile-abbigliamento nel contesto europeo e mondiale.

Ospiti dal mondo della politica il viceministro Adolfo Urso, fortemente impegnato sul fronte di Bruxelles, e l’onorevole Marco Reguzzoni della Lega Nord, uno dei tre autori, con i colleghi Versace e Calearo, del disegno di legge bipartisan a tutela del Made in Italy che proprio oggi inizia il suo iter presso la competente commissione parlamentare della Camera.
In generale, da quanto emerso durante il convegno c’è accordo politico, fra categorie e governo, sulla necessità di intervenire a tutela delle produzioni nazionali.

Il tema della filiera
Ad approfondirlo è il presidente di Univa Michele Graglia (a sinistra nella foto con Urso). «Il sistema moda italiano è come un iceberg» dice. Dietro la passerella c’è la rete dei sub-fornitori: tessiture, candeggi, tintostamperie, ricamifici, confezioni, eccetera. Ma la filiera è una, e si deve fare lobby uniti, anche perché «se non tiene la filiera, non tengono le singole imprese».
Duemilatrecento aziende, 22.000 addett
i sono i numeri della nostra Provincia nel settore. «Consapevoli del nostro potenziale, chiediamo di non essere lasciati soli». L’obiettivo è regolamentare il made in Italy in modo efficace, tramite la concertazione fra tutti i soggetti interessati. Niente grandi balzi in avanti insomma, tutto va ben ponderato fra categorie, politica e Unione Europea. Quanto alla proposta di legge Reguzzoni, «è da guardare con attenzione e da supportare».

La questione dell’etichettatura
Michele Tronconi presiede Sistema Moda Italia, ma già ai vertici di Euratex aveva avuto modo di conoscere a fondo le problematiche europee di settore. «Ci sono prodotti che risultano made in Italy solo perché cuciti e confezionati qui» ricorda Tronconi. «da quando nel 2005 è finito il sistema delle quote, la massa dei prodotti cinesi ha fatto crollare i prezzi all’importazione di quasi il 20%. Nel contempo i prezzi al consumo sono cresciuti del 9%. Il consumatore ha pagato ciò che di italiano ha solo il nome». Da qui la richiesta dell’etichettatura come garanzia per il consumatore stesso.
Marco Reguzzoni concorda e ribadisce che non basta un comma o un articolo inserito qua o là a regolamentare un settore bisognoso di una legge. L’impegno è di tutti, avverte, citando fra gli altri anche i sindacati, anch’essi presenti (fra il pubblico anche un osservatore attento come il vicedirettore del Corriere della sera Dario Di Vico). Sul “suo” disegno di legge, nato su spinta degli autonominati “contadini del tessile”, «non chiediamo soldi o privilegi ma di poter lavorare»: e si preciserà che almeno il 50% della lavorazione avvenga in Italia per poter parlare di made in Italy.

Da contraffattori… a contraffatti
In Europa l’atteggiamento italiano in materia di etichettature è cambiato a cavallo del millennio. Quella di Adolfo Urso è un’analisi rivelatrice. «Siamo passati da Paese contraffattore al Paese più contraffatto al mondo, da produttore di beni di valore modesto a produttore di merci di alta qualità». Il picco del commercio italiano a livello globale si è raggiunto con l’euro ai massimi storici. Proprio l’introduzione della moneta unica ha posto fine alla tradizionale politica della svalutazione. Poi la sovrapproduzione cinese e la stretta finanziaria hanno strangolato il nostro sistema. Per dire di quanto complesso e decisivo sia l’atteggiamento dei singoli Stati, basti pensare a un dato citato dal viceministro: la percentuale delle merci di origine cinese regolarmente sdoganate in Italia a livello europeo è scesa dal 16 al 9% negli ultimi anni, con il rafforzamento dei controlli.

Diplomazia in azione, nel nome del tessile
Dal dicembre 2005, racconta Urso, giace nei cassetti della Commissione europea una proposta in materia di etichettatura delle merci extracomunitarie, fin qui priva dei numeri per essere approvata. Un punto di partenza per andare, più avanti, a discutere di etichettature nazionali, con tutta la cautela del caso. Ora serve convincere, per avere i numeri, uno tra Francia, Germania e Gran Bretagna ad appoggiare la posizione italiana. La nuova commissaria europea, l’inglese Ashton, è possibilista. Le trattative andranno condotte, spiega Urso, sui settori da includere, in modo da rendere la norma interessante per più Paesi, e sulle nazioni extra-UE per le quali eventualmente si potranno fare condizioni particolari – senza che ciò venga usato come cavallo di Troia per aggirare le norme stesse.
Entro fine mese a Bruxelles sono previsti appuntamenti chiave istituzionali cui si deve giungere con le idee chiare su questi due punti. Quanto all’azione di governo, Urso ammette che l’articolo poi abrogato del ddl sviluppo ed energia era una «bandiera» di cui si è riconosciuta la contrarietà alle norme europee. Correndo ai ripari a settembre all’interno del cosiddetto decreto anti-inflazione, ora bisogna rendere compatibili con il diritto comunitario le disposizioni a tutela delle produzioni nazionali. La via appare stretta e ripida quanto quella che porta in Paradiso, ma «oggi c’è più spazio e consapevolezza che è importante mantenere in Europa l’economia reale».

"Contadini del tessile", ma per quanto ancora?
A latere del convegno, infine, le perplessità del bustocco Roberto Belloli in rappresentanza dei “contadini del tessile”. Prima di confrontarsi con i vertici di Univa ha lasciato trasparire tutta la preoccupazione dei "piccoli". «Non possiamo improvvisarci qui legislatori. Non c’è tempo: tra cinque anni non ci sarà più il tessile-abbigliamento. Qui il futuro si misura in mesi…» «Evitare di fare come i capponi di Renzo, beccandoci fra di noi» aveva detto "preventivamente" Tronconi. Viste dal basso, le cose sono semplici: la crisi morde, urge agire. Salendo di livello le cose si complicano. In comune c’è la volontà di agire.

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Pubblicato il 06 Ottobre 2009
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