Meno assessori e meno pagati? No grazie: il consiglio boccia
Bocciate due mozioni a firma di Audio Porfidio (La Voce della Città) per togliere i gettoni di presenza ai consiglieri e ridurre il numero e gli stipendi di assessori e amministratori di partecipate. Si discute su tagli e patto di stabilità, ma a vuoto
Enti locali "strozzati" dai tagli ai trasferimenti e uno Stato che non ne vuole sapere di lasciare i cordoni della borsa. Un discorso cronico che si è riproposto giovedì sera in consiglio comunale, nel contesto della discussione su due proposte "moralizzatrici" di Audio Porfidio (La Voce della Città) in discussione c’erano anche quelle relative alla sospensione dei gettoni di presenza per i consiglieri comunali e alla riduzione del numero degli assessori, nonchè della riduzione degli stipendi per assessori e amministratori di società partecipate. Proposte che sono state bocciate quasi all’unanimità, favorevoli i soli Porfidio e Corrado (Rifondazione). La serata, caratterizzata da un’unica delibera in votazione, avevalasciato spazio a varie interrogazioni e mozioni, in gran parte a firma di Porfidio. Il quale, proseguendo la sua inesausta guerriglia con la Polizia locale e per la sicurezza e del decoro della città, ha dovuto incassare delle bocciature al voto, o le risposte documentate, numeri alla mano, dell’assessore Fazio. Approvata invece una sua mozione sulla manutenzione e disciplina dei parchi pubblici.
La prima mozione "moralizzatrice" di Porfidio risaliva al maggio 2007 e solo ora è giunta in discussione. Una proposta che per colmo di sfortuna è venuta a coincidere con le improvvide misure di riduzione del numero dei consiglieri comunali annunciate – e poi, tipicamente, rinviate – dal governo.
Il clima non era pertanto dei migliori, se è vero che per il PD Valerio Mariani ha subito parlato di «demagogia delle destre» e di «messaggio sbagliato ai cittadini» spostando subito la discussione dal terreno bustocco a quello più generale della politica nazionale. Una bocciatura, sia pure prudenziale, che veniva anche dal PdL con Ninetto Pellegatta, decano del consiglio comunale in cui siede dal 1964 con una breve pausa solo nel 2006-2007. «Ai miei tempi non si prendeva nulla per fare il consigliere comunale, con tutto l’impegno che richiede: documentarsi sui provvedimenti in discussione, prepararsi gli interventi, eccetera. Fui favorevole all’introduzione dei gettoni di presenza». Cifre simboliche, s’intende, mille miglia lontane dalle laute spettanze autoattribuite dei parlamentari, tanto invise all’opinione pubblica.
Per il PdL anche Giuseppe Angelucci faceva due conti: «Non sono i consiglieri comunali a gravare sui conti pubblici, ma il cumulo di enti e l’amministrazione dello Stato in genere. Concordo con Mariani che c’è gente la quale, da quando siede a Roma, dimentica un po’ le realtà sul territorio». E a questo proposito interveniva l’ex sindaco Luigi Rosa per Busto Civitas: «Azione abnorme» tuonava «quella dello Stato centrale nei confronti degli enti locali, del tutto contraria allo spirito federalista. I costi delle sovrastrutture ci sono, per carità, parliamo solo delle società partecipate; ma si mette becco in ogni modo nell’azione degli organi locali, soprattutto con il patto di stabilità. La responsabilità anche finanziaria deve invece essere il più possibile nelle mani delle amministrazioni locali, controllate e giudicate dai cittadini». Anche Cislaghi (gruppo misto) ricordava il pasticciaccio dell’election day 2009 "sdoppiato" per volontà della Lega con relative spese inutili. Col che però «tutti i governi, a destra come a sinistra, hanno ingessato l’azione degli enti locali». Un’ingerenza ravvisata anche dal presidente del consiglio Speroni. Un’ingerenza che, si potrebbe aggiungere, non rispetta lo spirito della riforma del Titolo V della Costituzione. Questa, varata nel 2001 dal centrosinistra, nei fatti è stata applicata da allora solo nella misura in cui se ne potessero possano trarre utili politicamente spendibili, replicando per il resto al livello regionale la precedente impostazione centralista. Per tacere dei "regali" ai Comuni falliti fatti dai governi "amici", che per carità di patria nessuno in aula ha ricordato, pur lamentando a gran voce i tagli indiscriminati a danno dei "virtuosi" con i conti in ordine.
Visto il profilo "alto" della discussione, una proposta veniva da Erica D’Adda per il PD. «Fermiamoci cinque minuti e prepariamo un ordine del giorno in cui ci diciamo contrari all’indirizzo del governo e lo invitiamo ad abbassare piuttosto il numero di senatori e deputati: altrimenti siamo qui a parlarci addosso». Silenzio con grilli in sottofondo, e conferma dell’ultimo assunto. Ne sortivano solo le controaccuse "d’ufficio" al centrosinistra per aver bocciato (tramite referendum costituzionale, cioè secondo la volontà popolare) la devolution alla Calderoli, che tale riduzione prevedeva. «Non basta una ciliegina in cima a salvare una cosa malfatta» la replica di D’Adda. «Anche il centrosinistra ha proposto di ridurre il numero dei parlamentari. Poi c’è chi lo fa nell’ambito di proposte ragionevoli e chi in riforme costituzionali che gli italiani bocciano». Poi l’esito, prevedibile, del voto.
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