Enrico Dell’Acqua: il “principe mercante” e il mondo di cent’anni dopo

Si sono aperte a Busto Arsizio le celebrazioni per i cent'anni dalla scomprsa di questa figura iconica dell'imprenditoria della "Manchester d'Italia", ancora ricordata in Sudamerica per la sua pionieristica attività nell'export

Un precursore, un simbolo, il punto di riferimento di un secolo di industria, il punto focale di sguardi rivolti al passato per trarre ispirazione per il futuro. Tutto questo era Enrico Dell’Acqua (nella foto un suo ritratto, opera di Filippo Montalto), il "principe mercante", "il Pioniere", il bustocco per eccellenza, l’alfiere del tessile. Si sono aperte stamane ai Molini Marzoli, fra discorsi, analisi del momento e premi a pioggia, le celebrazioni dei cent’anni dalla scomparsa di questo personaggio meno noto forse di quanto avrebbe meritato, ma il cui nome a Busto Arsizio ricorre un po’ ovunque, in scuole, monumenti, associazioni. Forse quasi a compensare un’esistenza in cui non ebbe sempre piena comprensione e appoggio, ma fece comunque tantissimo, muovendosi "tra il Sempione e la Pampa" per diffondere quello che oggi chiamiamo il "made in". Made in Busto Arsizio, hanno ricordato i vari relatori succedutisi (dal sindaco Farioli all’on. Renzo Tosolini, a Bruno Amoroso per la Camera di Commercio, allo storico Robertino Ghiringhelli), visto che nella seconda metà dell’Ottocento il concetto di made in Italy nel senso di quei simboli e valori che lo straniero associa all’Italia nel suo complesso era di là da venire – come di fatto l’Italia stessa, neppure oggi ancora omogenea nei suoi esiti, a quasi un secolo e mezzo dall’unificazione.

Il sindaco Gigi Farioli, ricordando il ruolo dell’Associazione intitolata a Dell’Acqua e in attività fin dal 1997 e il mesaggio augurale del Capo dello Stato per le iniziative (che avranno un logo caratteristico, delle vele con i colori che richiamano Argentina e Italia), ha ringraziato il governo e in particolare il ministro della cultura Bondi. L’anno 2010 sarà imperniato sulla figura di Dell’Acqua, «senza fare della vuota retorica o giardare al passato» ha detto Farioli, bensì per l’attualità del messaggio di attivismo che viene dall’illustre personaggio. E se il ministro Tremonti «venne qui, in questa sala, a parlarci della crisi e del coraggio che serve per uscirne, a suo tempo Enrico Dell’Acqua seppe resistere alle difficoltà e uscirne proprio cercando nuove opportunità». A cavallo o in piroscafo: l’uomo era incontenibile e inarrestabile. Nel Meridione poverissimo lo chiamavano "il Bustoarsizio": era l’unico bustocco in circolazione. Si informava preventivamente scrivendo a parroci, farmacisti, tenenze dei regi Carabinieri, sulla presenza di attività commerciali e industriali: poi partiva, attraversando a cavallo plaghe spesso poverissime e infestate dal banditismo, "armato" solamente della sua brava valigetta con il campionario dei tessuti da "piazzare". Così lo descriveva già dieci anni prima della sua morte un giovanissimo Luigi Einaudi, futuro Presidente della Repubblica e già professore all’università, raccontando quanto fatto una generazione prima per promuovere il commercio nell’Italia appena unita – e tenuta insieme a stento. Dopo il Sud d’Italia, sarebbe venuto il Sud delle Americhe: e qui il nome di dell’Acqua diventa leggenda, se è vero che ancora oggi ha vie a lui dedicate nella capitale e in altre città dell’Argentina. «Poco tempo fa ho conosciuto un argentino» racconta Farioli, «mi ha detto che Dell’Acqua aveva portato la speranza a Santa Fè».

L’onorevole Tosolini, da imprenditore tessile, di Dell’Acqua ricorda l’intuizione modernissima di dividersi i compiti con il fratello, fin dai primi esordi imprenditoriali: al fratello la parte produttiva, lui avrebbe fatto "il commerciale", diciamo oggi. E che commerciale. Il suo metodo di organizzarsi preventivamente per "tastare il terreno" lo esportò in Argentina: anche lì scriveva alle poste delle varie città per sapere quali tiendas erano in attività (praticamente l’invenzione della mailing list, o giù di lì), poi in treno se c’era, a cavallo se no, eccolo partire per le pampas sconfinate, a introdurre l’industria in territori del tutto agricoli, a braccetto con i nuovi immigrati dall’Europa. Creò qualcosa come 400 punti vendita: e portava con sè il nome di Busto Arsizio e dei suoi opifici. «Non trovò sempre appoggi o cancelli aperti, ebbe grosse difficoltà», ma fu un protagonista della prima globalizzazione, quella in cui Europa e Nordamerica sommersero il mondo di prodotti; oggi, nella seconda, avviene il contrario. Solo che allora in Sudamerica si arrivava con 40 giorni di piroscafo; oggi dalla Cina all’Italia un aereo cargo impiega mezza giornata, una portacontainer due settimane.
«Dell’Acqua non nacque nè morì a Busto, ma pensava da bustocco», l’epitaffio coniato da Robertino Ghiringhelli. «Fu il primo ad aprire società di export e società multinazionali con capitali nostrani ed argentini. Credeva fermamente che il prodotto si vende quando a) ci credi b) hai la libertà di commercializzarlo c) la gente lo conosce». Fede, libertà di commercio, pubblicità. E della concorrenza non aveva certo paura: perchè lui, i mercati, li apriva.

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Pubblicato il 23 Gennaio 2010
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