La Lombardia? “Ultima in Italia sulla scuola”

Vigorosa contestazione del "modello lombardo" da parte della Federazione della Sinistra, dati ISTAT alla mano. Classismo e tagli indiscriminati al settore statale le accuse. Mentre il mercato del lavoro dei laureati quasi non sa che farsene

La scuola, fronte caldo dell’opposizione al pensiero unico del berlusconianesimo reale, fatto di svuotamento della funzione etica e sociale della scuola statale e di favore sistematico e premeditato a quella privata, in un quadro di classismo scoperto ed evidente. Così almeno la vede la Federazione della Sinistra che ha indetto lunedì sera un riunione presso Villa Tovaglieri con la presenza di due candidati alle elezioni regionali: Giampaolo Livetti, già consigliere provinciale, e Michele Maglione, insegnanti. Ad affiancarli un esponente sindacale del mondo scolastico, Riccardo Lucchina di Flc-Cgil provinciale Varese; l’introduzione era affidata al segretario cittadino del PdCI Cosimo Cerardi.

Non spendere per la scuola vuol dire non investire nel futuro e mettere in mora non solo lo sviluppo economico del Paese, ma la sua stessa identità, costruita in larga parte proprio attraverso la scuola, attacca Cerardi. Il buono scuola viene usato come cavallo di Troia «per aggirare l’art. 33 della Costituzione, che precisa come il finanziamento della scuola privata debba avvenire "senza oneri per lo Stato"». Parole al vento, oggi, quando, rincara, il buono va a famiglie fino a 200mila euro l’anno di reddito, cifra che il 91% delle famiglie di alunni delle scuole statali, privi di buoni e sostegni vari, si sognano.
«Bisogna contrastare l’attacco alla scuola pubblica» per Livetti, «si vede una sempre crescente divaricazione tra le risorse della scuola statale e quelle elargite alle private», perlopiù confessionali. «La scuola pubblica è un diritto e un segno di civiltà, invece si creano ad arte classi affollate con un personale docente sempre più precario e demotivato. Il modello è l’America: tra poco avremo insegnanti pagati molto meglio nel settore privato e un’istruzione classista, che mortifica le intelligenze pur presenti nei ceti meno abbienti, mentre manda avanti i mediocri che fra le classi dominanti non mancano mai». Non solo per giustizia, «ma per civiltà e buonsenso, in nome dell’intelligenza», ovunque essa si trovi, dal figlio di nessuno alla ragazza di buona famiglia, bisogna opporsi, sostiene, all’andazzo che manda a fondo la scuola pubblica e a politiche che «accrescono i problemi degli istituti pubblici per avere la scusa di promuovere quelli privati», come dirà Maglione. Tutto frutto di quella sconfitta culturale su cui si chiede ancora di interrogarsi: senza però rassegnarsi a capire che la "cultura" negli ultimi trent’anni non l’ha fatta certo la scuola, ma la tv commerciale.

Dati preoccupanti nella relazione di Lucchina. La scuola privata? «Discriminante» proprio perchè mirata ad un profitto, e quindi meno pronta ad accogliere disabili o stranieri, "gravami" su un bilancio scolastico. Un servizio migliore nel privato? Non è detto: e quasi un quarto degli insegnanti ivi impiegati non hanno abilitazione, il che di per sè non è indice di incapacità, osserva Lucchina, ma non è nemmeno un buon segno. Steso un velo pietoso sui costi delle scuole dell’infanzia, per le superiori della riforma Gelmini, più che le scelte opinabili sugli indirizzi, si rimarcano i tagli («devastanti») che portano a classi più affollate e orari ridotti. «I dirigenti regionali ancora di recente ci dicevano: quella lombarda è la migliore scuola d’Italia. Ebbene, i dati ISTAT del 2007-2008 ci dicono che la Lombardia è ultima tra le regioni per il tasso di scolarità nella fascia 14-18 anni (86,9% contro media italiana del 93,9%) e per la percentuale di diplomati fra i diciannovenni (66,6% contro 74,2%), solo le province autonome di Trento e Bolzano fanno occasionalmente di peggio». Questi dati assai sorprendenti e che richiederebbero qualche analisi ulteriore, visto che "bocciano" le zone più benestanti d’Italia, sono scaricabili da questo link. E se l’istruzione pubblica ha qualche lacuna, quella privata secondo l’OCSE, riferisce Lucchina, è l’unica d’Europa che non offre formazione migliore di quella degli istituti pubblici: tutt’altro. C’è poi il punto dolente della domanda del mercato del lavoro. Nella ricca e moderna provincia di Varese, servirebbero un 8% di laureati, 40% di diplomati, 50% con la terza media. Questo è quanto: non c’è da stupirsi se poi si torna all’"appena puoi vai a lavorare". «Stiamo perdendo il treno» conclude Lucchina. Il treno che tiene agganciati all’Europa.

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Pubblicato il 16 Marzo 2010
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