Legambiente: “Ora si faccia luce sul depuratore di Sant’Antonino”

In una nota il Cigno verde lombardo chiede al tribunale di Busto Arsizio di andare avanti nella vicenda che vede indagati dalla Procura per disastro ambientale esponenti di Sogeiva e della società di tutela ambientale dei torrenti Arno-Rile-Tenore

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato di Legambiente Lombardia in merito all’indagine della Procura di Busto Arsizio sull’inquinamento della zona del Marinone che sarebbe stato causato dal malfunzionamento del depuratore di Sant’Antonino. La vicenda è ora nelle mani del giudice per l’udienza preliminare che dovrà decidere se accogliere la richiesta di archiviazione dell’accusa di disastro ambientale nei confronti di Modesto Verderio, allora presidente della società di tutela dei torrenti Arno-Rile-Tenore e dell’ingegner Caniello, a capo di Sogeiva all’epoca dei fatti contestati.

“ Un primo passo per il Ticino è stato fatto. L’azione della Procura, lungamente sollecitata dal nostro avvocato Veronica Dini, è stata fondamentale, il sequestro del depuratore di Sant’Antonino a Lonate Pozzolo ha permesso di avviare a soluzione una situazione sfuggita di mano ai gestori. Ora la situazione è migliorata ma non abbastanza, perchè il Ticino continua a ricevere acque inquinate e nulla è stato fatto per eliminare gli scarichi abusivi in provincia di Varese. Chiediamo che la magistratura prosegua le indagini perchè ci sono ancora responsabili da individuare se si vogliono davvero risanare le acque del Fiume Azzurro”. Claudio Spreafico, presidente del circolo Legambiente di Turbigo , commenta così, in vista dell’udienza prevista per giovedì, la situazione attuale di grave inquinamento del Ticino, denunciata da un esposto dell’associazione nel lontano 2004.

Il sequestro dell’impianto disposto dalla Procura di Busto è l’ultimo capitolo di una vicenda durata un decennio (vedi scheda): nell’ambito delle attività di controllo imposte dalla Procura, l’ARPA Lombardia ha sviluppato un piano di analisi e monitoraggio che ha permesso di rilevare gravi carenze, documentate da rapporti semestrali. A fronte di queste evidenze, con fondi regionali sono stati avviati importanti interventi che, secondo i cronoprogrammi, produrranno rilevanti benefici, ma non prima dei prossimi due anni. E non è detto che questi benefici siano risolutivi, se non si metterà mano al grave problema di scarichi abusivi e irregolari, che persiste a monte e di cui sono responsabili la Provincia di Varese e alcuni comuni, in particolare Busto Arsizio. A preoccupare è in particolare la qualità disastrosa dei liquami provenienti dalle fognature bustocche.

“ Le analisi di ARPA hanno messo in evidenza concentrazioni altissime di idrocarburi e coloranti, sicuramente provenienti dalle tintostamperie di Busto – rivela Damiano Di Simine , presidente di Legambiente Lombardia – L’attuale configurazione del depuratore non permette di gestire le portate del collettore di Busto, che alle prime piogge vengono by-passate senza trattamento”. Le fogne bustocche sono pesantemente contaminate da liquami industriali, carichi di idrocarburi, coloranti e detergenti impiegati nella stampa dei tessuti, ma delle cui origini non si sa nulla, poiché il comune di Busto non ha mai delegato il consorzio di depurazione ad effettuare i controlli degli scarichi, necessari per stabilirne la conformità e le tariffe di conferimento in base al principio chi inquina, paga . “Chiediamo alla Procura di Busto di non fermarsi ai primi, importanti risultati raggiunti, ma di proseguire ed estendere le indagini, per individuare le responsabilità degli amministratori pubblici che, attenuando o impedendo i controlli, hanno reso possibile una situazione di grave inquinamento delle acque superficiali e sotterranee consentendo un vero e proprio dumping ambientale a vantaggio delle industrie insediate nel Bustocco. – Conclude Di Simine – Siamo in una situazione di evidente e grave carenza del controllo pubblico sulla gestione idrica e l’effetto di questa situazione è che chi inquina, non paga, e chi deve bonificare non ha i soldi per farlo. Alla fine comunque qualcuno paga per tutti: il Ticino”.

SCHEDA – Il grave inquinamento delle acque del Ticino e, in particolare, del suo ramo Marinone, si trascina da un decennio. Da sempre frequentato per il pregio del suo ambiente naturale e delle sue acque, il Marinone diventò qualcosa di simile ad una fogna a partire dal 2001 anno in cui, per attuare il risanamento dell’area di spagliamento del torrente Arno, tra Lonate Pozzolo (VA) e Castano Primo (MI), le acque del torrente e quelle del depuratore (che vi scarica l’equivalente di una città di mezzo milione di abitanti) vennero deviate nel Ticino. Il torrentello non è mai stato un affluente del Ticino: la sua modesta portata infatti veniva assorbita dai suoli permeabili di una vasta area di spagliamento tra le province di Varese e di Milano. Ma negli anni le acque dell’Arno sono cambiate, in qualità e portata: acque divenute luride a causa di molti scarichi abusivi, a cui si è sommato l’effluente del depuratore di Sant’Antonino: scarico che, dopo la depurazione, restava nero per i coloranti delle industrie tessili del Bustese e contaminato da detergenti e idrocarburi, oltre che da coliformi e ammoniaca, perchè il funzionamento del depuratore è sempre stato insoddisfacente, a causa di inadeguatezze impiantistiche e di insufficienti manutenzioni.

Negli anni ’90, dopo l’allacciamento al depuratore degli scarichi di Malpensa e della fognatura di Busto, le portate scaricate nell’Arno sono aumentate enormemente, diventando un problema sanitario e di sicurezza per i centri abitati circostanti, insidiati dalla espansione della laguna in cui l’Arno terminava il suo corso. Per questo nel 1998 Regione, Parco del Ticino ed Enti Locali sottoscrissero un accordo di programma per migliorare la depurazione e deviare il corso del torrente verso un’area di spagliamento artificiale, che solo in caso di piena eccezionale avrebbe dovuto scaricare le portate in eccesso nel Ticino, separando lo scarico del depuratore che, dopo un trattamento di affinamento depurativo, avrebbe dovuto giungere nel canale industriale che alimenta il Naviglio Grande, e nella rete dei canali irrigui del Consorzio Villoresi.

Questo era quanto prevedeva l’accordo di programma, ma il mancato rispetto di obblighi e scadenze, unito alle cattive prestazioni del depuratore, ha messo rapidamente fuori uso le vasche di spagliamento artificiale, attivate prima che gli scarichi venissero deviati, causando lo scarico continuo delle acque luride direttamente in Ticino. Un inquinamento gravissimo, durato anni e di cui ancora si registrano effetti: l’ultimo rapporto ARPA, consegnato lo scorso marzo, documenta la mancanza di specie ittiche pregiate, come lo scazzone e il barbo, a valle del punto di sversamento, oltre a sensibili peggioramenti nelle concentrazioni di azoto e fosforo.

La situazione di grave disastro ambientale fu denunciata nel 2004 da Legambiente, che per questo depositò un esposto-denuncia alla Procura di Busto. Prima di allora, Legambiente, insieme ai comitati, aveva raccolto migliaia di firme di cittadini indignati per il gravissimo inquinamento che avveniva sotto i loro occhi e senza che gli enti responsabili sembrassero intenzionati a farsene carico. La fondamentale azione della Procura, lungamente sollecitata, ha portato al sequestro del depuratore che, affidato ai controlli del NOE e dei tecnici di ARPA, ha permesso di mettere sotto controllo una situazione sfuggita di mano ai gestori: ciò appare chiaro dalle analisi riportate nei rapporti redatti da ARPA Lombardia, da cui risulta una evidente insufficienza delle prestazioni del depuratore. Perciò La Regione ha già stanziato risorse per interventi che, in capo a un paio d’anni, dovrebbero permettere di riportare la situazione alla normalità, almeno per quanto riguarda il depuratore. Ma non è detto che questi benefici siano risolutivi, se non si metterà mano al grave problema di scarichi abusivi e irregolari, che persiste e di cui sono responsabili la Provincia di Varese e alcuni comuni, in particolare Busto Arsizio.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 04 Maggio 2010
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