A scuola di dolce in carcere

Scuola e carcere insieme per la prevenzione delle devianze e il recupero dei detenuti con un progetto che coinvolge tre istituti superiori di Busto e Gallarate. Laboratori dolciari e artigianali e lezioni per i ragazzi con esperti e volontari

"A scuola di… dolce in carcere" è il nome del progetto, finanziato da fondi regionali, presentato lunedì presso la casa circondariale di via per Cassano e che mette "in rete" detenuti, scuole e Comuni. Nasce dalla collaborazione fra le amministrazioni comunali di Busto Arsizio, Gallarate e Cassano Magnago, l’associazione assistenza Carcerati e Famiglie e tre scuole superiori locali: due bustocche, il Liceo artistico Candiani, l’Ipc Verri (già impegnata in progetti di formazione in carcere), e una gallaratese, l’Ipc Falcone. Coordina l’iniziativa per l’associazione che aiuta carcerati e famiglie Pierluigi Brun, che ricordava come finalità dell’iniziativa sia quella di prevenire l’insorgere tra i giovanissimi di fenomeni di devianza sociale, violenza e bullismo: anche con lezioni in classe, facendo loro conoscere la realtà del carcere tramite l’incontro con gli operatori e i volontari. Ma soprattutto, la novità sta nella collaborazione attiva studenti-detenuti in laboratori finalizzati a realizzare i dolci (con l’ausilio di esperti pasticceri) e oggetti artigianali di ceramica, tutti pezzi unici, contributo del liceo Candiani. Le classi seconde degli istituti saranno coinvolte nella parte "educativa-preventiva" del progetto, mentre gli studenti maggiorenni saranno coinvolti nella parte di laboratorio, e terranno prossimamente un incontro pubblico.
Quello di Busto Arsizio è un carcere ormai noto per la produzione dolciaria dei suoi laboratori, uno dei progetti di lavoro più apprezzati nell’ambito dell’amministrazione penitenziaria. I laboratori per la produzione di cioccolato e quella di miele con tanto di arnie, la serra per le colture, persino un videoclip dedicato a Pinocchio sono alcuni dei fiori all’occhiello di questa casa circondariale, ricordate dalla responsabile dell’area trattamentale, dottoressa Rita Gaeta. Senza queste, resterebbe la dura condizione delle carceri italiane, dove con difficoltà si cerca di preservare la dignità di uno Stato di diritto.
Il quinto carcere d’Italia per sovraffollamento non è dunque solo un luogo di afflizione e reclusione: si cerca con impegno sincero di fare della pena un’occasione di rieducazione, per quanto gli scarsi mezzi e spazi a disposizione lo consentano. Il personale di vigilanza è sempre insufficiente, nondimeno si riesce a dare un’attività più o meno coninua da svolgere almeno a oltre due terzi dei detenuti. Cosa che serve non solo a rendere meno pesante la dura condizione del detenuto, isolato dalla società e "ristretto", ma in molti casi ad acquisire una competenza professionale eventualmente "spendibile" una volta fuori. Purchè, "fuori", imparino a non giudicare chi è già stato giudicato. Fuori dal portone, infatti, non è meno dura per chi è stato in cella ed esce privo di contatti: fondamentale, ricordava l’assessore bustocco ai servizi sociali Mario Crespi, il reinserimento pieno di chi ha sbagliato, per evitarne la marginalizzazione e la ricaduta nella devianza.

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Pubblicato il 16 Novembre 2010
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