Luigi Tosi, beffati i dipendenti della storica tintoria

Respinta la richiesta di altri tre mesi di cassa integrazione in deroga per i 38 dell'azienda, la cui crisi era esplosa nell'autunno 2009. "Venti milioni sottratti a erario e Inps, qualcuno ne deve rispondere"

Sipario sulla vicenda della Luigi Tosi di Busto Arsizio. La ditta, azienda storica nata negli anni Venti, chiude definitivamente i battenti: ai lavoratori non spetterà che il recupero dei Tfr e la mobilità. Oggi alla sede Cgil di via Caprera si è fatto il punto "tombale" della situazione, con il sindacalista Ernesto Raffaele per Filctem-Cgil a riassumere davanti ai lavoratori la vicenda. Finita male, perchè nei giorni scorsi il tribunale ha respinto la richiesta di proroga della cassa integrazione in deroga. Mentre per quella straordinaria il rateo del relativo Tfr maturato è in capo a Inps, per la cig in deroga grava sull’azienda, o su quel che ne resta in casi come questo di fallimento. La proposta è stata reputata troppo gravosa per le superstiti finanze gestite dalla curatrice fallimentare, tanto più che risultava comunque un debito di bilancio da 67mila euro. Un no alla luce anche del parere contrario dei creditori, e degli oneri già versati per gli ammortizzatori. I lavoratori erano disposti nero su bianco, con lettera a giudie e curatrice fallimentare, persino a rinunciare al rateo maturato sul Tfr per il periodo corrispondente (sui 400 euro a testa per il trimestre), in pratica al limite a pagarsi di tasca propria la proroga della cassa in deroga. Niente da fare, la proposta risultava non fattibile nè idonea, a conti fatti, dal punto di vista economico. Si riteneva tra l’altro non espressa da tutti la disponibilità a rinunciare all’indennità di preavviso. Fatto che il sindacalista, che ringrazia i lavoratori per la fiducia concessagli, contesta, chiamando la stessa lettera di licenziamento inviata dalla curatrice a testimone del contrario. Sì e no una su dieci delle persone coinvolte, nel frattempo, è riuscita a trovare un qualche impiego, ma sempre e solo a tempo determinato.

– Dall’occupazione alla procedura fallimentare

La situazione era esplosa nell’ottobre dello scorso anno con l’occupazione della fabbrica da parte dei dipendenti, mentre emergeva un enorme debito verso l’erario e l’Inps, su cui indagavano Equitalia e Guardia di Finanza. I lavoratori oggi parlano di venti milioni di debiti, chiedendosi come sia possibile che ciò avvenga senza che si batta ciglio. Presto fu richiesto il fallimento. L’occupazione della storica tintoria di via Adua si concluse il 30 ottobre 2009, mentre il sindacato si occupava di far avere la cassa integrazione a tutti. La curatrice fallimentare, ragionera Giovanna Niero, chiese ai dipendenti di mandare avanti l’attività con l‘esercizio provvisorio, per tenere attive le macchine e aperti i contatti con la residua clientela o eventuali soggetti interessati ad acquistare o affittare. Si lavorò ancora, in condizioni non sempre salubri o sicure (accadeva che i lavoratori dovessero mettere le mani nei quadri elettrici aperti per avviare le macchine del reparto confezione). «Si rischiò anche una tragedia il 22 giugno quando un metro quadro di soletta in mattoni forati crollò» dove fino a pochi istanti prima stazionava uno dei dipendenti, N.S.. A lavorare erano rimaste una ventina di persone: tra queste si aggiravano in fabbrica anche i figli dell’anziano titolare e quest’ultimo. Nel 2001 la forma societaria, ricordano i dipendenti, era stata modificata da SpA a sas (accomandita semplice): a rispondere di tutto era quindi da anni il solo capofamiglia.

-Un’offerta e una controproposta sfumate

In marzo 2010 vi era stata frattanto una novità: si era fatto avanti un imprenditore interessato a prendere in affitto l’attività. La sua offerta alla fine sfumò. L’imprenditore aveva intenzione di creare una "NewCo" con un trasferimento di ramo d’azienda: di tenersi solo 19 dei dipendenti, che avrebbero ricevuto il solo salario base a livello nazionale, senza quattordicesima, premi di produzione, eccetera. Questo quando alla Luigi Tosi in genere, ammette Raffaele, «i salari erano stati medio-alti» per la categoria. «Agli altri si chiedeva di sottoscrivere la rinuncia a impugnare in cambio di una cifra peraltro non precisata», ma molto modesta. Dopo consultazioni, anche con Api, l’associazione di categoria dell’imprenditore, «abbiamo detto di no», racconta Raffaele. Si arrivò anche alla conferma davanti al giudice di quella proposta. «Noi non avevamo detto solo di no» precisa Raffaele: «avevamo una controproposta. Ossia, che si assumessero tutti: 19 avrebbero lavorato, poi si sarebbe chiesta per gli altri una cassa integrazione straordinaria di due anni per riconversione, garantendo copertura salariale». Stavolta a dire picche fu la controparte: «è inutile quindi che ci dicano che abbiamo chiuso noi le porte». Sfumata l’offerta, si andò avanti con l’esercizio provvisorio poi terminato ai primi di settembre. Mese al termine del quale arrivarono le lettere di licenziamento, decorrente dal 21 ottobre. Si ebbe la cassa in deroga per il periodo fino a questo 31 dicembre, nei giorni scorsi il no al prolungamento ulteriore da gennaio 2011, in base alla decisione della seconda sezione del tribunale civile di Busto Arsizio.

– I beffati: "Qualcuno deve rendere conto dell’allegra gestione"

«Non concedere l’ammortizzatore sociale causa un danno non da poco: la cassa in deroga presuppone corsi di riqualificazione che danno un sbocco. Alcuni con quei mesi in più potevano trovare lo scivolo alla pensione, contando anche la mobilità. Altro danno: a chi ha figli minori si riconoscevano dei voucher mensili per scuola e prime necessità». «Vergognoso» per Raffaele che non vi sia una legge specifica per cui almeno del rateo Tfr si faccia carico l’Inps in caso di cassa in deroga. «Come Cgil chiediamo da tempo una legge in materia».
Grande l’amarezza tra i dipendenti per la conclusione della vicenda, con accuse assai dure a chi ha gestito l’azienda, prima, ma anche dopo la procedura fallimentare. «Correvamo dalla mattina alla sera, non eravamo mai fermi, questo il risultato. Qualcuno deve rendere conto dell’allegra gestione, non solo il vecchio titolare. Com’è che in questo Paese c’è chi va in galera per 140 euro di tasse non pagate, e chi invece gira in Mercedes con venti milioni tra contributi e il resto sottratti a erario e Inps?»

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Pubblicato il 29 Dicembre 2010
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