“Ho visto Vallanzasca e molti altri. In carcere ci sono persone, non eroi”
Il direttore del Carcere di Busto parla della città "viva e pulsante" che sta dietro le sbarre. Racconta dei progetti avviati in questi anni per dare ai detenuti delle nuove opportunità
Bianco o nero. Gettare via la chiave oppure aprire le porte. «Ho fatto quarant’anni di carcere nella mia carriera, come direttore intendo, e raramente ho trovato persone in grado di capire esattamente cosa sia questa realtà. C’è chi, di detenuti, non vorrebbe nemmeno parlare e dimentica che si tratta di persone, di esseri umani, nonostante abbiano commesso degli errori. Dall’altra parte ci sono i buonisti che dicono "poverini" ignorando le conseguenze che quegli errori hanno comportato. La via di mezzo è davvero difficile da trovare all’esterno». A parlare è Salvatore Nastasia direttore del carcere di Busto Arsizio. Nella sua esperienza ha girato come dirigente 26 istituti e ancora oggi ricorda il suo primo giorno, segnato dal "rumore delle porte che si chiudevano alle spalle" per separare la "città" carcere dal resto. Un rumore che fa paura.
«I media, le notizie, i film, tendono a "mitizzare" la realtà o a costruire la vita del carcere intorno ad eventi eclatanti come l’omicidio o la fuga. Spesso gli stessi carcerati vengono rappresentati come eroi. Ma non si tratta di eroi, si tratta di persone. Ne ho visti tanti, anche tra i più conosciuti e discussi, come Vallanzasca, Andraous o Totò Rina». Nel carcere di Busto ci sono oggi oltre 400 detenuti. «È una realtà diversa delle altre della Lombardia – spiega il suo direttore -. Per prima cosa perché Busto ha la competenza territoriale su Malpensa questo spiega l’altissima percentuale di detenuti stranieri all’interno della struttura. Ma rispetto ad alcuni anni fa anche questo sta cambiando. Prima l’etnia prevalente era quella dell’America Latina. Colombia, Bolivia, Repubblica Dominicana, le tratte su cui viaggiano gli importatori di cocaina. Negli ultimi anni invece è cresciuta maggiormente la percentuale di centro nord africani. È calato invece il numero dei detenuti dell’Est».
Ma la realtà di Busto è diversa anche per altro. All’interno del carcere sono stati attivati progetti importanti, come "Dolce in carcere", del quale è stato presentato un bilancio questa mattina a Confartigianato Varese. «Dico sempre che ai detenuti non bisogna dare il pesce ma la canna da pesca – continua Nastasia -. Il carcere non è una caserma. Chi ci vive ha bisogno di sapere che ci sono delle opportunità. Ha bisogno di imparare qualcosa che possa servire in futuro. Il progetto che abbiamo attivato prevede l’insegnamento di un mestiere, quello del pasticcere e non si tratta di un hobby per trascorrere il tempo ma una preparazione professionale». Dalle parole del direttore emerge una grande passione. Parla dei carcerati chiamandoli per nome, ne conosce la storia, racconta dei loro concerti, del teatro: «I detenuti hanno voglia di sentirsi vivi, socialmente vivi. Seguono con attenzione quello che accade al di fuori: la comunicazione, le nuove tecnologie. C’è chi discute, soprattutto i giovani, se sia meglio Mac o Windows. È difficile far capire all’esterno che dietro le sbarre c’è una città pulsante e viva. Ma sarebbe giusto farlo, uscendo dagli stereotipi. Soprattutto perché il carcere è sempre collocato nella periferia, delle città e delle coscienze».
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