Centro Aiuto alla Vita, 67 bambini “fatti nascere” nel 2010

Il CAV fa il punto dei risultati e delle attività. Il fenomeno dell'aborto coinvolge donne giovani e meno giovani, sposate e non, italiane e straniere; gli sforzi per prevenirlo puntano al supporto psicologico ed economico

Il CAV – Centro Aiuto alla Vita di Busto Arsizio fa il punto sull’annata 2010 rilevando con soddisfazione di aver confermato il dato, fin qui record, di 67 bambini "aiutati a nascere". Lo scopo di affrontare il tema drammatico dell’aborto trovando le risorse, economiche e psicologiche, per ridurvi il ricorso, e gli ampi spazi d’azione concessi, anche in ospedale e fin dentro l’ambulatorio, danno al CAV una visuale piuttoso articolata sul fenomeno delle interruzioni di gravidanza e le sue cause. Con il residente Antonio Pellegatta, Mario Sansalone e Piera Genoni, si sono esaminati i dati del 2010 e alcuni temi dell’azione di prevenzione del ricorso all’aborto da un lato, e di sostegno a gestanti e madri dall’altro.
Se 67 sono i bambini nati grazie all’aiuto del CAV nel 2010, 89 sono le gestanti assistite, di cui 7 dall’anno precedente; appena il 22% di queste si è presentata entro i 90 giorni.  Le gestati sono per il 32% straniere e per il resto italiane, a riprova di una problematica che coinvolge, in proporzione, di più le straniere, più prolifiche ma anche più povere e più sole:ma il numero delle italianem causa la crisi economca, sta crescendo. Circa i due terzi delle donne aiutate hanno già dei figli. Sul totale, ben il 51% sono sposate, senza contare un 28% tra divorziate e conviventi, e solo il 21% sono delle single; dati questo che puntano troppo spesso alla causa economica come fattore limitante nella pianificazione familiare. Mentre un tempo ormai lontano era un aiuto  a medio temrine al menage familiare, sempre più, oggi un figlio diventa un lusso, quasi un capriccio. Quale sembra a volte quando i volontari del CAV si trovano a gestire dei casi di minorenni: il 30% delle donne seguite nel 2010 avevano dai 16 ai 24 anni, e i casi di moinori incinte non sono infrequenti, riferisce Genoni. Oltre alle gravidanze involontarie dettate da inesperienza e scarsa educazione alla sessualità, spesso, nel loro caso, si tratta quasi di una sfida, cercata; oppure dell’imitazione di un modello materno analogo, di maternità precoce. Anche qui i casi sono delicati.

Il CAV, ricorda il presidente Pellegatta, opera in stretta relazione con il consultorio familoiare decanale e con l’ospedale. Sei anni fa è stato concesso con apposita convenzione la presenza di volontari presso l’ambulatorio cui si rivolgono le donne che valutano un’interruzione di gravidanza: «a volte i ginecologi stessi ci segnalano casi di donne che appaiono titubanti doi fronte alla prospettiva di abortire».
Fra le straniere si resgitra un presenza notevole di nordafricane: con le quali ci sono ovviamente delle differenze culturali di fondo davvero notevoli. Mentre nella nostra società si accetta laicamente un aborto, consentito dalla legge, pur avvertendo un disagio morale profondo e consapevoli del dramma interiore che questo passo estremo costituisce per la donna, «rispetto all’aborto stesso tra le musulmane risulta più penalizzante socialmente avere un figlio al di fuori del matrimonio, tanto che vengono valutate a volte soluzioni formali ad hoc come i matrimoni a termine, che da noi non sono contemplati». Fra le sudamericane, invece, si rileva ancora una certa diffusione di aborti clandestini procurati con farmaci, riferiscono i volontari.

Per venire incontro alle gestanti evitando il ricorso all’aborto, uno dei metodi impiegati, oltre alla persuasione in loco con la volontaria operante presso l’ambulatorio ospedaliero (aspetto assai delicato in sè),è  ovviamente quello economico, tranite i progetti Gemma e Nasko. Mentre il primo prosegue dal 1985, il secondo è una novità recente, sostenuto dalla Regione Lombardia, e prevede un aiuto economico di 250 euro al mese per 18 mesi dopo la nascita del piccolo. Che vengono concessi con carta prepagata ricaricata ogni mese. Non è l’unico aiuto, le donne seguite vengono avviate anche a gestire un "dopo", di volta in volta tra corsi di formazione, scuole di lingua italiana per le straniere, sostegno Caritas nei casi più complicati. C’è però un controllo stretto sull’impiego dei soldi così ottenuti e il rispetto degli impegni presi, pena il ritiro del contributo: «Finora non abbiamo avuo lamentele del tipo "non voglio essere controllata"» chiarisce Genoni, «piuttosto ci è successo che ci si dicesse "non voglio i soldi, ma un lavoro" da parte dio una straniera che ne necessitava per la conferma del permesso di soggiorno, ed arrivava a dirci "il bambino lo metto al mondo, ma se entro una settimana mi trovate un impiego"». Casi delicati, insomma, dove la vita nascente, o la sua negazione, a volte dipendono da un do ut des, e spesso da equilibri economici e sociali precari.
Non sempre e comunque la causa di una decisione di abortire è legata ai soldi che mancano. «Una ragazza temeva per la salute futura del nascituro, avendo assunto dei farmaci, nel suo caso è bastato starle vicino. Per altre donne è stato sufficiente, quando si sono avvicinate alle nostre volontarie, mostrare loro le immagini di come appare un feto dell’età corrispondente all’avanzamento della gravidanza. E teniamo conto che ogni settimana, in media, in ospedale solo a Busto si presentano quattro donne intenzionate ad abortire».
Un tema complesso, quello dell’aborto, che interroga l’etica sotto più aspetti, non solo quello della tutela del nascituro, ma anche della madre, del suo presente e del suo futuro di donna e di persona, della sua dignità e libertà come soggetto capace di scelte responsabili. La quadratura del cerchio ancora non si è trovata: riferimento imprescindibile resta a tutt’oggi la legge 194.

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Pubblicato il 04 Febbraio 2011
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