Il “modello Zara” spiegato da Michele Tronconi

All'Università Cattaneo il presidente di Sistema Moda Italia espone agli studenti i recenti sviluppi del settore Moda nel quadro delle lezioni sul made in Italy

Michele Tronconi "professore di Made in Italy" per l’Università Cattaneo-Liuc. Oggi, venerdì 25 febbraio, ha portato la sua testimonianza di imprenditore e rappresentante di un intero settore chiave dell’economia nazionale come quello della moda (è presidente di Sistema Moda Italia per Confindustria), che esporta metà della sua produzione e dà impiego, direttamente o indirettamente, a circa mezzo milione di persone. Una lezione tutta in lingua inglese, dedicata a quello che è probabilmente l’ambito più noto internazionalmente del made in Italy, quella tenuta per il corso di Economia delle imprese del Made in Italy, compreso nell’orientamento Management del Made in Italy della laurea in Economia Aziendale, e di quello in Strategic Issues of Made in Italy, compreso nella laurea magistrale in Economia aziendale, entrambi tenuti dal prof. Alessandro Sinatra.
«Fashion as a social invention», la moda come fenomeno e invenzione sociale in costante evoluzione, è una delle chiavi di lettura proposta agli studenti. Il settore conosce uno sviluppo multiforme e vivace, anche in tempi di crisi: al di là del mercato più o meno ricco, permane la creatività, il gusto, la scelta di chi si veste. Mentre nel Novecento la moda «era molto influenzata dall’industria, in un quadro di forti produzioni di massa strandardizzate, con popolazioni dal potere d’acquisto crescente e modelli che duravano più di una stagione, replicando il loro successo da una città all’altra», le cose stanno cambiando. Siamo passati dagli anni Sessanta-Settanta del loden verde d’inverno e dei Levi’s nella bella stagione, racconta Tronconi sfoderando qualche ricordo degli anni più verdi, alle "tribù" che dagli anni Ottanta, nei quali «la moda diventa plurale», si identificano con un modo di vestire: perchè moda è anche marcare un’appartenenza. E al tempo stesso, quasi in contraddizione, la propria identità. Col tempo aumenta la richiesta di personalizzazione, l’indipendenza del consumatore-acquirente, «che non è più un soggetto passivo, ma attivo, sceglie in modo individuale, a volte adotta un vestiario un po’ "alla Arlecchino"», forma il suo gusto su più spunti diversi.
Oggi siamo nell’epoca del fast fashion: è il modello di Zara, o di H&M, che si impone. Praticamente una moda "fast and furious" in cui "la stagione" dura un mese, un battito di ciglia nei termini della moda tradizionale, che presenta un time-to-market, dalla concezione del prodotto alla vendita, ridottissimo. «Mentre nella moda tradizionale era lo stilista la figura che a monte selezionava tra le tante proposte quela da lanciare in passerella, liquidando le altre, ora si dà di fatto un’opportunità a tutti i modelli». Ogni mese una proposta: non è così automatico, ma l’idea di fondo è questa. Una moda veloce, ma anche "locale" e a basso costo se comparata con quella tradizionale: il ricarico rispetto ai costi "nudi" di produzione è un terzo di quello usuale, la crescita del settore notevole. «Diversificare, presentare più prooste contemporaneamente, e ovunque nel mondo, mentre la moda tradizionale, più lenta, è costretta  "muovere" le sue strutture» è la filosofia del fast fashion. Che in più ha in vantaggio importante per le produzioni locali: essendo così veloce, non può basarsi su prodotti creati fisicamente all’altro capo del pianeta.
«Vicini, veloci, e di Valore». sono le tre V del Made in Italy» elenca Tronconi. «Dalla Cina, che compete a prezzi di produzione molto più bassi e fa rapidi progressi, arrivano prodotti qualitativamente buoni e meno buoni. Noi ci siamo battuti per il marchio d’origine del Made in Italy come strumento di garanzia a tutela del consumatore». Che con la crisi, azzarda Tronconi, sta riscoprendo la capacità di sceglere sulla base della qualità: perchè ai ragazzi e soprattutto alle ragazze, riconosce guardando al succeso della "moda veloce", piace il prodotto che puoi acquistare di frequente e a costo abbordabile, ma anche il prodotto che dura nel tempo e resiste bene ai lavaggi senza restringersi o scolorirsi è tutt’altro che al capolinea e chi deve fare i conti col portafogli lo sta riscoprendo, se mai si fosse scordato i metodi di mamma per distinguere il capo buono da quello così così.
La variabile prezzo quando si parla di moda è poi un po’ schizofrenica: il fast fashion vende in quanto conveniente, ma è ben noto che l’alta moda vende proprio perchè costosa, in quanto i prezzi ne fanno, dice Tronconi, uno status symbol in sè. Ma i materiali di partenza quelli sono: col che si crea una situazione paradossale per cui «abbiamo prezzi molto diversi per prodotti simili, a volte funzionalmente identici». A decidere, come sempre, è la disponibilità della gente a pagare un dato prezzo per un dato prodotto. Sulla massa sarà favorito sempre chi produce di più a meno, oppure chi riesce a mantenere un’elevata qualità nel tempo e a comunicarla, a proiettare un’immagine ambita. Intanto per il sistema della moda italiana, riassume Tronconi rievocando i suoi trascorsi incontri dello scorso decennio con Prodi, allora capo del suo secondo gooverno, o con i commissari europei di Bruxelles, il problema è sempre quello, per entrare in un mercato potenzialmente assai vasto come quello cinese, di aumentare la produzione contenendone i costi. Obiettivo certo non facile: ma per ridurre i disequilibri del commercio mondiale bisognerà pur finire per venirsi incontro, in termini di pratiche, legislazioni, diritti e prezzi.

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Pubblicato il 25 Febbraio 2011
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