Tangenti ex-Maino, una vicenda lunga 7 anni

L'indagine della Procura di Busto Arsizio inizia nel 2005, dalla trasmissione di un fascicolo dalla Procura di Verbania dove il costruttore Paggiaro racconta l'ampio sistema di tangenti pagate per costruire il suo impero

La vicenda che vede protagonisti Nino Caianiello e Piermichele Miano da una parte e Leonida Emilio Paggiaro (foto a sin.) dall’altra comincia nel 2005. Secondo quanto racconta il noto costruttore gallaratese, per la terza volta l’architetto Piermichele Miano, assunto come progettista dallo stesso Paggiaro, va dall’imprenditore edile a «chiedere 200 mila euro per conto di Caianiello». Paggiaro risponde a Miano che non ha intenzione di pagare ancora e che, anzi, lui ha già denunciato tutto alla Procura di Verbania. 
In quella denuncia Paggiaro racconta di aver dato soldi all’esponente del Pdl ed ex-assessore regionale al Turismo pemontese Ettore Racchelli, perchè venisse cambiata la destinazione d’uso di un terreno sottoposto a vincolo idrogeologico, ottenuta dopo aver dato 60 mila euro a lui e al cugino Walter. Nel 2007 i cugini Racchelli vennero condannati per corruzione. Paggiaro, dunque, come un vero e proprio torrente in piena aveva anche fatto i nomi dell’esponente del Pdl gallaratese Gioacchino Caianiello, raccontando che sarebbe stato il destinatario tra il 2002 e il 2003 di due dazioni di danaro da 150 mila euro e da 100 mila euro, tramite l’architetto Miano, impostogli proprio dallo stesso Caianiello per poter costruire un edificio commerciale nell’area dell’ex-Maino.

La denuncia venne trasmessa alla Procura di Busto Arsizio che avviò l’indagine con l’allora sostituto procuratore Roveda, poi passata al collega Roberto Pirro Balatto (nella foto con Paggiaro) che ottenne il rinvio a giudizio e, infine, a Francesca Parola che ha discusso le sue concusioni questa mattina, martedì, in aula. L’indagine portò alla luce sia la guerra interna alla famiglia di Leonida Paggiaro, al quale moglie e figlie (intestatarie di imprese, immobili e conti correnti in Svizzera) sottrassero l’intero patrimonio, ma anche diversi riscontri importanti che sono serviti a ricostruire i movimenti del danaro che sarebbe poi stato utilizzato per pagare Miano e Caianiello.

Il riscontro più importante è, forse, l’agendina sulla quale l’ex-moglie di Paggiaro annotava meticolosamente tutte le spese di famiglia, dai pochi spiccioli alle centinaia di migliaia di euro. Il registro, sequestrato già dalla Procura di Verbania, rivelò (seppur con alcune modifiche postume verificate da un perito calligrafico) che Paggiaro si fece portare dai suoi conti in una banca luganese due grosse somme di danaro (corrispondenti a quelle che denunciò già alla Procura di Verbania) per consegnarle a Miano e Caianiello. Una successiva ricostruzione dei tempi di avanzamento delle pratiche negli uffici comunali e in giunta permise di associare l’azione (il versamento della tangente) alla reazione (delibera favorevole). Nel caso della prima tranche, addirittura, la data coincide: era il 18 novembre 2002. Nel secondo caso i soldi arrivano il 28 aprile 2003 e l’ok dal Comune il 12 maggio.

Nel 2009 gli elementi raccolti, secondo la Procura di Busto Arsizio, sono sufficienti e l’indagine viene chiusa con la richiesta di rinvio a giudizio per concussione dei due protagonisti. In un primo momento il giudice per le indagini preliminari Chiara Venturi si astiene dalla decisione ma pochi mesi dopo, nel settembre dello stesso anno, il gip Marzagalli si pronuncia favorevolmente al processo. La vicenda processuale dura due anni e mezzo e la sentenza di primo grado condanna Caianiello e Miano a cinque anni di reclusione per estorsione nei confronti di Leonida Emilio Paggiaro.

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Pubblicato il 28 Febbraio 2012
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