Maxi truffa, 11 arresti per assegni falsi

Una vasta operazione dei carabinieri partita dal tentativo di incassare somme di denaro con intestazioni sospette. Dietro, c'era un giro personaggi equivoci che volevano fare soldi facili

Mettere insieme tutti i pezzi non è stato facile ma la collaborazione da parte di un’impiegata di banca, coinvolta suo malgrado nella vicenda, ha permesso ai carabinieri e alla Procura di Busto Arsizio di ricostruire una grossa truffa ai danni di ignari correntisti che si vedevano svuotare il loro conto corrente grazie ad un giro di assegni falsi, ma sarebbe meglio definirli clonati, realizzato da un gruppo di 11 persone finite in carcere in seguito all’emissione di altrettante ordinanze di custodia cautelare. Il gruppo, grazie a funzionari di banca compiacenti, risaliva ai dati di conto corrente, nonché ai cosiddetti “specimen” di firma di ignari correntisti, con conseguente emissione di assegni per importi di diverse centinaia di migliaia di euro da porre all’incasso mediante prestanome appositamente reclutati, a cui venivano altresì intestate società di comodo sui cui conti correnti venivano fatti depositare i titoli di credito, per il successivo prelievo del denaro – una volta divenuto “liquido” – o per il contestuale smistamento dello stesso verso conti correnti svizzeri. All’operazione, coordinata dal sostituto procuratore Francesca Parola, hanno partecipatoi Carabinieri del Reparto Operativo di Varese, con il supporto dei Comandi Arma di Busto Arsizio, Gallarate, Como, Menaggio (CO), Avellino e Baiano (AV),

L’organizzazione era dotata di tecnologie che permettevano di realizzare assegni falsi talmente perfetti da passare ogni controllo possibile all’interno di un istituto di credito. I truffatori, inoltre sapevano di ogni blocchetto clonato quali assegni erano già stati staccati dal proprietario, in modo da non far circolare assegni già incassati. Solo un errore da parte di uno della banda e la conseguente ammissione di una dipendente della filiale di Busto Arsizio della Banca di Puglia e Basilicata ha permesso ad un direttore di insospettirsi e ai carabinieri di intervenire, aprendo un’indagine che, con tutta probabilità, riserverà altre sorprese.


GLI ARRESTATI – A capo della banda c’era il catanese Sebastiano Patti,
una vecchia conoscenza di procura e forze dell’ordine già in carcere da qualche mese perchè facente parte della banda di usurai di Pippo Drago. Patti ha ricevuto l’ordinanza in carcere mentre, insieme a lui, sono stati arrestat altre 11 persone.

L’ERRORE FATALE – E’ stata proprio Z.E. la chiave di volta dell’inchiesta che, appunto, si è ramificata anche nelle province di Avellino e di Como. La donna era stata avvicinata da uno dei reclutatori, il maestro di ballo latino-americano D.C., prima con proposte economiche respinte dalla donna, in un secondo momento sono entrati in scena Brigo e Patti allettandola con la promessa di regalarle un’Audi TT e anche questa volta la donna si è tirata indietro ma alla fine sono arrivate le minacce da parte dello stesso Patti che le ha prospettato problemi per l’ottenimento della cittadinanza italiana, vantando amicizie nell’ambito della Polizia che avrebbero potuto bloccare il suo procedimento. A quel punto la donna ha ceduto alle richieste della banda e si è resa disponibile. La gang ha cominciato a manovrarla per ottenere dati di conto corrente e specimen di correntisti facoltosi, la obbligavano ad assentarsi dal lavoro nei giorni in cui le loro teste di legno aprivano conti correnti nella filiale e la facevano rientrare nei giorni in cui questi personaggi si presentavano per incassare degli assegni clonati. Alla donna era stato consegnato anche un cellulare con l’ordine di rivolgersi a Brigo come se fossero amanti e le avevano fatto registrare i numeri di telefono sotto i nomi di Gatto e Volpe, da qui il nome dell’indagine “Pinocchio. A questo punto sopraggiunge l’errore da parte di Marco Signaroldi che si presenta in filiale per depositare 5 assegni per un valore complessivo di 403 mila euro ma la donna, pur avendo riconosciuto in Signaroldi il prestanome di Patti e soci, fa intervenire il direttore che si insospettisce e avvisa i carabinieri.

LA TRUFFA DI AVELLINO
– A quel punto scatta l’indagine che porta gli inquirenti ad altri casi, come quello della filiale avellinese della Banca di Novara dove la banda era riuscita a mettere in atto la truffa e ad incassare, tramite Dario Pecorale, una cifra di 463 mila euro mentre un altro da 253 mila viene bloccato perchè risultato irregolare. I primi 463 mila euro, non appena diventati liquidi, spariscono nel giro di una settimana tra società di comodo registrate regolarmente e vissute il tempo di far girare i soldi per poi essere subiro richiuse.

APPOGGI IN POLIZIA? – Nel complesso, nel corso delle indagini, sono stati individuati titoli di credito emessi per un valore complessivo di oltre un milione di euro, dei quali circa la metà regolarmente monetizzati e incassati. A seguito delle perquisizioni domiciliari effettuate all’atto della esecuzione dei provvedimenti cautelari, è stata rinvenuta diversa documentazione, attualmente al vaglio degli investigatori.  Alcuni degli arrestati, tra i quali Sebastiano Patti, sono stati già ascoltati dal giudice per le indagini preliminari e, in particolare il Patti – stando a quanto dichiarato dal sostituto procuratore a capo dell’indagine Francesca Parola – avrebbe fornito elementi di riscontro sul coinvolgimento di un alto funzionario delle forze dell’ordine nella vicenda.

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Pubblicato il 14 Giugno 2012
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