Il mafioso si pente e la famiglia lo rinnega

Dopo Rosario Vizzini anche il suo braccio destro a Busto Fabio Nicastro ha deciso di collaborare con la giustizia. La moglie e il fratello prendono le distanze e rifiutano la protezione dello Stato. Si attendono riscontri su quanto detto dal suo ex-capo

Lui si pente, moglie e fratello si dissociano e rifiutano il programma di protezione. L’ex-boss della mafia bustocca Fabio Nicastro ha deciso di vuotare il sacco e raccontare tutto quello che sa in merito all’attività criminale della quale ha fatto parte fino a soli 20 giorni fa. Da tre settimane, infatti, il braccio destro di Rosario Vizzini (anch’egli pentito) sta collaborando con i magistrati della Dda di Milano. Il suo pentimento, però, ha scatenato le ire della moglie Solange Tordo e del fratello rimasto libero: entrambi hanno immediatamente preso le distanze, rifiutando qualsiasi proposta di protezione. Da Nicastro si attendono importanti riscontri in merito a quanto raccontato da Vizzini e, in particolare, rispetto alla posizione di Emanuele Italiano nell’omicidio di Salvatore D’Aleo.

Fabio Nicastro ha una storia criminale lunga e travagliata. Da sempre legato ai Ventura, famiglia che ha spadroneggiato nella zona di Busto Arsizio negli anni ’80 e ’90, aveva fatto il salto di qualità con Vizzini passando dallo spaccio di sostanze stupefacenti al redditizio mondo della mafia economica. A partire dai primi anni 2000 Fabio Nicastro ha cominciato ad estorcere denaro ad imprenditori gelesi residenti a Busto e non solo. Insieme a Vizzini, oltre a portare avanti il traffico di sostanze stupefacenti, controllava il territorio e in particolare il mondo dell’edilizia. Nicastro requisiva auto di grossa cilindrata, case (tra le quali quella in cui viveva), si faceva pagare le vacanze e cenava gratis nei ristoranti. Tutto ciò che possedeva veniva sottratto ad imprenditori finiti sotto lo schiaffo dell’usura e dell’estorsione.

Nicastro, però, è sempre rimasto un criminale di secondo livello anche se a Busto e dintorni rappresentava i clan della stidda gelese a Busto, in particolare la famiglia Madonia. Continui i suoi contatti con le famiglie di provenienza e massima la fiducia nel suo operato, al punto che venne incaricato dai Madonia e dagli Emanuello-Rinzivillo di uccidere il Vizzini perchè sospettato di aver fatto sparire denari che dovevano essere spediti alle famiglie in Sicilia. Attualmente è in carcere con pesantissime condanne, un ergastolo per l’omicidio di Salvatore D’Aleo e vent’anni per associazione a delinquere di stampo mafioso. Il suo pentimento arriva al termine di un ciclo durato oltre dieci anni, ricostruito con le operazioni Fire Off e Tetragona della squadra mobile di Varese, durante i quali aveva ricostituito il dominio mafioso a Busto e dintorni insieme a Rosario Vizzini.

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Pubblicato il 24 Ottobre 2012
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