Il signor Rossi e la giustizia italiana
Assolto dopo dodici anni di calvario giudiziario l'ex Sindaco di Busto Arsizio Giampiero Rossi: le riflessioni degli avvocati Celiento e Candiani sulla sua vicenda
Oggi, nello studio dell’avvocato Vittorio Celiento, era presente tutta la stampa locale per assistere alla rinascita pubblica di un uomo che non si era mai piegato e che non ha mai cercato scorciatoie o fatto polemiche in tutto questo periodo. "Di norma le conferenze stampa le tengono i pm, oggi tocca agli avvocati" ha detto Celiento. "Come recita il detto, c’è un giudice a Berlino, e dico che ce n’è uno anche a Varese; però forse a Berlino non ci sarebbero voluti dodici anni per assolvere un uomo… Non è un sistema civile quello che impiega tanto tempo". Disgraziatamente… è quello penale. Al di là della deplorazione della lentezza della giustizia, causata da una cronica mancanza di personale, strumenti e strutture ("non parliamo del nuovo tribunale di Busto Arsizio o non finiamo più"), Celiento ha tenuto a sottolineare, a dispetto della polemica con il pm Abate che aveva chiesto quattro anni e sei mesi di carcere per Rossi, il suo rispetto per l’operato dei giudici. "Mani pulite fu necessaria, la corruzione non se l’erano inventata i giudici": detta da un avvocato penalista, e dopo oltre dieci anni di implacabile massacro mediatico della magistratura, questa frase assume valore storico. "Non vi sono, comunque, esigenze che possano andare oltre i diritti delle persone" ha aggiunto Celiento, criticando l’abuso della carcerazione preventiva in quegli anni, quando chiunque venisse incarcerato faceva nomi, spesso a sproposito, pur di essere rimesso in libertà. Rossi stesso trascorse cinque giorni al carcere varesino dei Miogni, dopo il suo arresto alle cinque del mattino del 20 marzo 1993 – "e non nascose il viso ai flash e alle telecamere, come fa la maggior parte degli imputati" ha ricordato il suo legale. Con lui, quel giorno, cadde l’intera Giunta comunale, e anche il vicesindaco pidiessino Daniele Ferré conobbe l’umiliazione delle manette e del carcere, prima di essere definitivamente assolto lo scorso anno. "Bisogna saper vincere" ha detto Celiento, "e Rossi non ha mai gridato al complotto o ai giudici politicizzati. Mentre gente con condanne penali in giudicato sedeva in Parlamento, lui si è rifiutato di tornare in politica fin quando la sua innocenza non veniva accertata pubblicamente". Qualche frecciata contro il pm Abate non è mancata da parte di Celiento e del colega Giuseppe Candiani, che con lui ha curato la difesa di Rossi: "Abate si è lamentato del fatto che le regole del giusto processo, introsotte in questi anni, gli hanno impedito di arrivare ad una sentenza di condanna. Ma con queste, semplicemente, si stabilisce che la prova si forma nel dibattimento in aula, non tramite le testimonianze di chi è in cella durante l’indagine preliminare. Queste testimonianze vanno ripetute in tribunale e sostanziate da riscontri: nel caso di Rossi non ve ne erano, e non vi erano nemmeno testimoni o documenti compromettenti, solo una chiamata in correo rivelatasi infondata. Quanto accaduto è anche il risultato di aver voluto un maxiprocesso con 80 imputati e oltre 8000 testimoni". La posizione di Rossi è stata successivamente stralciata, fino all’assoluzione, ieri mattina.
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