“Sono stufo di sentir fandonie su Accam”

Il presidente Sergio Parini spiega le ragioni dell'azienda e risponde alle posizioni del comitato contro il termovalorizzatore

Riceviamo e pubblichiamo


Per oltre due anni Accam S p.A ha tenuto volutamente un profilo basso, relativamente alla nota vicenda del rinnovo della Convenzione per l’uso dei terreni sui quali insiste l’impianto di termovalorizzazione, ma ora, dopo gli ennesimi travisamenti della realtà da parte del sedicente Comitato, rompe la riservatezza e lo fa per bocca del Presidente, Sergio Parini.

«Sono francamente stufo di sentire omelie da persone che, sapendo di raccontare un sacco di fandonie, non hanno mai accettato un confronto franco e sereno con una società, Accam, che – sarebbe il caso di ricordare – non è un’azienda privata e non ha come scopo quello di produrre utili o fare “business”, bensì di rendere un servizio fondamentale e insostituibile quale lo smaltimento dei rifiuti per gli oltre 400mila cittadini dei 27 comuni soci.

La verità è che il testo del 2004 non era giuridicamente sostenibile per una SPA ed è altrettanto vero che non fu una “piccola ma influente parte di Accam” a non voler sottoscrivere quello che si poteva definire semplicemente un “contratto capestro”. Chi vuole può rileggersi le affermazioni fatte dai Sindaci Soci, che non approvarono “tout court” il testo, ma chiesero che si esprimessero i legali della società. Anche i pareri dei legali sono noti: quel contratto non era sottoscrivibile se non a pena di recare un grave danno ai soci, Busto Arsizio compresa, naturalmente.

È altrettanto vero che, dopo aver avanzato una controproposta, per oltre un anno Accam ha aspettato inutilmente un cenno dall’amministrazione comunale di allora, ricevendo come risposta due citazioni in giudizio.

E magari sarebbe curioso farsi dire dall’allora sindaco Rosa il contenuto della discussione e gli impegni presi nella sede della Lega Nord in via Bellerio alla presenza del Segretario Giorgetti, così, forse, certe convinzioni inizierebbero a vacillare. Così finalmente si capirà come mai venne tolta dalla prima stesura della Convenzione il concetto della “non rinnovabilità”. Infatti, giuridicamente ciò che in italiano pare avere un significato, per un legale ne ha un altro, e ben diverso. Molti fingono di dimenticare che il testo originariamente proposto dal Comune di Busto Arsizio stabiliva che: “la concessione non è soggetta a rinnovo”. Nel testo approvato in Consiglio Comunale nel 2004 la frase che sanciva inequivocabilmente la chiusura dell’impianto scomparve. Come mai? Una magia oppure un consapevole rinvio della questione al 2019, quando gli amministratori sarebbero stati altri? Possibile che nessuno si sia domandato se con tale forma quella convenzione non fosse invece rinnovabile, contrariamente a quanto si è voluto far credere?

Quelle che oggi vengono impropriamente chiamate “correzioni” sono semplicemente il riconoscimento dell’esistenza di un ingente patrimonio pubblico (l’impianto), il cui valore non può essere cancellato dall’oggi al domani. Ed è il gesto di semplice buon senso di un’amministrazione pubblica consapevole, non certo parolaia e populista; corretta e leale e non certo bifronte e ondivaga.

Di fronte a questo atteggiamento Accam oggi si sente di accettare una sfida, che è quella di migliorare l’impatto sull’ambiente, di ridurre drasticamente le emissioni, di sensibilizzare i propri soci affinché si minimizzino le ricadute sul territorio bustese (comuni limitrofi compresi, naturalmente). E se si vuole rendere percorribile l’ipotesi di ricollocazione occorrerà che i tavoli politici – Regione, Province di Varese e Milano e Comuni – mettano a disposizione energie e risorse, ma soprattutto che finalmente i Comitati la smettano di dire “non nel mio giardino”, bensì “anche sull’uscio di casa, ma a patto di avere garanzie e sicurezza”.

Ma perché tutti decantano gli impianti di Brescia, Vienna, Montecarlo, Lugano negando a priori che si possano ottenere gli stessi risultati anche a Busto Arsizio?

E proprio a questo proposito sappiano i rappresentanti del Comitato che si sono persi tre anni, grazie alle loro proteste e all’atteggiamento ostinato e inconcludente della precedente amministrazione di Busto. tre anni nel corso dei quali è stato impedito ad Accam di effettuare importanti interventi di miglioramento dell’impianto. Sfruttando le nuove tecnologie, infatti, avremmo già oggi potuto garantire minori emissioni, teleriscaldamento e minor traffico. Peccato: chi si dipingeva come il difensore dell’ambiente ce lo ha sistematicamente precluso. Questo dovrebbe far riflettere.

“La situazione è quanto mai fuori controllo: i valori delle particelle sospese PM10 troppo spesso fuori limite” afferma il Comitato. Ma i dati del PM10 sono pubblici: ebbene, la cosa bizzarra è che i periodi più critici hanno casualmente coinciso con i periodi di fermo di una linea di produzione di Accam per manutenzione. Ma come? L’inquinamento a Busto è inversamente proporzionale ai rifiuti bruciati dall’impianto di Borsano? Meno bruciamo e più sale il PM10!

E ancora: si invoca “una task force di indagini ambientali” effettuata da “tecnici seri e indipendenti”. Ma queste persone vogliono forse adombrare il sospetto che i controlli effettuati sistematicamente da Arpa, Asl, Ispesl e Provincia non vengono eseguiti seriamente? O forse che i tecnici che le svolgono – dipendenti della Pubblica Amministrazione – sono “manipolati” da qualcuno?

Nessuno si è chiesto perché questo Comitato non abbia mai bussato alla porta dell’Arpa (che ha sede – guarda un po’ – a Borsano) chiedendo informazioni? Evidentemente è più semplice urlare e spaventare i cittadini piuttosto che documentarsi seriamente e obiettivamente. Ma tant’è!

Chi si è appuntato le mostrine di difensore dell’ambiente di Borsano in verità ha mirato a un solo bersaglio: Accam. Ma perché non approfondisce qualche altra questione? Perché non parla delle discariche abusive? Perché tutti questi pseudo-ambientalisti fanno finta di nulla sulla situazione dei vasconi della fognatura? Perché i paladini dell’ambiente non chiedono alla Regione di mettere in sicurezza la discarica aperta per la bonifica degli spagliamenti del vecchio depuratore? Perché nessuno è allarmato dal mega polo logistico che sorgerà nella zona industriale di Sacconago e che porterà un traffico dieci volte superiore di quello attuale di Accam? Perché nessuno ha mai parlato della Variante alla SS 33, la superstrada che veicolerà oltre 20mila mezzi al giorno il cui tracciato lambirà Borsano e Sacconago? Perché, visto che il problema è innanzitutto l’inquinamento, nessuno suggerisce una conversione del parco mezzi delle Aziende pubbliche con nuovi mezzi a metano? (come ha fatto per esempio l’Amga di Legnano).

A queste domande non si trova risposta; diversamente non si spiegherebbe come, quando in questi anni si è parlato spesso a sproposito del termovalorizzatore, non si è chiesta mai la presenza di Accam. Credo molto semplicemente che l’opinione della Società che gestisce l’impianto sia ritenuta scomoda, scomoda perché si scoprirebbe che le persone che con molte difficoltà stanno assicurando un servizio indispensabile come quello dello smaltimento dei rifiuti hanno una sensibilità ecologica ben più alta dei tanti sedicenti difensori dell’ambiente e della salute che si credono i detentori dell’unica verità, la loro.

Credo proprio che sia ora di finirla con le fanfaluche. Se qualcuno vuole veramente ragionare su questioni ambientali sappia che Accam c’é. Se l’intento è solo quello di screditare o di litigare, sappia che la gente è meno ingenua e più matura di quello che credono, ma soprattutto ha la consapevolezza che a Busto Arsizio il problema dei rifiuti non si risolve come in Campania, perché qui c’è gente seria e responsabile!»

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 23 Novembre 2006
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