«Per la libertà tutto diedero senza nulla chiedere»

Il ruolo degli operai nella Resistenza ricordato durante la commemorazione di nove caduti della ditta Comerio. La lapide a ricordo ricollocata nel parco dove sorgeva la fabbrica

Vittorio
Arconti, Giovanni Ballarati, Luigi Caimi, Arturo Cucchetti, Ambrogio
Gallazzi, Rodolfo Mara, Alvise Mazzon, Bruno Raimondi, Mario Vago: nove nomi per una lapide a ricordo, quella che ora fa mostra di sè su un pezzo di muro preservato della vecchia Comerio Ercole, la loro fabbrica. Nove nomi che «per la libertà tutto diedero senza nulla chiedere» che testimoniano l’asprezza e i sacrifici della lotta di liberazione, quei venti mesi in cui tanti italiani scelsero di non stare alla finestra, di non attendere a testa china i "liberatori" anglosassoni, ma di cominciare a liberarsi da sé e ridarsi una dignità, prima di tutto. Se necessario, a prezzo della vita. E con la vita pagarono i nove dipendenti della Comerio commemorati oggi, presenti autorità di ogni livello, dai sindaci (Farioli per Busto, Solanti per Samarate, Aspesi per Cardano) ai rappresentanti dello Stato (il viceprefetto, il vicequestore Scalise) fino all’Europa rappresentata dall’europarlamentare bustocco Speroni.

Il parco ex Comerio è uno spazio un tempo fervente di attività industriale e sovrastato da fumanti ciminiere, poi caduto in disuso con il trasferimento della ditta ed oggi rinato a verde con una delle operazioni urbanistiche meglio risucite degli ultimi anni. Qui una folla commossa ha ascoltato la rievocazione delle vicende degli anni 1943-1945, che culminarono il 10 gennaio 1944 nell’arresto e nella successiva deportazione dei componenti della Commissione interna di fabbrica della Comerio, che allora impiegava oltre un migliaio di operai ed era stata riconvertita a produzioni di guerra. L’atto di brutale terrorismo degli occupanti nazisti mirava a spezzare la resistenza degli operai, scesi in sciopero per il pane e la pace. La vicenda, che costò la vita, insieme alle lotte resistenziali, agli operai commemorati, è stata raccontata con parole asciutte dai rappresentanti sindacali dei lavoratori della Comerio.

La memoria si declina in molte forme, e diventa inevitabilmente una coperta corta, soggetta al mare in tempesta delle agende politiche. Così il sindaco Farioli, ribadendo il dovere imprescindibile del ricordo, martellava il negazionismo lodando il «coraggio» delle recenti risoluzioni ONU che lo condannano («ma ben 102 Paesi non hanno preso parte al voto, e l’Iran ha votato contro» lamentava per l’Anpi Gianluigi Ceriotti). Farioli citava poi il Presidente Napolitano e l’equiparazione fra antisionismo ed antisemitismo: «ipocrita ogni distinzione». Flavio Nossa, per la segreteria provinciale CGIL rigettava invece la tesi della guerra civile nel 1943-1945, liquidando l’adesione alla RSI neofascista come semplice collaborazionismo con l’occupante nazista contro la gran massa dei lavoratori affamati, sfruttati e desiderosi di pace. Tesi che semplificano fatti veri, innegabili ed atroci: gli storici vedono le cose in modo più complesso, ma non per questo negazionista o revisionista.

Angioletto Castiglioni (foto), memoria storica della città con i suoi ricordi della deportazione in Germania (il terribile lager di Flossenburg, in Baviera, e poi la "marcia della morte" fino a Dresda), ha il pregio indiscutibile della testimonianza diretta, che sfugge alle razionalizzazioni posteriori e ai paradigmi imposti dai poteri forti del momento. «In queste cerimonie noi siamo usi al silenzio e alla meditazione, guardiamo negli occhi chi partecipa, e ricordiamo quanto ci dissero uomini di cultura rinchiusi in quei campi: fate sapere cosa hanno fatto di noi». Circa la Comerio, Castiglioni ha voluto ricordare la figura di Guglielmo Toia che, deportato a Mauthausen e miracolosamente sopravvissuto, al suo ritorno ancora poteva mostrargli un piede gonfio per i ceppi cui i nazisti l’avevano costretto durante la sua schiavitù. Toia tornò poi a lavorare alla Comerio come sempre, nel segno dei valori del lavoro.

Il mondo del lavoro è stato centrale anche nella relazione dello storico Enzo Laforgia (foto a destra), che ha fatto partire lo spirito della Resistenza dagli scioperi del marzo 1943, ancora sotto il regime del Ventennio mussoliniano, dapprima a Torino poi in tutto il triangolo industriale. Fatti che incrinanrono il regime e contribuirono, con le disfatte militari, ad avviare la valanga che lo seppellì in pochi mesi. E ancora, quando i tedeschi ebbero ristabilito in punta di baionetta il fascismo, furono gli operai a resistergli, a scioperare, a pagare di persona anche con la vita, ricorda Laforgia, nell’inverno 1943-1944. Si voleva fosse l’ultimo di guerra, ma così non fu: e fu solo nella primavera del 1945 che la Resistenza ebbe modo di salvare le fabbriche e le infrastrutture, suo obiettivo primario nei piani di liberazione.

Con la benedizione del parroco don Giuseppe e i canti sempre commoventi del coro Monterosa si chiudeva una commemorazione non banale, sentita e forte: ma se la volontà di ricordare cresce, la capacità di sentire come chi c’era diminusice di anno in anno. Da qui l’impegno, ribadito dal primo cittadino, perchè anche le giovani generazioni conoscano gli errori del passato.

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Pubblicato il 27 Gennaio 2007
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