Intercettazioni e manichini: un’indagine difficile

Tanti punti di domanda in una vicenda ancora poco chiara: la morte di Giuseppina Nicolini

Non è stata semplice l’indagine sul giallo della morte di Giuseppina Nicolini. Una vicenda poco chiara, del massimo interesse per la stampa – uno skipper, la sua compagna che cade in mare, il sospetto di un delitto – e della massima delicatezza per il magistrato. Tre anni e mezzo di tenace ricostruzione di un quadro dei fatti per il pm Giovanni Polizzi, con la valida collaborazione dei Carabinieri della sezione di polizia giudizaria del tribunale di Busto Arsizio. Polizzi si sente ora almeno in parte giustificato nell’aver seguito questa pista: gli elementi raccolti saranno portati al pubblico dibattimento.

La vicenda resta piena di se e di ma: la difesa ha sempre proclamato l’innocenza di Pietro Colombo, imputato dal 22 gennaio in Corte d’Assise, anche sulla base del fatto che mai l’uomo, facoltoso imprenditore, avrebbe avuto bisogno dell’assicurazione sulla vita stipulata con una compagnia svizzera, su cui si è invece appuntata l’attenzione dell’accusa. Procurarsi tutti i documenti necessari su questo punto non è per nulla semplice, vista la nota riservatezza elvetica. Il pm Polizzi riferisce di una sorta di indagine a ostacoli, resa complicata anche dalla asserita necessità di compiere intercettazioni sulle utenze del Colombo nel tentativo di trovare elementi utili, e dal comportamento non sempre lineare della autorità giudiziarie elleniche (la tragedia era avvenuta in acque greche).

Se le intercettazioni saranno oggetto di una vera battaglia in punta di diritto in aula, visto che per risalire alle diverse utenze dell’accusato si è fatto ricorso anche ai tabulati del suo legale, è il destino del Delfino Bianco (nella foto), la barca di Colombo teatro del dramma, ad essere singolare. L’imbarcazione è infatti ormeggiata da tre anni a Marina di Gouvia, sull’isola di Corfù, sotto sequestro giudiziario. Quando nel giugno 2005, accolta la rogatoria internazionale presentata a suo tempo, il pm Polizzi e alcuni uomini della polizia giudiziaria si recarono in Grecia per prelevare il "Delfino Bianco" e portarlo in un porto italiano, si trovarono di fronte ad una brutta sorpresa. All’ultimo momento un magistrato del tribunale di Igoumenitsa (competente sulle acque in cui era avvenuto il fatto) aveva infatti bloccato il trasferimento del mezzo con una richiesta di sottoporlo ad ulteriori accertamenti. Accertamenti che, osserva il pm, non sono poi stati svolti: alla successiva richiesta al magistrato greco di sapere cosa fosse stato fatto della barca, la risposta fu… il rapporto della guardia costiera ellenica stilato la mattina successiva all’annegamento della Nicolini.
Non potendo eseguire un esperimento giudiziale sulla barca come desiderato (dalla barca era stata peraltro tolta anche la strumentazione di bordo, atta a "testimoniare" della rotta seguita quella notte, sostiene il pm), Polizzi ripiegò allora su un natante simile ma non identico – una scelta contestata dalla difesa di Colombo. Su questa barca a vela si svolsero delle prove nelle acque antistanti il porto di Savona. Un particolare tipo di manichino che per dimensioni, peso e struttura è assimilabile ad un corpo umano (come quelli dei crash test) veniva fatto cadere fuori bordo e poi trascinato legato ad una corda mentre la barca proseguiva a pochi nodi di velocità. Anche il filmato di questo esperimento è stato posto agli atti di quello che si annuncia come un processo delicatissimo, data l’abbondanza di indizi e sospetti e l’assenza di "pistole fumanti" di sorta.

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Pubblicato il 20 Novembre 2007
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