Te Deum di San Silvestro nel segno della pace
Il prevosto uscente monsignor Claudio Livetti, all'ultimo appuntamento, cita Madre Teresa di Calcutta, Gandhi e Robert Kennedy invitando tutti ad un impegno personale
Si chiude oggi, lunedì 31 dicembre, un anno che per la città di Busto Arsizio è stato pacifico e prospero, a differenza che per angoli del mondo meno fortunati. Anche qui i problemi ci sono, restano e si accumulano, ma nell’evento religioso (e sociale, in una città ancora fortemente cattolica) dell’ultimo dell’anno, il solenne Te Deum in San Giovanni, si è volato alto. Volutamente. Per monsignor Claudio Livetti, prevosto uscente che nei prossimi mesi lascerà il testimone per raggiunti limiti d’età, la cerimonia è stata l’occasione per un sentito sermone sul valore della pace.
Un pensiero iniziale è stato per i lavoratori di Malpensa, preoccupati per il domani incerto che li attende. Livetti non è sceso, a differenza che in altre occasioni, sul terreno delle questioni cittadine: non voleva far polemiche proprio alla vigilia dell’addio. Ha voluto invece richiamare un tema su cui la Chiesa, quasi a recuperare secolari tentennamenti, ultimamente insiste in modo particolare. Modernissime le citazioni del monsignore, che non è andato scomodare gli antichi padri della Chiesa. Gandhi, Madre Teresa di Calcutta, e anche un politico come Robert Kennedy: queste, oltre alla citazione quasi di prammatica dell’ultima enciclica papale sul tema della speranza e della salvezza, le auctoritas di un discorso mirato al cuore dei presenti. Fra questi quasi tutta la Busto che conta in politica, in testa il sindaco Gigi Farioli, con assessori (anche provinciali, come Gianfranco Bottini) e consiglieri comunali di maggioranza e opposizione, da An fino a Rifondazione Comunista.
«Quando sento cantare "Gloria a Dio e pace in terra" mi chiedo dove sia resa gloria a Dio e dove sia la pace nel mondo. Finchè la pace sarà una fame insaziata e finchè non avremo sradicato dalla nostra civiltà la violenza il Cristo non sarà nato» osservava amaro il non cristiano Gandhi, definito «grande statista» e «liberatore dell’India» da monsignor Livetti in un vero afflato ecumenico. Di Madre Teresa si ricordava viceversa la metafora della «goccia d’acqua pulita» che ambiva ad essere, senza pretendere di cambiare il mondo da sola. Un invito esplicito ad agire tutti in prima persona per il bene, invece di limitarsi ad invocarlo da altri, in primis dalle istituzioni politiche.
«La pace non è assenza di guerra: è una virtù, uno stato d’animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia» dirà monsignor Livetti, invitando tutti a battersi per le cause giuste: quanto più difficili, tanto più giuste («tanti impegnati per cause giuste fanno la pace: una speranza che salva, per dirla con le parole dell’enciclica di Benedetto XVI»). «L’umanità deve porre fine alle guerre, o le guerre porranno fine all’umanità» diceva Robert Kennedy negli anni Sessanta, prima che gli ponessero fine a colpi di pistola – come accadde a Gandhi, come prima e dopo di loro a molti altri portatori di pace, coerenti da una vita o "convertiti sulla via di Damasco". Il sogno, dice monsignore, è che si possa un giorno vivere in modo tale che la parola stessa pace non debba avere un significato, che non ci sia bisogno di scriverla su bandiere o gridarla in piazza, cattivi segni dell’oggi perchè denunciano che di pace c’è ancora troppo bisogno. Una pace che per Livetti non è vicina: ancora troppi gli «squilibri di potere» fra le nazioni, di ricchezza fra gli individui, di usi e costumi tra le fedi, che producono «profondi risentimenti, incomprensioni, divario crescente fra ricchi e poveri». L’invito, ribadito, è ad agire dal basso, da noi stessi: «anzitutto non dobbiamo essere uomini e donne che vivono senza scrupoli, che scendono a discutibili compromessi, che si vendono per il successo, che mentono a tutto spiano, che esaltano la furbizia e il denaro, che ingannano e prevaricano i più deboli». Cristianesimo applicato, riflessioni utili al cattolico praticante come al più scettico dei laici per passare dal buonismo di prammatica alla bontà concreta, concluse ancora con la parole di Madre Teresa di Calcutta: «Il frutto del silenzio è la preghiera, il frutto della preghiera è la fede, il frutto della fede è l’amore, il frutto dell’amore è il servizio, il frutto del servizio è la pace».
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