La lezione di Ernesto Olivero

Le riflessioni dello scrittore e "costruttore di pace" torinese, fondatore del Sermig e dell'Arsenale della Pace, di fronte alla Consulta Decanale dei Giovani

«Pregare molte ore al giorno per restare umili, non prendere decisioni importanti senza il sì o il no di un uomo di Dio, farsi dominare dal pensiero dei giovani, non saltare mai sul carro di nessun vincitore, essere sempre idealmente all’opposizione». Questa la ricetta di Ernesto Olivero, fondatore del Sermig (servizio missionario giovani) e dell’Arsenale della Pace di Torino, che venerdì sera ha incontrato al Teatro Manzoni i ragazzi e le ragazze della Consulta Decanale dei Giovani. Un pubblico non numeroso per un personaggio che con il suo fervore nei confronti soprattutto di chi alla vita sta aprendo i suoi anni migliori ha saputo mobilitare anche grandi folle. Un incontro raccolto, senza fanfare, in cui Olivero ha parlato in modo semplice, disadorno e quasi crudo, a volte, dei temi cruciali che più gli stanno a cuore: l’amore per il prossimo e per Dio, l’uno specchio dell’altro, l’impegno quotidiano della fede e della testimonianza cristiana in una società avviata su una china difficile da comprendere per i credenti – e non solo.

L’uomo, "costruttore di pace" e scrittore, pur essendo laico parla di Dio con l’umile familiarità del predicatore. «Ho avuto due vite parallele» dice di sè. «Quella "normale", dove pur essendo un somaro a scuola – dieci fra bocciature e rimandi a settembre… – me la sono tutto sommato cavata, e quella legata alla fede, che già a nove anni  mi vide incaricato del catechismo ai bimbi più piccoli». Di lui Madre Teresa in persona disse che meritava il Nobel per la Pace. Ma le sue parole di lode vanno ad altri, come all’ex presidente della conferenza episcopale brasiliana, Luciano Mendes de Almeida, di cui è stato grande estimatore ed amico, e che ricorda come persona di immensa bontà e vicinanza ai mali degli ultimi della Terra.

Per Olivero il cristiano conseguente deve offrirsi, farsi portatore del Vangelo, avere l’ansia di portare Dio a chi non l’ha incontrato. «Dio è vivo, anche quando tutti dicessero che è morto» è frase non da poco in tempi di spiritualità tiepida, convenzionale o distorta. Farsi umile bandiera al vento del Signore è l’invito al credente, accogliere lo straniero – «lo straniero che qui a Busto Arsizio non è molto benvoluto, ma Gesù dice di accogliere a noi leghisti, forzisti o di sinistra che siamo, e questo non implica che chi vuole viene qui e fa i suoi comodi».
La preoccupazione continua di Olivero sono i giovani, «i più feriti oggi, non possono essere futuro se non sono il presente e vivono di cattivi esempi. Bisogna farli parlare liberamente. Io li amo, per questo gliene dico tante… . Certo che se fin da ragazzi bevono o si drogano, si perde la bellezza che è in loro, la possibilità di essere i san Francesco, o gli Einstein. Ho visto cose terribili, ad esempio un ragazzino che brutalizzava sua mamma: papà mi ha insegnato che con le donne si fa così, diceva, da grande farò il kamikaze, perchè nessuno mi ha mai voluto bene. E pensare che basterebbe un pugno di giovani buoni per rivoluzionare la chiesa e il mondo».

Chiesa di fronte alla quale, peraltro, Ernesto Olivero è francescanamente umile. Anche di fronte all’occasionale sopruso o calunnia, che diventa, parole sue, «una benedizione». Quando una ragazza del pubblico cita il caso di don Gelmini, Olivero risponde che a volte anche le buone azioni sono ripagate con il male, a lui stesso è capitato di essere accusato a torto di qualcosa di sbagliato (nulla a che vedere con le accuse che gravano su don Gelmini! ndr), ma che ci si difende con il silenzio e l’umiltà: «Le croci si portano, la verità alla fine viene a galla, anche senza conferenze stampa». Il Sermig nacque proprio da una situazione al calor bianco: «Quando eravamo solo una costola dell’ufficio missionario diocesano di Torino, organizzammo una giornata con Celentano. Vennero in diecimila, un successo inatteso in quelle proporzioni. Dalla curia arcivescovile ci piovve una lettera indecente in cui "ci si faceva fuori". Per un mese facemmo silenzio, anche se ribollivamo, noi ragazzi. Poi il cardinale arcivescovo scoprì chi eravamo… quando ci disse di unirci al Sermig invece di formare gruppuscoli! Ma il Sermig eravamo noi, e lui lo scoprì così». E fu una storia via via di successo, che con il crescere del pacifismo – quello vero – è stata capace di radunare centomila "giovani della pace" a Torino nel 2002. Per questo Olivero crede nei giovani, che devono però conquistarsi i loro spazi e sapere dire i no giusti, che elenca così: alla droga, al carrierismo, a una vita sessuale sregolata, a certa cattiva televisione. Per non stare dietro a un mondo che «va verso una situazione terribile». E se alcuni degli esempi di cattive costumanze recenti da lui citati fanno sorridere, come i pantaloni a vita bassa, altri, come gli attentatori suicidi guidati da un odio senza speranza, sono tremendamente concreti.

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Pubblicato il 23 Febbraio 2008
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