Storia di Balosso, cavallo generoso ma un poco dispettoso

Il palio è stato funestato da maltempo, ferri saltati, canapi spezzati, ritardi, dieci false partenze, un fantino ammonito e un cavallo abbattuto

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Nonostante il nome, Balosso era un buono (foto della caduta di Balosso e del suo fantino). Un bestione di cinque quintali che pensava solo a correre, per far felice la gente della contrada di San Bernardino, il fantino che lo montava e anche un po’ se stesso. I cavalli, si sa, sono animali generosi. Amano correre e Balosso non faceva eccezione. Ha dato il meglio di sé nella provaccia, una sorta di prova generale del palio, quella che si corre il sabato e che dà le ultime indicazioni ai fantini, ai capitani e agli astri. Già, perché il cavallo del palio della contrada di San Bernardino non sarebbe stato lui, ma la favorita Domizia, una femmina tutto pepe, dallo spunto bruciante.

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Il bonaccione Balosso però ha dato tutto, come se la corsa di sabato fosse il palio, quello vero, che fa piangere di gioia e di dolore la gente. Ha riempito i polmoni e messo al lavoro i suoi muscoli, spingendoli al massimo fino all’ultima curva, quando ha cercato di passare in testa. Ma è bastato un contatto con Iceberg, il cavallo di Sant’ambrogio, per affondare nel fango come un Titanic. Il fantino (quello di riserva) da una parte e lui dall’altra. L’anteriore sinistro spezzato e l’ultimo atto di un destino crudele: l’abbattimento. La chiamano eutanasia, perché fa meno male a chi la pronuncia, ma è un abbattimento. Parola di Balosso.

Nel giorno del Palio di Legnano, quello vero che si corre di domenica, di Balosso non si è parlato. C’era il Carroccio al centro del campo con una grande croce, ma non era per lui. C’erano i fiori bianchi, ma non erano per lui. C’era la banda dei granatieri di Sardegna, ma non suonava per lui. C’era il ministro Umberto Bossi, rimasto sulla tribuna dello stadio Mari fino alla fine della seconda batteria, ma probabilmente non era lì per rendere omaggio a Balosso, nonostante il nome inequivocabilmente lumbard. Il Senatur ha firmato foulard, ha ricevuto bigliettini e cartoline da autografare, ha parlato con una miriade di ammiratori, ha fumato il sigaro, accendendoselo almeno ventitré volte, ha salutato i granatieri di Sardegna con un saluto quasi militare, ha bevuto una coca cola, sotto lo sguardo vigile delle guardie del corpo, ha scherzato con i figuranti del palio e perfino imbracciato una spada, come Alberto da Giussano, per la gioia di Stefano Cavicchi, noto fotografo milanese che quello scatto voleva e, unico tra i tanti fotoreporter presenti, ha ottenuto.

Allora ci ha pensato Balosso che, per far onore al suo nome, ci ha messo del suo. La pioggia ha fatto saltare la sfilata storica per la città. Il canapo, la grossa fune che viene abbassata dal mossiere per dare il via, si è spezzata in due. Nella prima batteria, Ambition, il cavallo di Sant’Erasmo, veniva ritirato perché prendeva un calcio e si azzoppava ancor prima di partire. Saltavano un paio di ferri, con altrettante interruzioni della gara. La batteria veniva vinta dalla cavalla di Legnarello, Prima Donna, con una rimonta entusiasmante.

Non soddisfatto Balosso ha dato segni della sua presenza anche nella seconda batteria. Dietro al canapo, si è presentata Domizia, che, come da copione, ha vinto facile, ma solo dopo dieci partenze false e un’ammonizione al suo fantino. Una cosa che non era mai accaduta e costringeva molti, compreso il Senatur, a lasciare il campo anzitempo, perché l’ora era tarda.

Nella finale però la cavallina pregiata rischiava grosso, finendo anche lei zampe all’aria, proprio all’ultimo giro, seguita dal fantino Giuseppe Zedde. Ma Domizia è stata fortunata. Si è rialzata e ha ripreso un po’ disorientata la sua corsa.

Balosso, nonostante il suo nome, ha rinunciato all’ultimo brutto scherzo della giornata.

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Pubblicato il 26 Maggio 2008
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