Il Teatro Sociale “torna” nel 1930
In occasione del censimento Fai sono state messe a disposizione dell’associazione culturale Educarte sette immagini sul restauro della sala bustese, firmato negli anni 30 dai progettisti Ignazio Gardella e Antonio Ferrario.
Sette immagini per raccontare un restauro diventato esemplare. È questo il numero di fotografie sul progetto di riqualificazione del teatro Sociale di Busto Arsizio, firmato negli anni Trenta dai progettisti Ignazio Gardella e Antonio Ferrario, che l’Archivio storico Gardella ha messo a disposizione del comitato che appoggia la candidatura della sala di piazza Plebiscito alla settima edizione del censimento «I luoghi del cuore», promosso dal Fai.
Le suggestive immagini in bianco e nero sono già state in parte pubblicate nel prezioso volume «Del teatro – 150 anni di vita teatrale a Busto Arsizio», edito nel 1991 per iniziativa del liceo classico «Daniele Crespi». Foto che consentono di studiare l’intervento di «rammodernamento morfologico» che il progettista locale Antonio Ferrario firmò, nel 1935, con l’allora giovane Ignazio Gardella. Un tassello prezioso quello fornito dagli architetti Jacopo Gardella ed Edoarda de Ponti all’associazione culturale «Educarte» per confrontarsi con il restauro più raffinato e meditato di cui è stata fatta oggetto la sala di piazza Plebiscito nei suoi oltre centoventi anni di storia.
Il lavoro di Ignazio Gardella per il teatro Sociale di Busto Arsizio, considerato meritevole da Edoardo Persico di una segnalazione sulla rivista internazionale «Casabella» (una vera e propria Bibbia per gli specialisti del settore), si proponeva, nello specifico, di aumentare la capacità della platea e di ristrutturare la vecchia sala, costruita nel 1891 da Achille Sfondrini su modello della Scala di Milano, secondo il gusto dechirichiano in auge a quei tempi.
Le opere di restauro, storicamente attente e colte, portarono così all’eliminazione della parte centrale della prima fila dei palchi, all’arretramento del boccascena e a un nuovo impianto coloristico, giocato sulle tinte del rosa (la cupola), del rosso pompeiano (i palchi), del bruno (le tende) e del bianco (i parapetti). L’atmosfera onirica e sognante creata da questi accostamenti cromatici fu resa ancor più suggestiva dalla presenza di affreschi raffiguranti figure allegoriche: donne e angeli danzanti, tra fiori, campane, note, chiavi di violino e pentagrammi. Della volta dipinta di rosa, probabilmente già realizzata ai tempi di Achille Sfondrini, Ignazio Gardella ritagliò solo poche figure, alle quali lasciò «una libertà che diviene -per usare le parole di Guido Maria Poggi, riportate nel volume «Del teatro – 150 anni di vita teatrale a Busto Arsizio»- semantica alla fantasia e al sogno».
Questi dipinti, così come gran parte del disegno progettuale sfondriniano (a partire dalle due file di palchi), scomparirono con il restauro realizzato nel 1955 dall’ingegnere Mario Cavallè. Dalla speranza di riportare in vita questo prezioso frammento della sala bustese, conservato sotto la contro-soffittatura della platea e oggi purtroppo nascosto alla vista del pubblico, ma anche dal desiderio di operare una riqualificazione del perimetro esterno dell’edificio, a cominciare dalla copertura impermeabilizzata della cupola, è nata l’idea di far partecipare lo storico teatro di piazza Plebiscito, costruito per iniziativa dei conti Giulio e Carolina Durini e di un’altra ventina di imprenditori locali, al censimento «I luoghi del cuore».
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