L’orrore di Auschwitz rivive nelle parole di Nedo Fiano

Intensa mattinata della memoria all'ITE Tosi dove gli studenti hanno ascoltato la drammatica testimonianza di chi riuscì a sopravvivere

19 febbraio 2012: una data da non dimenticare all’ITE “Tosi”, all’insegna della memoria. Un ospite d’eccezione, Nedo Fiano, di fronte all’Aula Magna gremita e in diretta televisiva con le altre classi dell’Istituto, ha raccontato il suo viaggio nell’orrore di Auschwitz.

 
Accolto dal commosso coro dell’ITE che ha intonato “Oyfn Pripetshik” , in omaggio alle origini ebraiche di Fiano, ha affermato: “di morte è la nostra testimonianza. Parlare, però, è ridare la vita a chi non c’è più”.
 
Nato il 22 aprile 1925, al momento della vergognosa promulgazione delle leggi razziali viveva a Firenze: “Una condanna iniqua e assassina”, ricorda Fiano, “questi provvedimenti ci caddero addosso come un macigno: non ci fu quella solidarietà che ci aspettavamo”. Emarginati dalla vita pubblica, a Nedo e alla sua famiglia mancò il conforto e la vicinanza di amici e vicini che spesso chiusero la porta davanti alle loro richieste di aiuto.
 
Arrestato il 6 febbraio del 1944, Fiano fu rinchiuso nel carcere di Firenze e da lì condotto al campo di Fossoli. Il convoglio che lo portava ad Auschwitz assieme alla sua famiglia (11 persone in tutto) partì il 16 maggio del 1944. “Non eravamo più quelli che eravamo saliti sul treno”, sostiene Fiano, “Il viaggio ci ha trasformati”.
 
L’arrivo ad Auschwitz, tetramente illuminata dalle alte ciminiere dei forni, fu un’illusione. La speranza di trovarsi in un “impianto industriale”. Un sogno presto infranto dalla lacerazione della separazione dalla madre, che, avrebbe scoperto poi, nel giro di poche ore era stata uccisa, cremata e dispersa nel vento, con molte altre madri, con molti altri bambini.
 
“Per chi ci ha vissuto”, afferma Fiano, “Auschwitz non è un luogo è una sensazione. Il freddo mi entrava dentro e mi rosicchiava. Ero solo con me stesso”.
 
Trasferito alla fine della guerra a Buchenwald, Fiano fu l’unico superstite della famiglia; dei 581 deportati che avevano condiviso con lui il viaggio di andata per Auschwitz, solo 60 fecero ritorno e, di questi, solo una decina sono oggi ancora in vita. Di qui il valore del ricordo, dell’impegno doloroso a farsi testimone di quello che è stato. Di qui il monito: “colui che dimentica diventa complice degli assassini: una società come la nostra non deve trascurare il dolore e dimenticare il passato”.
 
Ad accompagnare Fiano, la moglie Rirì Lattes, scampata alle deportazioni, che ha voluto in un brevissimo quanto intenso intervento, condividere con gli studenti la sua passione per la vita e la memoria: “Chi si è salvato sente il rimorso di essere sopravvissuto. Più passano gli anni, più si sente questa sofferenza; ecco perché seguo mio marito: per raccontare l’inferno”.
 
“Da queste parole”, ha concluso la Preside Nadia Cattaneo rivolgendosi ai suoi studenti, “bisogna trarre un insegnamento forte. Bisogna passare dalla memoria al presente e impegnarsi perché tutto questo non accada mai più”.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 20 Febbraio 2013
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