Nove segretari del PD contro il Jobs Act

I segretari del Partito Democratico di diversi comuni della provincia hanno diffuso una lettera per criticare il jobs act: “Dignità del lavoro ed uguaglianza devono essere temi inalienabili per un partito di centrosinistra quale è il nostro. Ma nella riforma approvata si vedono ben poco"

Porta la firma di nove segretari del PD – da Busto Arsizio a Sumirago, da Sesto Calende a Brebbia – la lettera inviata alla segretaria provinciale per criticare le scelte fatte in tema di lavoro dal governo. Una lettera scritta a titolo personale dai rappresentanti locali per spiegare che "dignità del lavoro ed uguaglianza devono essere temi inalienabili per un partito di centrosinistra quale è il nostro. Ma nella riforma approvata si vedono ben poco". Ecco il testo integrale della missiva.

Il Jobs Act è stato approvato, ma la nostra valutazione non è positiva. In attesa dei decreti attuativi vi spieghiamo le ragioni del nostro giudizio, le prime più economiche, le seconde
relative alla visione e al ruolo che vogliamo il lavoro assuma nella società.
Partiamo da un fatto: riformare il mercato del lavoro era necessario. Ma se il fine era sostenere l’incremento dell’occupazione, allora siamo molto lontani dall’obiettivo. C’è pressoché unanimità
tra gli esperti (anche fra quelli favorevoli alla riforma) nel dire che il Jobs Act non aumenterà i posti di lavoro. La tesi generale è che, grazie agli sgravi fiscali, servirà a trasformare alcuni
contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. Questo è vero. Più contratti a tempo indeterminato, dunque, ma dopo la fase in cui saranno inizialmente convenienti che cosa succederà? Accadrà che i costi per le imprese aumenteranno e queste saranno tentate di
usare la flessibilità che gli è concessa (esattamente come ora) per licenziare. Tanto più che per
il licenziamento economico non è previsto il reintegro del lavoratore. Ma prevedere, come fa
questa riforma, il reintegro per il licenziamento discriminatorio e non per quello economico è come chiudere il cancello e lasciare un grande buco nella rete di recinzione.
C’è poi un effetto ancora più grave: i lavoratori perderanno potere contrattuale e le
rivendicazioni salariali saranno più difficili, il tutto a parità di disoccupazione. Dunque, difficoltà di rivendicazione e alta disoccupazione: il risultato sarà una politica di contenimento salariale, che significa stipendi più bassi.
Ma non è solo questa parte della riforma a preoccupare. Infatti, della tanto sbandierata flexicurity nel Jobs Act si vede solo la flessibilità, mentre la sicurezza è lontana dal
manifestarsi. La riforma non affronta i nodi legati al contrasto alla precarietà perché lascia in piedi il decreto che liberalizza i contratti a termine e i voucher, andando a cancellare solo le collaborazioni a progetto, ormai già scarsamente utilizzate perché poco convenienti. Inoltre non
stanzia risorse per migliorare scopi e funzioni dei centri per l’impiego, altro aspetto che sarebbe stato doveroso affrontare. E poi c’è un effetto perverso, ma poco considerato: il lavoratore a tempo indeterminato (quindi al momento garantito dall’art.18) sarà disincentivato a cambiare impiego perché nel farlo perderebbe la tutela di cui gode.
Insomma, noi vediamo una riforma che mira alla flessibilità e che però rischia di ingessare il mercato del lavoro perpetrando il dualismo tra garantiti e non. Il segno complessivo del Jobs Act è infatti quello di un passo indietro, nei diritti del lavoro e nella sua dignità. Al posto di valorizzare le competenze e i dipendenti, si spingono le imprese ad abbassare condizioni lavorative e compensi nella vana speranza di far ripartire un’economia che arranca. Al posto di
regole più giuste e più certe, che spingano verso l’altro una produttività in caduta libera e invoglino di nuovo gli imprenditori a investire, noi vediamo competizione basata sul costo del
lavoro in un mondo dove ci sarà sempre qualcuno disposto fare lo stesso mestiere ma aun prezzo
più basso.
Insomma, una riforma ben fatta avrebbe dovuto puntare sul lavoro di qualità, incentivando gli investimenti in innovazione e formazione. Avrebbe dovuto disboscare per davvero la giungla del precariato e pensare e mettere in atto strumenti che tutelino chi è senza lavoro. Ma anche ripensare le vecchie politiche economiche che sono risultate sbagliate in Italia come in Europa. Dignità del lavoro ed uguaglianza devono essere temi inalienabili per un partito di centrosinistra quale è il nostro. Ma nella riforma approvata si vedono ben poco. Per questi motivi esprimiamo il nostro personale dissenso:
Giorgio Maran (Daverio)
Stefano Catone (Solbiate Olona)
Salvatore Vita (Busto Arsizio)
Andrea Morosi (Brebbia)
Massimiliano Bassotto (Caronno Varesino)
Alessandro Zoccarato (Ferno)
Manuela Stella (Sesto Calende)
Danilo Tibiletti (Sumirago)
Guido Della Canonica (Lonate Ceppino)

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 20 Dicembre 2014
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