Omicidio al motel, la parte civile: “Simona trattata come un giocattolo”

Parla il legale di parte civile nel processo ad Andrea Pizzocolo, l'uomo che ha ucciso la giovane prostituta rumena nel motel di Olgiate e ha abusato del cadavere: "Parlare di gioco erotico finito male fa rabbrividire"

Simona trattata come un giocattolo erotico, una diciottenne caduta nella prostituzione senza regole e senza alcuna tutela per chi si trova, volente o nolente, ad esercitare e non sa con chi ha a che fare. Dall’altra parte un uomo che aveva oltrepassato il limite nei confronti dell’altro sesso, ormai considerato (dopo anni e anni di rapporti con prostitute, ndr) alla stregua di una bambola gonfiabile da maltrattare a proprio piacimento per soddisfare un appetito sessuale fuori da ogni controllo.

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Tiziana Bertoli è l’avvocato di parte civile che rappresenta la madre di Simona Lavinia Ailoaiei,

uccisa da Andrea Pizzocolo nel settembre dello scorso anno in un motel di Olgiate Olona e poi violentata e abbandonata in un campo nei pressi di Lodi, e in questo processo (la seconda udienza si è svolta oggi, venerdì) vuole mettere in risalto proprio questo aspetto della vicenda dell’omicidio del motel: «Pizzocolo tratta la donna come se non fosse un essere umano, come se fosse una cosa a sua completa disposizione – racconta a margine del processo – solo l’idea che qualcuno possa pensare che si sia trattato di un gioco erotico finito male dovrebbe far rabbrividire chiunque perchè è evidente che quest’uomo abbia pianificato in maniera scientifica l’uccisione della ragazza nascondendole tutto il suo piano. Non le dice delle telecamere, non le mostra mai le fascette da elettricista che usa per strozzarla, la riprende da ogni angolazione per fare in modo che si veda la sua morte». 

L’avvocato Bertoli parla di Lavinia come di una ragazza dolce, arrivata a Milano per coronare il sogno di creare una famiglia con l’uomo di cui era innamorata: «Come molte ragazze che vivono in una condizione difficile Simona si era affidata ad un uomo che le aveva fatto una promessa d’amore e che invece l’ha imprigionata nella gabbia della prostituzione – dice riferendosi ad Alin Moka, indagato per sfruttamento della prostituzione – questa decisione è stata la sua condanna a morte». Sua madre ha cercato di distoglierla dall’idea di andare via dalla Sicilia dove vivevano con il compagno di lei, ma non c’è stato verso di farle cambiare idea. La donna non sapeva quello che Lavinia faceva a Milano anche se qualche sospetto le era venuto quando era andata a trovarla e aveva notato che il fidanzato non gliela faceva vedere a determinati orari: «Solo dopo la morte ha messo insieme i tasselli di quei sospetti e ha scoperto la vita nascosta della povera figlia» – racconta il legale che poi lancia un appello: «Il caso di questa ragazza sia da monito sia alle giovani come lei che alle istituzioni – conclude – bisogna fare di più in Italia per proteggere le donne, a partire dalla rimozione di una cultura ancora dominante in cui la donna è trattata come un oggetto del quale abusare a proprio piacimento e i numerosi casi di femminicidio sono l’esempio». Infine sul problema sociale della prostituzione: «Purtroppo esiste ed è sempre esistita – conclude – chiudere gli occhi porta a casi come quello di Simona, serve una tutela a livello legale per la sicurezza di queste donne».

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Pubblicato il 24 Ottobre 2014
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