“Non sono solo i rumeni che uccidono”

Intervista a Nicoleta Cazacu, moglie di Ion, l'operaio rumeno ucciso 8 anni fa a Gallarate dal suo datore di lavoro. La storia di Adrian Joan Kosmin, ucciso in provincia di Verona dai titolari dell'azienda per cui lavorava, la riporta a quel doloroso periodo

«Dio mio, è successo ancora». Nicoleta scuote la testa. Lei è la moglie di Ion Cazacu, l’operaio rumeno che 8 anni fa a Gallarate venne bruciato vivo dal suo datore di lavoro italiano, perché voleva essere messo in regola. Ciò che è accaduto in provincia di Verona al suo giovane connazionale, il ventottenne Adrian Joan Kosmin, la catapulta di nuovo nell’angoscia di quei momenti. È una storia simile a quella di suo marito. Adrian era assunto in nero e chiedeva un contratto regolare. Invece, è finito morto ammazzato per mano dei titolari italiani della ditta di trasporti per cui lavorava. I due, infatti, volevano incassare il premio dell’assicurazione sulla vita che gli avevano fatto sottoscrivere in cambio dell’assunzione regolare. Unica beneficiaria della polizza era la titolare dell’azienda.
«Mi sembra di rivivere il dolore profondo di allora – dice Nicoleta –. La disperazione, non sai cosa fare, non sai come dirlo ai tuoi figli. Immagino la famiglia di quest’uomo. Vorrei parlare con loro, stargli vicino. Le mie figlie ancora oggi non hanno superato quel trauma».

Nicoleta, ha seguito tutto il dibattito sulla sicurezza e il reato di clandestinità? Cosa ne pensa?
«Una volta ho sentito l’onorevole Calderoli dire che sono sempre gli stranieri i delinquenti e che non si sente mai che un italiano uccida uno straniero. Mi sembra che queste vicende lo smentiscano. Comunque il fatto che sia accaduto non è consolatorio».
Qual è la via d’uscita da questa situazione?
«Dovrebbe trovarla la politica con le leggi, però non servono se sono brutte leggi. Fa male sentire i politici dire certe cose, perché puo’ essere un’incitazione. Poco tempo fa un gruppo di rumeni sono stati attaccati da italiani, erano persone appena uscite dal lavoro che stavano comprando del pane. Si sono salvati per miracolo».
Lei torna spesso in Romania?
«Sì, ci sono appena stata».
E cosa si dice della situazione italiana?
«Il problema è ben presente e siamo coscienti che esiste una parte malata della nostra comunità. Non a caso è stata mandata una task force di investigatori rumeni in Italia».
E la questione dei rom?
«Dovreste chiedervi perché il problema dei rom non è stato risolto dai paesi europei, tipo Germania o Francia. Non è semplice e la Romania non puo’ risolverlo da sola»

Cosa fa e dove vive adesso?
«Abito in provincia di Varese. Ho preso un diploma in assistenza sociosanitaria, lavoro in una casa di cura per anziani  e collaboro con il comune di Albizzate, dove faccio assistenza domiciliare sul territorio».
Ha ricevuto qualche risarcimento per quello che ha subito?
«No. Nel processo di primo grado avevano offerto un assegno di 14 milioni di vecchie lire per le mie due figlie, era un anticipo, ma solo in teoria perché io quei soldi non li ho mai visti. Adesso Cosimo Iannece, l’uomo che ha ucciso il mio Ion, ha scontato quasi metà della pena e potrebbe uscire in semilibertà».

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Pubblicato il 10 Giugno 2008
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