Il disabile clandestino che venne investito e abbandonato

Sfruttato sul lavoro, travolto senza soccorso. Gli venne promesso un risarcimento che non ebbe. E ieri si è arreso nonostante l'imminente arrivo di una pensione

Con un gesto disperato, Adrian Lule, 40 anni, ha spinto ieri la sua carrozzina meccanica dentro il lago. Il suo corpo è stato trascinato fino al lido e recuperato dai vigili del fuoco. Non torneremmo, sulla morte dell’uomo ripescato ieri a Gavirate, se la sua storia non avesse qualcosa di tragico e beffardo (i familiari ci hanno autorizzato). Adrian era costretto in carrozzina da anni, a causa di un incidente accaduto mentre lavorava come clandestino a Varese. Era arrivato in Italia nel 1993, era stato espulso, si era sposato, era tornato in Italia. Voleva lavorare. Una mattina, era il 25 agosto del 2001, stava andando in un cantiere  – dove aveva trovato un impiego in nero – viaggiava con un piccolo scooter, era prima dell’alba, era buio, qualcuno lo travolse e lo lasciò a terra, senza soccorrerlo, sulla strada provinciale del lago, a Gavirate. Non si scoprì mai chi lo ridusse così, non ebbe alcun risarcimento. Cadde in un cordolo al lato della strada e venne trovato agonizzante solo dopo tre ore.  Perse l’uso delle mani e delle gambe, rimase tetraplegico, con la possibilità di muovere solamente testa, spalle e braccia. Se fosse stato in regola, avrebbe potuto chiedere una rendita per l’infortunio. Raccontò, invece, che il datore di lavoro gli chiese di non dire nulla: “Se non dici che andavi a lavorare, ti aiuterò io”. Ma erano solo false promesse: “Mi diede 200mila lire dicendomi che era solo l’inizio – spiegò nella sua versione dei fatti, raccontata l’anno scorso a Lisdha News, il giornale della disabilità diretto da Marcella Codini –, ma dopo quelle 200mila lire non vidi più nulla”.

Per sua fortuna, nel 2002, grazie a una sanatoria, la moglie fu regolarizzata e così anche lui potè ottenere il permesso. Lo aiutarono i servizi sociali di Gavirate. Gli fecero avere un minialloggio, gli assistenti della casa di riposo andavano a muovergli il materasso, due volte al giorno. La moglie e la figlia piccola lo accudivano, ma la sua situazione era difficile, anche a causa dei continui dolori fisici. Ai servizi sociali, raccontano che Adrian era anche una persona di cultura, in Italia faceva il muratore, ma era perito agrario, era giovane e soffriva la sua condizioni di padre e marito inabile. «Non voglio rovinare la vita di mia moglie e di mia figlia» aveva raccontato in quell’intervista a Lisdha News. Stava per avere dal comune un sollevatore per il letto. E il destino, presto gli avrebbe anche dato un risarcimento. La moglie lavora in Italia da almeno sei anni, e aveva appena ottenuto la carta di soggiorno, requisito essenziale per poter richiedere l’invalidità per il coniuge. “Lo sportello immigrati era appena riuscito a terminare la pratica per la carta di soggiorno, a giorni l’avrebbe ricevuta” conferma l’assessore ai servizi sociali, Luisella Cova – sembrava contento, ma i dolori erano sempre più forti”. E così si è arreso.

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Pubblicato il 25 Luglio 2008
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