Il vento di Auschwitz sferza l’Insubria

La commemorazione ufficiale all'Università di via Ravasi. Presenti tutte le autorità. La toccante testimonianza di Liliana Segre, sopravvissuta al campo di sterminio. Il rettore Renzo Dionigi propone un master in didattica della Shoah

«Avrei voluto cantare “Auschwitz”. Quella canzone mi emoziona molto, quando parla del vento». Simonetta Vaccari, prefetto di Varese, è visibilmente emozionata. La canzone a cui si riferisce «sua eccellenza» è quella scritta da Francesco Guccini e cantata dai Nomadi.

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Il prefetto ha appena consegnato 11 medaglie d’onore ad altrettanti cittadini della provincia di Varese, deportati e iternati nei lager nazisti, per celebrare il Giorno della memoria. L’Aula Magna dell’Università dell’Insubria di Varese è gremita di alunni delle scuole medie, con le autorità (quasi tutte presenti) schierate in prima fila. Insomma, tutto è in ordine. Tranne le emozioni.  Quando si parla della shoah è difficile razionalizzare. Un «sedativo» intellettuale per riportare alla calma della ragione l’angoscia che scatena la testimonianza di un deportato in un campo di sterminio nazista, non l’hanno ancora inventato. Rimane, dunque, il silenzio e l’ascolto. E non importa se si tratta di una testimonianza «virtuale», trasmessa da un videoproiettore. L’espressione dolorosamente fredda di Liliana Segre, che racconta la sua deportazione nel dicembre del 1944 ad Auschwitz, buca lo schermo dell’Aula Magna. Le sue parole arrivano a destinazione con la stessa durezza di pietre scagliate contro la coscienza di chi le ascolta. C’è un accenno di applauso, ma è subito stroncato da una sorta di autocensura, di vergogna collettiva. La Segre aveva solo tredici anni e nessuna colpa, quando venne catturata con il padre in provincia di Varese, dopo aver tentato di espatriare in Svizzera. Era «una bambina qualunque, di una famiglia profondamente italiana e patriottica».
Quella dell’italianità negata è una ferita che si riapre spesso nelle testimonianze di ebrei deportati nei campi di sterminio nazista. «Noi eravamo più italiani degli italiani» dice sempre Nedo Fiano, altro testimone sopravvissuto ad Auschwitz. Eppure dopo le leggi razziali del 1938 i vicini di casa di colpo sono diventati nemici, gli ebrei esclusi dalla vita pubblica e i loro beni espropriati. Francesca Franz, dirigente scolastico  e responsabile provinciale per la shoah, è partita dalla storia della sua famiglia (di origine ebraica) per poi ricordare i  tragici passaggi che hanno contraddistinto la vita di tutti gli ebrei italiani.

L’antidoto a tutto questo però lo ha indicato Primo Levi nel libro “I sommersi e i salvati”, ricordato dallo storico Enzo Rosario Laforgia autore di un intervento sulle leggi razziali del 1938. « Può accadere, e dappertutto … occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare degli incantatori, da quelli che dicono belle parole non sostenute da buone ragioni».

Giorno della Memoria – Tutte le iniziative in provincia di Varese

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Pubblicato il 27 Gennaio 2009
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