Argentina, quando gli emigranti eravamo noi

Alle Acli storie di emigrati italiani nel Paese sudamericano e di argentini che hanno trovato casa a Varese.

Due emigranti, uno progettista di aerei a reazione, l’altro prete missionario tra i poverissimi. Due esperienze d’Argentina che sono quasi all’opposto, nel Paese grande come un continente, abitato da discendenti di immigrati venuti da ogni parte del mondo. «La prima volta il viaggio in nave è durato un mese, tanti scali nei porti europei e poi brasiliani. E la paura delle mine sparse ovunque per l’oceano durante la guerra» racconta Luigi Grossi, che emigrò in Argentina nel 1948, a ventun anni. Ex partigiano nell’Ossola, lavorava a Cordoba, nella fabbrica aeronautica nazionale che produceva i primi jet sudamericani, alta tecnologia sviluppata dai progettisti che venivano dall’Italia, dall’Inghilterra, dalla Germania. «Ho scelto di fare il missionario, che è un po’ come essere emigrante, ma da solo» racconta invece don Giorgio Quaglia, oggi parroco a Ponte Tresa (a destra nella foto, con Luigi Grossi). «Ero nella regione di Santiago del Estero, avevo una parrocchia estesa per centinaia di chilometri. Nel febbraio del 1979, quando sono arrivato, c’era la dittatura militare: quattro anni di paura, sapendo di essere sempre controllati» racconta don Giorgio. Gli anni della dittatura sanguinaria, gli anni dei desaparacidos non sono stati facili, per il missionario della diocesi di Como, impegnato nel sostegno alle comunità più povere: «Ci siamo opposti alla guerra delle Malvinas (il nome argentino delle Falkland, NdR), sapendo quanto era difficile andare contro il patriottismo argentino. E infatti ci accusarono di essere stranieri ostili, gringos». Storie personali che rispecchiano la storia collettiva delle migliaia di italiani che hanno raggiunto l’immensa nazione sudamericana, legata da rapporti strettissimi con l’Italia. Tant’è vero che, oltre che varesini in Argentina, ci sono anche argentini che hanno messo radici nella città giardino: Martin Stigol (nella foto) è in Italia da vent’anni, a Varese ha creato una realtà teatrale, "Progetto Zattera". «Non volevo finire come mio padre, che aveva visto morire i suoi sogni in Argentina per colpa dei governanti, e ho voluto cercare il riscatto qui, con il teatro. Dodici anni fa abbiamo anche promosso la prima rassegna, riunendo quattro compagnie, anticipando quasi l’esperienza di "Sipari Uniti". Io qui ho realizzato il mio sogno, ho costruito qualcosa. Anche se a volte mi sento ancora un italiano di serie B». Martin sottolinea il contributo non solo materiale, ma anche creativo e progettuale, portato dagli stranieri: «C’è in Italia una crisi morale, una chiusura che impedisce la crescita del Paese» aggiunge provocatoriamente. Del resto proprio la storia dell’Argentina insegna l’immigrazione possa trasformarsi in ricchezza per tutti, nel rispetto della diversità delle diverse provenienze. E l’esperienza degli italiani all’estero parla anche al nostro presente: «Gli emigranti italiani in Argentina – continua don Giorgio – vivono nella nostalgia, si chiudono nelle comunità regionali venete, lombarde, napoletane. In questo modo non si interessano alla politica e hanno finito per affidarsi al populismo». Integrazione, valorizzazione degli stranieri, partecipazione alla comunità diventano una necessità per il benessere di tutti. Lo insegna anche un’altra storia di emigrazione, quella di Alessandro Palermo: discendente di italiani, stabilitosi a Ponte Tresa, si è integrato perfettamente e ha creato una associazione di cooperazione, la Associazione Missionaria per l’Argentina: «Attualmente aiutiamo una ventina di famiglie a Santiago del Estero. Ma la vera scommessa è quella che vogliamo concretizzare nel 2010: un impegnativo progetto di sovranità alimentare, per creare una cooperativa di famiglie impegnate nella produzione orticola in una zona arida della provincia». Per raccogliere fondi l’AMA vende anche prodotti di artigianato, che sono in mostra presso il ristorante ComService di via Speri della Chiesa in occasione della Settimana Argentina promossa dalle Acli varesine: domenica la settimana si conclude con il pranzo tipico e, nel pomeriggio, con lo spettacolo teatrale curato da Martin Stigol. L’argentino che ha portato a Varese un po’ del calore e della creatività sudamericana.

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Pubblicato il 14 Febbraio 2009
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