Zamberletti: «I volontari sono utili solo se organizzati»

Intervista al varesino Giuseppe Zamberletti ex ministro e padre della Protezione Civile

Il varesino Giuseppe Zamberletti è riconosciuto in Italia come l’uomo che ha inventato la Protezione Civile. Da politico seppe fare tesoro delle esperienze di gestione dell’emergenza nei terremoti del Friuli nel 1976 e in Irpinia nel 1980, che lui visse da Commissario del Governo incaricato del coordinamento dei soccorsi: traendone spunto, una volta nominato ministro per il Coordinamento della Protezione civile, per incidere sul sistema di coordinamento delle strutture operative e delle risorse dello Stato, fino ad allora sprecate proprio per mancanza di coordinamento.

A Zamberletti si devono la nascita del Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio e l’organizzazione del servizio nazionale e l’introduzione del concetto di previsione e prevenzione distinto dalle attività di soccorso. Da allora, le grandi tragedie e gli eventi che necessitano dell’opera meritoria della protezione Civile hanno un nume tutelare, un nome evocato: il suo. E a lui, da varesino, ancora ora operativo nel campo della protezione civile e nei grandi rischi, abbiamo chiesto cosa si può fare ora, e quanto serve l’opera dei volontari.
«Molto. Ma quando penso al ruolo fondamentale dei volontari, ora che la leva obbligatoria non c’è più, penso naturalmente ai volontari organizzati, non al volontario singolo che ha tanta buona volontà ma che crea più problemi che soluzioni. Parlo dei volontari addestrati della Protezione Civile e delle varie organizzazioni di volontariato specializzate, che si rivelano sempre più destinate a supplire alla carenza numerica dei militari, che da quando non c’è più la leva, appunto, non possono più fornire a questi eventi i grandi numeri»

Si è dimostrata un’idea lungimirante, quella della creazione della Protezione Civile
«A conti fatti sì, e anche questo caso lo sta dimostrando. Il centro di coordinamento, a pochi secondi dalla scossa, sapeva già qual era l’epicentro del terremoto e ha permesso di valutare fin da subito la dimensione del danno e la zona coinvolta. E tutto il sistema del dipartimento di protezione civile come strumento di coordinamento si è dimostrato efficace»
In un terremoto quali sono le maggiori difficoltà da affrontare e quali le principali necessità della situazione?
«A meno di un giorno dal terremoto siamo ancora nel pieno dell’emergenza: bisogna cavare dalle macerie tutti quelli che sono sopravvissuti e trovare i corpi di chi non ce l’ha fatta, completare quindi le primissime operazioni. Venendo la notte poi, si deve anche pensare a sistemare i sopravvissuti, trovar loro un modo di passare la notte: organizzare tendopoli, cercare zone turistiche e alberghi disponibili ad accogliere quelli rimasti senza casa. Intanto però bisogna autorizzare delle squadre che vadano a valutare l’agibilità dei palazzi, possa dire cioè cosa sta in piedi e cosa no»
Che possano servire medici e infermieri, è scontato. Quali sono invece le professionalità che possono essere ugualmente d’aiuto e non si immagina?
«Ingegneri e geometri: i tecnici, cioè, che possono valutare l’agibilità dei tanti palazzi pericolanti. Sono una professionalità molto utile, fin da subito»
Della capacità di intervento dei varesini lei già sa. Ma cosa possono fare in questo frangente?
«Possono fare quello che hanno sempre fatto in questi casi: per esempio gemellaggi con comuni e quartieri colpiti coordinare gli aiuti direttamente con gli amministratori locali e dispensare così meglio le varie energie associative locali per gli aiuti immediati e poi la rinascita di quelle zone. L’hanno già fatto per il Friuli, penso al comune di Cavazzo Carnico, e l’hanno fatto anche con il terremoto che ha colpito Campania e Basilicata, con il comune di Montoro Superiore, in particolare».

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Pubblicato il 06 Aprile 2009
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