Oggi un camorrista è indistinguibile da un bocconiano

La nostra provincia da più di trent'anni ospita personaggi di spicco della camorra. Il pubblico ministero Agostino Abate: «È l'organizzazione più pericolosa perché sa gestire gli affari, la sua mitraglia sono i soldi. Poche altre province hanno questa presenza criminale»

La camorra è presente nella provincia di Varese da almeno 30 anni. Se nella primavera del 1985 Roberto Cutolo, figlio di Raffaele Cutolo, capo della Nuova camorra organizzata (Nco), sceglie di venire a “soggiornare” a Tradate è perché qui ci sono le condizioni di contesto favorevoli per la sua permanenza e la sua protezione. Sono passati 19 anni dall’omicidio (19 dicembre del 1990) dell’unico erede del clan Cutolo e le radici della camorra in questa provincia non si sono seccate, anzi sono cresciute propagandosi grazie a un terreno favorevole costituito da un’economia florida e sviluppata, dalla vicinanza con la Svizzera, luogo ideale dove lavare i capitali sporchi e dove far transitare le armi, e dalla presenza di altre organizzazioni di stampo mafioso con cui fare alleanze. «La camorra – spiega il pubblico ministero Agostino Abate, intervenuto alla presentazione del libro di Alfonso Paolella “Le origini della camorra”- è l’organizzazione più pericolosa, perché a differenza di Cosa nostra non si pone come antistato, ma convive e si arricchisce con il potere. E’ meno grezza della ‘ndrangheta, che a sua volta non ha fatto un vero salto di qualità, e si presenta in prima persona in modo inappuntabile, indistinguibile da un bocconiano».
«La vera mitraglia» della camorra sono i soldi, perché sa gestire gli affari, come ha spiegato bene nel libro “Gomorra” Roberto Saviano. «È una piovra in grado di aspirare qualsiasi finanziamento pubblico». E in tempi di crisi e di scarsa liquidità chi ha i soldi di affari ne puo’ fare molti. 
Nella sua storia, passata e recente, questa organizzazione criminale mostra alcuni elementi di immutabilità che la contraddistinguono, uno di questi è la creazione di un consenso sociale e politico. «Liborio Romano, ministro dell’Interno dei Borboni – continua Abate – delegava l’ordine pubblico alla camorra che veniva utilizzata come polizia per i reati comuni, creando consenso. Ecco perché Mussolini ne decretò la fine ufficiale».
Subito dopo il terremoto in Irpinia, i camorristi si sedettero al tavolo della spartizione dei finanziamenti per la ricostruzione insieme ai maggiorenti campani della Democrazia cristiana, grazie al “favore” reso per la liberazione di Ciro Cirillo, assessore ai lavori pubblici della Regione Campania, rapito dalle Brigate rosse. I brigatisti, a loro volta, ottennero l’uccisione del capo della squadra mobile di Napoli.

Nella relazione della commissione parlamentare antimafia del 2006 su 244 pagine i nomi «Varese», «Malpensa», «Busto Arsizio» e «Svizzera» compaiono ben 12 volte, con un riferimento preciso alla guerra di mafia in atto nel sud della provincia, nell’area di Malpensa, e al ruolo svolto in quella zona dall’ndrangheta. Quella relazione, a pagina 73,  indica un fatto specifico: l’omicidio del  27 febbraio 2006 avvenuto a Ferno dove venne assassinato Alfonso Murano.
«Quando nel 1984  arrivai a Varese, mi resi conto che qui non c’erano chiavi di lettura del fenomeno – conclude il magistrato -. Oggi ci sono sentenze passate in giudicato che dicono che qui c’è la presenza di cosa nostra, camorra, una parte residua della nco, ‘ndrangheta e anche degli stiddari. Se togliamo Campania e Lazio, poche altre province hanno questa presenza criminale».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 08 Aprile 2009
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