Franco Ossola e il Grande Torino: sessant’anni fa la tragedia

Il 4 maggio del '49 lo squadrone granata perì nello schianto di Superga. Morì anche uno dei più grandi atleti varesini, ricordato ieri nello stadio che porta il suo nome

La posa di un mazzo di fiori arancioni ha ricordato ieri, a pochi minuti dal fischio d’inizio di Varese-Carpenedolo, il sessantesimo anniversario della tragedia del Grande Torino e quindi della morte di uno dei grandi simboli della Varese sportiva, Franco Ossola.
Era il tardo pomeriggio del 4 maggio di sessant’anni fa, 1949, quando l’aereo che riportava alla base lo squadrone granata dopo un’amichevole a Lisbona si schiantò sulla collina di Superga, alla base della basilica che domina Torino.

Una tragedia immane per il calcio italiano, che perse tra la nebbia in una frazione di secondo la squadra più forte, reduce da una serie di quattro scudetti consecutivi (il quinto venne assegnato di lì a poco visto che il Toro stava dominando il campionato) e ossatura della nazionale. In un’occasione infatti – Italia-Ungheria del ’47 – il selezionatore mandò in campo ben 10 granata su 11 titolari, con il solo portiere Bacigalupo escluso a favore dello juventino Sentimenti IV.
Un dramma che colpì al cuore anche Varese, proprio per la presenza di quell’ala, Franco Ossola, che già allora rappresentava un’icona per la nostra città. A segnalare Ossola (classe 1921) al Toro fu il tecnico biancorosso di allora, Antonio Janni, un ex granata che era restio a schierare il suo gioiello a Masnago per paura che venisse notato da un osservatore di Milan o Inter, alla caccia di talenti nella provincia lombarda. Il presidente del Torino, il mitico Ferruccio Novo, si fece convincere e acquistò Ossola per 55mila lire; dopo una stagione di apprendistato il calciatore varesino iniziò a giocare da titolare con la maglia numero 7 sulle spalle. La guerra interrompe ma non ferma la favola di Ossola e dello squadrone guidato da Ebri Erbstein: per Franco saranno 50 le reti con il Torino nelle stagioni dei cinque scudetti (77 in tutto compresa la Coppa Italia), un pezzo insostituibile dello scacchiere granata.
La vita nel capoluogo piemontese però non fece dimenticare a Ossola (foto tratte dal libro: "Varese una provincia con la cultura dello sport") le sue origini varesine: la famiglia e la città erano sempre nei suoi pensieri e famoso divenne un aneddoto che lo riguardava. Franco telefonava alla madre ogni mezzogiorno, un orario non scelto a caso: «Mamma fammi sentire i rintocchi del mio Bernascone» era la frase che chiudeva ogni chiamata del calciatore.

Quella degli Ossola, come è noto, è stata ed è tuttora una delle famiglie simbolo della nostra città. Dopo la tragedia di Superga infatti fu il secondo fratello a mettersi in luce sui campi da calcio. Era Luigi, per tutti Cicci, classe 1938: cresciuto al Varese come Franco (e anche nel vivaio cestistico della Robur) approdò anch’esso in serie A vestendo le maglie del Mantova e della Roma. Per lui si contano 76 presenze e 7 gol. Il terzetto degli Ossola è infine completato da Aldo, nato nel 1945 e diventato uno dei più forti playmaker di sempre del basket europeo. Cresciuto alla Robur "l’Aldino" tornò alla Ignis dopo una prima esperienza e una breve parentesi nell’All’Onestà Milano. Con la valanga gialloblu è stato protagonista di sette scudetti, cinque coppe dei Campioni e di una lunga serie di altri successi. La sua carriera è stata tra l’altro sempre "segnata" dalla tragedia di Superga: Aldo andò raramente in aereo, scegliendo quando possibile il treno come mezzo di trasporto.

Franco Ossola non fu l’unico riferimento "varesino" del Grande Torino tragicamente scomparso. Della squadra piemontese facevano infatti parte anche Virgilio Maroso e Rubens Fadini. Il primo era il fratello del popolare Peo (Pietro), una colonna del Varese come giocatore, allenatore e dirigente (attualmente è presidente onorario della società biancorossa). Non a caso il figlio di Peo porta il nome dello zio scomparso. Fiadini è meno conosciuto: era nato in provincia di Ferrara ma la sua crescita sportiva era avvenuta tra le fila della Gallaratese della quale fu gran trascinatore. Notato dai dirigenti granata fu portato a Torino nientemeno per fare da alter ego alla leggenda Valentino Mazzola. Quando morì aveva appena 22 anni.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 04 Maggio 2009
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