Uomo, natura e lavoro. Tre ingredienti per un formaggio da sogno

A colloquio con i produttori del Bédura, il formaggio di capra della Valcuvia premiato ad Expò Sapori. Il prossimo obiettivo sarà il Sancarlìn, sul quale è pronto a scommettere anche Slow Food

L’arrivo a Varese di Carlo Petrini, l’inventore del movimento Slow Food, riporta in prima pagina l’interesse verso tutti i prodotti di qualità legati strettamente al territorio. In provincia di Varese la nuova “star” di questo segmento è un formaggio di capra, il “Bédura”, prodotto nel cuore della Valcuvia (a Rancio), e salito di recente agli onori delle cronache per aver conquistato il primo premio all’Expo Sapori di Milano. Questo formaggio è prodotto dalla Aristeo, caseificio condotto da Paolo Satta e Paolo Carcano che commercializza i propri latticini con il marchio “Formaggeria della Valcuvia”.

L’idea di realizzare un formaggio ricercato come il Bédura (il primo da destra nella foto) è derivato da una precisa filosofia che contraddistingue il caseificio valcuviano ed i suoi proprietari. «Dietro la produzione del Bédura e degli altri formaggi che realizziamo – spiega Satta – c’è la necessità di recuperare il legame tra l’uomo, il suo lavoro e la natura. Secondo noi la bellezza della natura è tale quando l’uomo è capace di vivere in essa e di trasformarla nel miglior modo possibile. Noi cerchiamo di raggiungere i migliori risultati coniugando una sapienza antica (cioè “l’arte” di realizzare formaggi prelibati), con la scienza moderna che ci permette di raggiungere la massima qualità organolettica, proprio quello che ricerca Slow Food. Inoltre crediamo che prodotti di questo genere servano realmente ad aumentare l’interesse sul territorio che ci circonda. Siamo contenti che il nostro lavoro ed il premio che abbiamo ricevuto siano serviti a far circolare il nome della Valcuvia e a far riscoprire l’antica vocazione di questa zona per i formaggi di capra».

Tra l’altro sembra che proprio Paolo Satta possa diventare in futuro il punto di riferimento per il primo presidio provinciale di Slow Food, quello del Sancarlìn (o Tzincarlìn), un altro formaggio caprino di cui si sono quasi perse le tracce. «Il presidio del Sancarlìn non si è ancora sviluppato perché in Svizzera questo presidio esiste già ed ha segnalato l’esistenza passata del Sancarlìn anche nel Varesotto. Comunque il nostro caseificio sta cercando di mettere a punto una produzione di Sancarlìn che fino ad ora è a carattere sperimentale. Abbiamo raccolto le testimonianze di chi, nel passato, ha assaggiato il formaggio e lo ha visto produrre ed abbiamo sottoposto loro le prime forme realizzate. Inoltre ci siamo messi in contatto con il presidio svizzero per confrontare idee ed esperienze; vedremo come si evolverà la situazione».

Quando si parla della Formaggeria della Valcuvia non bisogna però pensare ad una produzione su larga scala: il caseificio serve per il momento una serie di gastronomie in provincia e, da qualche mese, una quindicina di negozi specializzati a Milano. Ciò che rende orgogliosi i titolari è anche la fornitura ad alcuni tra i ristoranti più rinomati della zona. «In questi posti – racconta Satta – la scelta dei formaggi è estremamente oculata. Il fatto che ristoranti come “Da Venanzio” a Induno o “Il Sole” di Ranco abbiano richiesto il Bédura conferma l’alto livello raggiunto dai nostri prodotti e gratifica il lavoro e la ricerca che abbiamo fatto. Anche da Expò sapori abbiamo ricevuto la stessa impressione: diversi ristoratori di rango hanno affermato che formaggi di questo genere in Italia sono molto rari così spesso si rivolgono a produttori francesi. D’altra parte proprio dalla Francia arrivano quei formaggi di capra come il Pelardon o lo Chabichou che hanno “ispirato” la nascita del Bédura». La produzione su scala ridotta non rappresenta comunque un ostacolo per Satta e Carcano i quali, anzi, considerano questo un ulteriore segnale di qualità: «Per la nostra filosofia è impossibile lavorare su larga scala in quanto abbiamo la necessità di mantenere un legame molto stretto con i fornitori di materia prima anche perché lavoriamo solo latte crudo. Difficile averne in grande quantità. Inoltre proprio questa nostra dimensione ci permette di collaborare con Slow Food, perché possiamo curare il prodotto con il massimo rispetto verso le caratteristiche di tipicità che lo rendono unico». Il reperimento della materia prima rimane un problema aperto nella nostra zona. «Ci siamo resi conto di non poter aspettare la zootecnia varesina, per cui abbiamo aperto il caseificio e stiamo lavorando con il latte proveniente dalla provincia di Como. La nostra speranza è che con il passare del tempo nascano allevamenti locali in grado di fornire latte ad un caseificio come questo. Nell’ultimo anno infatti abbiamo iniziato ad acquistare latte varesino e ci auguriamo che ciò diventi la regola. Anche perché quando avremo un quantitativo sufficiente di materia prima dal nostro territorio potremo iniziare a produrre anche la Formaggella del Luinese».

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Pubblicato il 29 Novembre 2004
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