“In Italia nessuno canta più”

Parlano gli immigrati presenti al dibattito organizzato dalle Acli di Varese e dedicato all'integrazione: «L'italia ha un'opportunità importante, può far nascere un nuovo umanesimo»

«Nel ’74, quando arrivai in Italia, trovai un popolo accogliente, gioioso. Quando tornai, dieci anni dopo, le cose erano cambiate. Questo popolo non canta più, ho pensato». Thierry Dieng del movimento Ubuntu di Varese commenta il dibattito delle Acli di Varese dedicato all’immigrazione raccontando la sua esperienza. Una storia di vita che è comune a quella di centinaia di migliaia di persone che in questi anni hanno raggiunto l’Italia con la speranza di costruirsi una nuova vita. Le migrazioni si ripetono nel tempo ma quello che è cambiato è il comportamento degli italiani verso questo fenomeno. «Oggi in Italia abbiamo una grande opportunità – dice Dieng -, è quella di far nascere un nuovo umanesimo. E possiamo farlo perchè abbiamo una risorsa importante: in questo Paese ci sono popoli di tutte le nazionalità. Come? Solo mettendo l’altro sullo stesso piano. Considerarlo un "poverino" o un "delinquente" non fa che accrescere le barriere tra italiani e immigrati». 

Jacques Amani, della Cgil, ricorda anche le responsabilità: quella che i paesi "ricchi" del mondo hanno nei confronti degli altri stati: «Bisogna anche spiegare quali sono le cause del sottosviluppo, lo sfruttamento delle risorse e della forza lavoro in Africa: raccontare ad esempio quel che accade in Nigeria, dove le multinazionali del petrolio, anche italiane, sfruttano i giacimenti, lasciando solo il 12% dei proventi al Paese. Raccontare dei villaggi attraversati dagli oleodotti dove ancora mancano i pozzi e non c’è acqua».

«Spesso i politici volano alto, parlano di grandi temi, di principi. Mentre più importante sarebbe partire dalla realtà concreta, dai problemi quotidiani che toccano gli stranieri» ha aggiunto Marinella Cozma, dell’Anolf Cisl. «Senza contare – lo dico da sindacalista – il tema dei diritti sul lavoro, negati ancora di più in un momento di crisi occupazionale come questa». In Italia però manca anche un progetto globale, una visione della società che sappia dare un posto agli stranieri. «I modelli francese e inglese, l’assimilazione e il multiculturalismo, hanno mostrato drammaticamente i loro limiti», ha osservato Amani. Limiti resi evidenti dall’estremo disagio delle seconde generazioni sfociato da una parte nelle rivolte delle banlieu, dall’altro nel terrorismo di matrice islamica. Ma in Italia il problema è rimosso totalmente, tanto che ancora si nega il fatto che ci siano culture differenti. «Di fronte a questo – conclude Marinella – vorrei una mobilitazione più consistente, mentre in piazza trovo sempre le solite facce».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 30 Maggio 2009
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