Siamo detenuti e poeti. Siamo una banda a mano libera
Un progetto nato all'interno del carcere dei Miogni. Poesia, pittura e fotografia per gettare un ponte verso l'esterno
Taylor, Ciro, Andrea, Salaheddine, Yassine sono poeti e detenuti. Sono stati loro i protagonisti della giornata organizzata alla casa circondariale dei Miogni di Varese. Nella sala dell’Affresco (chiamata così perché c’è un dipinto murale che ritrae tre cavalli liberi) del carcere sono risuonate le parole raccolte nel libro “Banda a mano libera” (Edizioni Abrigliasciolta). Si tratta di un progetto interessante che raccoglie le esperienze “artistiche” dei detenuti che hanno partecipato ai laboratori di poesia, pittura e fotografia. I dirigenti della casa circondariale, Gianfranco Mongelli (direttore del carcere) e Maria Mongiello (responsabile dell’area trattamentale), hanno sottolineato l’importanza della comunicazione con l’esterno per evitare «l’identificazione del detenuto con il reato». Concetto che Giovanna Longo (responsabile dell’area trattamentale provveditorato regionale dell’amministrazione peninteziaria) ha tradotto con l’ immagine di un «ponte che collega il dentro e il fuori».
Le poesie della «Banda» servirebbero molto a quelli che stanno «fuori». Li aiuterebbe a non precipitare da quel ponte, perché l’essenzialità delle parole «detenute» rimette nel giusto ordine la gerarchia dei nostri bisogni. «Il laboratorio di poesia – ha spiegato Ombretta Diaferia di Abrigliasciolta che ha curato il progetto editoriale – è stata una marcia delle regole che i ragazzi hanno imparato a rispettare».
«La poesia abita in ognuno di noi» ha detto Ciro, visibilmente emozionato. Mentre due giovani detenuti marocchini hanno affidato la loro integrazione alle «voci in canto». «Dono» è stata la parola che ha risuonato più delle altre nella sala degli Affreschi. A volte in modo retorico, a volte sincero. «Ho cercato di intrigarli con la mia arte – ha detto Sandro Sardella, responsabile del laboratorio di pittura – alla fine sono rimasto intrigato io».
Portare un laboratorio di fotografia in un carcere è un’impresa ardua: Miriam Broggini, Marco Guariglia e Riccardo Ranza, tra mille difficoltà oggettive, ci sono riusciti. «È un’esperienza che ci ha portato a riflettere molto sul nostro lavoro – ha commentato il fotoreporter Riccardo Ranza – e quindi sulla fotografia come messaggio e racconto interiore». Le guardie carcerarie «la cui collaborazione è stata fondamentale per la realizzazione del progetto» hanno seguito con discrezione l’intera giornata.
A liberare le parole contribuisce anche la pubblicazione "Liberi di scrivere" realizzata dai detenuti dei Miogni e diretta dalla volontaria Gabriella Tansini.
A liberare le parole contribuisce anche la pubblicazione "Liberi di scrivere" realizzata dai detenuti dei Miogni e diretta dalla volontaria Gabriella Tansini.
Aprire il carcere è un’operazione dovuta e necessaria. La presenza nella sala dell’assessore comunale Gregorio Navarro, del preside dell’Isis Giuseppe Carcano, della docente Lella Iannaccone, di Antonella Bonopane, responsabile provinciale di Libera (che insieme a Coop Lombardia ha partecipato al progetto), di Francesco Maresca, consigliere comunale del Pd, dell’attore Metello Faganelli e di tanti altri, è un segnale importante per i detenuti della casa circondariale di Varese.
«Noi continuiamo a esserci e a lavorare. Qui non cadono calcinacci» ha concluso Maria Mongiello.
«Noi continuiamo a esserci e a lavorare. Qui non cadono calcinacci» ha concluso Maria Mongiello.
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