Nicoletta, la vera regina di “Life”

Fino ad ora, “life” a Varese era sinonimo di "Living", il mensile nato 5 anni fa da una idea di Nicoletta Romano. Quattro chiacchere con chi ha fatto nascere la mentalità "life" a Varese

Fino ad ora, “Life” a Varese era sinonimo di “Living”, mensile nato 5 anni fa da una idea di Nicoletta Romano. E quando è stato scelto il nome della nuova pagina di Varesenews, a tutti è venuta innanzitutto in mente quella rivista che ha portato il glamour in una città ricca di stile ma sonnecchiosa, che non aveva ancora imparato ad apprezzare la leggerezza e il piacere di un servizio fotografico mondano.  Un progetto che aveva ambizioni e riferimenti importanti, e ancora ora ha il tocco di chi ha conosciuto il mondo al di fuori della provincia. A parlarcene, ovviamente, è Nicoletta Romano (nella foto, che riproduce la copertina del suo ultimo libro), anima di Living e sua fondatrice.

Com’è nata l’idea di questo mensile, così diverso dalle abitudini varesine?
«Il mio attuale editore mi aveva chiesto di fare un progetto di rivista che potesse essere accattivante e io ho deciso di attingere alla mia esperienza professionale, che si è svolta principalmente all’estero. In particolare, ero corrispondente europea di una rivista newyorkese che si chiama Avenue. E ho pensato di adattare alla realtà varesina quell’esperienza professionale.  In particolare, su Avenue avevano uno straordinario successo i servizi fotografici sugli eventi mondiani, quelli sui vip: così ho cercato di adattare quest’idea alla vita varesina».

Una idea apprezzatissima, quella dei servizi fotografici mondani, per cui voi andate famosi…
«A dire la verità è una grande fatica! Non sembra, ma ci sono le persone che si offendono, magari perchè non sono state citate in una foto. Ma nulla in realtà è semplice, nel nostro lavoro»

Nicoletta Romano, figlia di un principe del foro varesino, anima cosmopolita, si è sempre occupata di argomenti “crossover” tra il costume e la cultura: «Ho fatto grandi dossier per i paesi europei, interviste importanti – da Hanna Schigulla a jane Birkin. Ho scritto di arte, ma anche di moda…» Grazie anche alla totale padronanza dell’inglese e del francese, cosa non usuale da queste parti.

Non dev’essere stato semplice passare da Bruxelles, Parigi a Varese…
«Lo devo confessare: è stata durissima. Innanzitutto perché non pensavo mi dovesse capitare: io sono tornata a Varese dopo la scomparsa di mio padre. Però è stata dura perchè ho trovato una grande chiusura, qui, che non ricordavo. E’ stata più dura scalare Varese che New York. Certo, fa parte del carattere varesino provare diffidenza verso le novità: ma è un gran peccato perchè Varese ha atout meravigliosi, che potrebbe e non vuole sfruttare»

Quanto ci ha impiegato a far conoscere il suo lavoro?
«Un po’. E’ stato strano perché io ero già abbastanza conosciuta a Varese, per via di mio padre. Ma nessuno mi conosceva per il mio mestiere e per questo non sono stata aiutata, non ho avuto “spinte” o aiutini”. Qualcuno però, c’è stato, che ha creduto in me: il primissimo, in ordine di tempo, è stato Marco dal Fior, che nel suo “La Cronaca” mi affidò una rubrica molto puntuta, che però scrivevo sotto pseudonimo. Il primo invece che mi diede uno spazio in una rubrica con il mio nome, nell’edizione del sabato della Prealpina, fu invece Mino Durand. A darmi fiducia a tutto campo sono stati invece Giuseppe Redaelli e il mio attuale editore, Giuseppe Vuolo, che di fatto ha accettato “a scatola chiusa” il mio ruolo» .

Adesso nella sua rivista i vip varesini aprono, tra le altre cose, le loro case ai vostri fotografi. E’ stato difficile?
«All’inizio ci guardavano come dei matti: pensavano che nessuno ci avrebbe mai aperto la casa, da queste parti. E invece questa sezione della rivista ci ha dato subito grandi soddisfazioni. Credo però che questo dipenda innanzitutto dal mio stile, se mi è permesso dirlo. Io sarò sempre fuori dal gossip, questo è scontato: sul mio giornale niente scandali. E le persone in questo modo tendono a darci più fiducia. Del resto, se io dovessi scrivere tutto quello che grandi personaggi mi hanno confidato, adesso forse sarei miliardaria. Ma non mi guarderei più allo specchio».

La qualità e l’arte delle fotografie pubblicate conta molto, nell’insieme del giornale. Giusto?
«Indubbiamente i fotografi che utilizziamo sono bravissimi e con la nostra rivista sono molto cresciuti. Il pioniere, insieme a me, è stato Riccardo Ranza. Poi l’ha seguito Donato Carone, Alberto Lavit, Alberto Bortoluzzi. Adesso si è poi aggiunto Ugo Danesi che è agli inizi ma sta andando già molto bene. Tutti fotografi diversi tra loro, che potevamo inviare per un servizio o per l’altro a seconda della loro sensibilità. Perchè la fotografia dà emozione e noi vogliamo emozionare».

Ci sono case che l’hanno colpita più di altre?
«Quella che mi ha incantato di più era quella di un architetto paesaggista di Brezzo di Bedero. Poi ricordo
 la casa milanese della stilista di Raffaella Curiel, che non apre mai la casa a nessun fotografo. E anche quella di Alberto Mascioni, che bella…».

Una delle caratteristiche principali di Living è forse mostrare una Varese che non ci si aspetta: bellissima, molto più raffinata di quello che si immagina, ma del tutto nascosta. 
«Eh, già.Varese si cela. È il suo pregio e il suo difetto. Di Varese bisogna andare a scovare tutto. Da una parte è una preziosità, dall’altra è un peccato: se Varese si scoprisse solo un po’ di più avrebbe una nomea più allargata, la conoscerebbero anche più lontano. Perchè a Varese ci sono cose davvero speciali, e soprattutto persone speciali: tantissimi intellettuali, per esempio, che vivono nascosti e che bisogna in qualche modo “stanare”».

Adesso c’è una nuova realtà, si chiama “Life” come voi. Spero non lo riteniate offensivo, o fonte di concorrenza…
«Macchè: la verità è che secondo me c’è posto per tutti. Mi spiace invece notare che ci dovrebbe essere maggiore solidarietà e maggior spirito di collaborazione nella categoria dei giornalisti varesini e invece questo non avviene. Siamo una comunità piccola, dove nessuno fa concorrenza all’altro, abbiamo ognuno un prodotto diverso… Eppure questo sentimento c’è, ed è un peccato».

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Pubblicato il 01 Febbraio 2010
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