È scontro sul futuro della cava dei Trescali
La cava è abbandonata dal 1986: per gli ambientalisti il piano di recupero è uno scempio, per gli attuali proprietari dell'area un "intervento necessario, la zona è pericolosa e inaccessibile"
Lo scenario è desolante: sul ciglio della collina gli alberi sono aggrappati al bordo fatto di terra e sassi, che precipita per cinquanta e più metri. La cava Italinerti, ex Coppa, nel comune di Cantello, è l’emblema del periodo in cui le regole non esistevano ed era quasi normale che qualcuno togliesse terra e ghiaia dalle montagne senza avere in mano nessuna autorizzazione. L’eredità di quel periodo è questa: una collina ferita e desolata. E lo scontro è aperto sul futuro: da un lato i proprietari che hanno rilevato l’area vent’anni fa e vorrebbero recuperarla. Dall’altro un gruppo di associazioni riunite per fermare il progetto: «Uno scempio che metterà a rischio anche i pozzi che servono la città di Varese e la valle».
Lo sfruttamento abusivo da parte della Coppa terminò nel 1986. «È una cava da recuperare e mettere in sicurezza » si difende Giulio Nidoli, socio della Italinerti, che ha acquistato l’area nella seconda metà degli anni ottanta e che ha presentato il progetto, inserito nel piano cave provinciale. «Non una cava, ripeto, ma un recupero di cava, che renderà utilizzabile un pezzo di territorio di Cantello». Un intervento dal costo di un milione e 485mila euro, da realizzare nell’arco di undici anni, finanziato dalla vendita del materiale che sarà cavato. E proprio questo è uno degli aspetti criticati dagli oppositori: pur essendo una cava di recupero, prevede la produzione di un milione e 550mila metri cubi di inerti da vendere. «È necessario. Andremo ad arretrare il fondo della cava per ridurre la pendenza – spiega il geologo Roberto Carimati, il cui studio ha curato il progetto di recupero – e ripiantumeremo il versante con specie autoctone». Si rimodella la collina per eliminare il ciglio ripidissimo della cava, che pur non essendo a rischio frana è comunque pericoloso. «Ma la sommità e il profilo della collina non saranno toccati, rimarranno identici. La collina dei Trescali non scomparirà», assicura Nidoli. Al termine dell’intervento il dislivello dai 419 metri della sommità ai 306 della valle sarà superato con una serie di terrazzamenti coperti di vegetazione, attraversati da un percorso ciclabile e pedonale.
Intervento necessario, dicono i proprietari dell’area e i tecnici, e pienamente autorizzato secondo la normativa. Certo, un milione e mezzo di metri cubi non sono pochi. E gli ambientalisti guidati dal “Comitato Salviamo la Pardà” sono preoccupati anche dal traffico generato dalla cava. «Ai piedi della cava – rispondono i progettisti – sarà realizzato un piccolo impianto di lavorazione» per separare gli inerti dai materiali non idonei, come la terra, «riducendo il traffico di camion». La produzione giornaliera è fissata in 500 metri cubi di materiali lavorati, equivalenti a quaranta autocarri al giorno. E la questione della falda acquifera e dei pozzi minacciati dallo scavo? «La cava – interviene Carimati – non interferisce con la falda, né dal lato della val Bevera né dal lato di Valsorda». L’unico intervento sulla falda sarà la realizzazione di un pozzo per l’acqua che serve a lavare i materiali estratti. Ora si attende il parere sulla Valutazione d’Impatto Ambientale: se non fosse ritenuta necessaria, i lavori partirebbero più o meno tra un anno. In caso contrario, i tempi si allungherebbero. Una cosa è certa: il recupero degli scempi fatti in passato è difficile. A ricordarlo, c’è anche la cava della Rasa, non troppo distante.
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